Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28614 del 05/06/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 28614 Anno 2013
Presidente: GARRIBBA TITO
Relatore: LANZA LUIGI

SENTENZA
decidendo sul ricorso proposto da Fratangelo Nicolino, nato il giorno 14
marzo 1961, avverso la sentenza 15 gennaio 2013 della Corte di appello di
Campobasso.
Visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso.
Udita la relazione fatta dal Consigliere Luigi Lanza.
Sentito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore
Generale Giuseppe Volpe, che ha concluso per l’annullamento con rinvio
della gravata sentenza.
RITENUTO IN FATTO
1.) Fratangelo Nicolino ricorre, a mezzo del suo difensore, avverso la
sentenza 15 gennaio 2013 della Corte di appello di Campobasso, la quale in
parziale riforma della sentenza 24 settembre 2009 del Tribunale di Larino,
concessa la sospensione condizionale della pena, ha confermato la
condanna ex art. 348 cod. pen..

Data Udienza: 05/06/2013

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2.) La corte distrettuale, premesse le regole fissate nella decisione
11545/2012 delle S.U., ha concluso affermando che la condotta del
Fratangelo, quale ascrittagli in rubrica ed incontestabilmente svolta sino al
2007, con modalità di abitualità, e comunque di continuità, onerosità e (pur
minimale) organizzazione, ha compiutamente integrato il reato di cui all’art.
24 settembre 2009 emessa dal Tribunale di Larino, sezione distaccata di
Termoli, ha concesso all’imputato la sospensione condizionale
dell’esecuzione della pena, confermando nel resto le statuizioni del primo
giudice.
CONSIDERATO IN DIRITTO

1.) Il ricorso, ritualmente proposto, nei due motivi di impugnazione
denuncia nell’ordine: violazione di legge sull’applicazione dell’art. 348 cod.
pen. e vizio di motivazione per contraddittorietà, avuto riguardo alla
riconosciuta limitatezza della condotta contestata.
Nel primo e nel secondo motivo di gravame viene dedotta
inosservanza ed erronea applicazione della legge, nonché vizio di
motivazione, sotto il profilo della ritenuta sussistenza del delitto di abusivo
esercizio della professione di commercialista, avuto riguardo alle “sole sei
ditte professionalmente assistite”, circostanza questa che non dovrebbe
realizzare quella consistenza richiesta dalle S.U. (Sez. U, Sentenza n.
11545/2012 Rv. 251820, Cani) che esige la ricorrenza di modalità di
esercizio continuative, strutturate, con organizzazione e retribuite.
In particolare il ricorso evidenzia: a) che nel vigore del decreto
legislativo 139/2005, tale non potrebbe essere considerata la modesta
attiv’a contabile svolta dall’imputato per carenza delle note attinenti
alla “continuità, all’organizzazione ed alla ripetizione b) che la
documentazione acquisita dalla Guardia di finanza è riferita a periodi
temporali anteriori all’entrata in vigore del citato decreto; c) che vi è
contrasto logico tra il riconoscimento di una attività “limitata” e l’azione
esecutiva del delitto, il quale, tra l’altro, è stato ritenuto senza considerare,
né motivare sul punto che l’imputato dal 1 gennaio 2005 “lavorava come
impiegato presso il Comune di Petacciato”.

348 cp.. Il giudice d’appello infine, in parziale riforma della sentenza in data

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2.) l’impugnazione, contrariamente alle conclusioni del Procuratore
generale, non solo non è accoglibile i ma non supera neppure la soglia
dell’ammissibilità, avuto riguardo alla regola di diritto fissata dalle S.U. con
la citata decisione, la quale ha chiarito che integra il reato di esercizio
abusivo di una professione (art. 348 cod. pen.), il compimento senza titolo
determinata professione, siano univocamente individuati come di
competenza specifica di essa, allorché lo stesso compimento venga
realizzato con modalità tali, per continuatività, onerosità e organizzazione,
da creare, in assenza di chiare indicazioni diverse, le oggettive apparenze di
un’attività professionale svolta da soggetto regolarmente abilitato.
Quanto ai fatti, secondo il conforme assunto dei giudici di merito,
risulta che la condotta di commercialista, ascritta al Fratangelo, è stata
desunta dalla decisiva convergenza di più dati probatori costituiti:
-da un lato, dalla risolutiva documentazione rinvenuta dalla Polizia
giudiziaria nel locale adibito a studio professionale in Ururi alla via Marina
136 ( v. comunicazione notizia di reato ex art 247 cod. proc. pen. in data
19.4.2007);
-dall’altro, dalle conformi dichiarazioni rese da taluni clienti nell’aprile
2007 (tra gli altri, D’Annesse Michele: “mi fornisce attività di consulenza da
oltre 15 anni”, o Peta Arma Teresa: “mi avvalgo di un commercialista di
Ururi, tale Fratangelo fino alla data odierna”), che hanno consentito di
ritenere concrete e ripetute condotte di “tenuta della contabilità”, nonché lo
svolgimento di tutti gli adempimenti fiscali connessi, per almeno sei ditte, in
anni che vanno, senza soluzione di continuità, dal 1999 al 2007.
Un quadro quindi di particolare ed integrata consistenza probatoria,
che non può essere invalidato dalla prospettazione della esiguità del numero
dei clienti assistiti (nella specie “solo sei”) posto che nessuna indicazione
risulta effettuata, tra l’altro, sulla dimensione delle imprese e risultando
comunque -nella specie- realizzate le essenziali connotazioni di ripetizione
della condotte, accompagnate da modalità di esercizio continuative,
strutturate, con organizzazione, e retribuite.
Per concludere, nella specie, ci si trova di fronte a due decisioni, di
primo e secondo grado, che concordano nell’analisi e nella valutazione degli

di atti che, pur non attribuiti singolarmente in via esclusiva a una

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elementi di prova, posti a fondamento delle rispettive statuizioni, con una
struttura motivazionale della sentenza di appello che si salda perfettamente
con quella precedente, sì da costituire un unico complessivo corpo
argomentativo, privo di lacune, considerato che la sentenza impugnata, ha
dato comunque congrua e ragionevole giustificazione degli elementi
Conclusione questa da ribadirsi, nonostante
contemporanea sussistenza, in capo all’accusato,

la dedotta
di un’attività di

“lavoratore dipendente presso il Comune di Petacciato”, posto che la norma
incriminatrice non esige affatto che la condotta, rilevante ex art. 348 cod.
pen., debba essere l’unica ed esclusiva fonte di produzione del reddito del
professionista “abusivo”.
La corte distrettuale ha quindi affermato la certa attribuibilità
dell’illecito alla

condotta consapevole del ricorrente attraverso una

motivazione rispondente ai

canoni stabiliti dall’art. 192 c.p.p., ed il

procedimento probatorio, che ha fondato l’affermazione di colpevolezza,
resiste alle censure di merito, formulate nel ricorso il quale tende a proporre
una non consentita lettura alternativa degli eventi.
Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile.
Alla decisa inammissibilità consegue, ex art. 616 C.P.P., la condanna
del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma, in
favore della Cassa delle ammende, che si stima equo determinare in €.
1000,00 (mille).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C. 1.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma il giorno 5 giugno 2013
I consigliere estensore

oggettivi e dei profili psicologici del ritenuto delitto.

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