Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28613 del 05/06/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 28613 Anno 2013
Presidente: GARRIBBA TITO
Relatore: LANZA LUIGI

SENTENZA
decidendo sul ricorso proposto agli effetti civili dalla parte civile
Mario

Di Fonzo

avverso la sentenza 30 aprile 2012 della Corte di appello di Milano ,,

pronunciata nei confronti dì Tini Salvatore, nato il giorno 11 settembre
1965.
Visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso.
Udita la relazione fatta dal Consigliere Luigi Lanza.
Sentito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore
Generale Giuseppe Volpe, che ha concluso per il rigetto del ricorso, nonché
il difensore del ricorrente, avv.ssa Maria Tabossi, in sostituzione dell’avv.
Armenio, che ha chiesto raccoglimento dell’impugnazione.
RITENUTO IN FATTO
1. La parte civile Di Fonzo Mario ricorre, a mezzo del suo difensore,
avverso la sentenza 30 aprile 2012 della Corte di appello di Milano,
pronunciata nei confronti di Tini Salvatore, la quale ha dichiarato
inammissibile per rinuncia l’appello/ proposto dal Procuratore generale di
Milano avverso la sentenza 14 dicembre 2010 del Tribunale di Milano ed ha

Data Udienza: 05/06/2013

2

confermato detta decisione condannando la parte civile appellante alle
spese del grado.
2. A Tini Salvatore è stato contestato il delitto di cui agli artt. 81
cpv. e 372 c.p., perché, dapprima in data 21.11.2006, deponendo come
testimone nella causa civile innanzi al Giudice di Pace di Milano, intentata da

opposizione al verbale di contestazione per la violazione dell’art. 171 del
Codice della Strada, affermava il falso su circostanze rilevanti ai fini della
decisione, dichiarando, contrariamente al vero, che il motociclista, Bassani
Roberto, quando l’aveva soccorso, aveva ancora il casco calzato, e poi in
data 7.3.2007, deponendo come testimone innanzi al Giudice di Pace di
Milano, nell’ambito del procedimento penale a carico di Di Fonzo Mario per
il reato di cui all’art. 590, Co. 3 c.p. (lesioni cagionate a seguito di incidente
stradale in danno di Bassani Roberto) affermava il falso su circostanze
rilevanti ai tini della decisìone, dichiarando, contrariamente al vero e a
quanto risultante dalle altre emergenze probatorie (rilevi effettuati
nell’immediatezza del fatto dagli operanti ed esame del teste Gottardo
Alberto agente della Polizia Municipale intervenuto nel luogo del sinistro) che
il conducente del motociclo Bassani Roberto, viaggiava a velocità moderata e
che “aveva il casco quando è stato trovato sotto l’auto”.
3. Il Tribunale di Milano ha assolto l’imputato perchè il fatto non
costituisce reato per difetto dell’elemento soggettivo del reato, avendo il
teste “riferito quanto del fatto aveva in buona fede ricostruito”.
4.

La Corte di appello, con la gravata sentenza, ha dichiarato

inammissibile per rinuncia l’appello che era stato proposto dal Procuratore
generale di Milano avverso la sentenza 14 dicembre 2010 del Tribunale di
Milano, ed ha confermato la sentenza assolutoria, ribadendo “non potersi
affermare con certezza che l’imputato abbia volutamente e consapevolmente
deposto il falso”.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I motivi di doglianza della parte civile alla gravata sentenza sono
costituiti dal ricorso e da una memoria depositata il 24 maggio u.s..

Bassani Roberto contro il Comune di Milano Corpo Polizia Municipale, di

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Con un unico diffuso motivo di impugnazione viene dedotta
inosservanza ed erronea applicazione della legge, nonché vizio di
motivazione sotto il profilo della sua mancanza e contraddittorietà.
Il ricorrente, dopo aver lamentato che la sentenza della Corte di
appello non abbia indicato in epigrafe il capo d’imputazione e pur prendendo
dal contenuto complessivo della decisione (1137/2008), rileva come
sostanzialmente i termini dell’accusa siano stati ignorati dal giudice
distrettuale.
In ogni caso si evidenzia che la certezza del Tribunale sia stata
costituita da espressioni “non pienamente liberatorie” da parte della gravata
sentenza che in più parti è ricorsa ad espressioni quali: “non emergendo
dagli atti elementi sufficienti per ritenere con certezza…(pag.5); “non pare
che possa affermarsi con adeguata certezza che… (pag. 6, III capoverso)”;
“neppure appare che fondatamente ritenersi con certezza il falso racconto
dell’incontro in banca…(pag.6, ultimo capoverso e pag. 7 I capoverso): da
ciò l’incertezza sull’ascrivibilità della formula al I o al II comma dell’art. 530
cod. proc. pen..
Quanto alla teoria del “vero soggettivo” osserva la parte civile che
mediante tale lettura qualsiasi deposizione si sottrarrebbe ad un giudizio di
responsabilità per falsità, tenuto comunque conto della condotta
processuale dell’imputato.
2. nessuna delle critiche formulate supera il vaglio dell’ammissibilità,
avuto riguardo alla motivazione completa, ed ineccepibile della corte
distrettuale, con la quale la ricorrente parte civile non risulta essersi
adeguatamente confrontata, nei limiti consentiti dalle invalidità prospettate
nella elencazione puntuale dell’art. 606 cod. proc. pen., che regola nel
nostro sistema la proponibilità del ricorso per cassazione.
Invero la corte distrettuale ha diffusamente argomentato, in termini
di logica plausibilità e di aderenza alle acquisizioni processuali :
a)

sulla presenza dell’imputato nel luogo dell’incidente stradale,

all’atto del sinistro e necessariamente prima dell’arrivo dei soccorsi;
b) sull’assenza di prova circa la falsità dell’incontro casuale in banca
dell’imputato e del suocero del motociclista, tale Polesel Roberto;

atto che l’enunciazione del fatto e delle circostanze ben può essere desunta

4

c) sull’applicabilità nella specie della teoria del “vero soggettivo” sia in
ordine alla presenza del casco (la cui assenza o meno non ha influito nella
decisione civile di responsabilità concorrente dei protagonisti), sia con
riferimento alla moderata andatura (km 30-40/h) della moto, pur nella
qualificazione dell’urto come devastante;
sull’assenza di elementi idonei ad accreditare l’ipotesi di un

accordo tra il motociclista ed il teste Tini finalizzato a conseguire una
deposizione compiacente per lucrare un maggior risarcimento del danno.
3. In tale quadro di giustificazioni, la pretesa della ricorrente di
invalidare -agli effetti civili- la pronuncia della corte territoriale, si scontra
con i limiti di sindacabilità in questa sede della valutazione delle prove, quale
compiuta con doppia conforme decisione dai giudici territoriali, nel rispetto e
nell’ambito dei loro poteri discrezionali.
Il gravame finisce infatti per prospettare alla Corte di legittimità un
giudizio, critico ed alternativo, sulle considerazioni dei giudici di merito, che
risultano peraltro ottenute -come già detto- nel rigoroso rispetto di una
ragionevole lettura della realtà (secondo massime di comune esperienza ed
in relazione al “l’id quod plerumque accidit”), nonché delle norme stabilite in
punto di formazione e peso del materiale d’accusa, idoneo ad escludere la
pronuncia di responsabilità.
4. Conclusione questa non modificabile per effetto delle espressioni
linguistiche utilizzate dall’estensore in appello, per dare supporto di

motivazione alla conferma della decisione assolutoria del primo giudice, la
quale quindi, in assenza di precisazioni, in dispositivo, sul richiamo al
capoverso dell’art. 530 cod. pen., va necessariamente intesa come assunta a
sensi del primo comma del detto articolo, irrilevanti apparendo le espressioni
in concreto usate in motivazione ed interpretabili in termini incompatibili con
il disposto dell’art. 530 comma i cod. proc. pen..
E’ invero noto che in caso di contrasto tra dispositivo e motivazione
della sentenza, la regola della prevalenza del dispositivo quale immediata
espressione della volontà decisoria del giudice può essere sì contemperata
con la valutazione dell’eventuale pregnanza degli elementi, tratti dalla
motivazione, purché essi, e questo non è proprio il caso di specie, siano

d)

significativi di detta diversa volontà (cass. pen. sez. 5, 8363/2013 Rv.
254820).
5. Da ultimo, quanto alla criticata “teoria del vero soggettivo” e
alla osservazione della parte civile che, mediante tale lettura, qualsiasi
deposizione si sottrarrebbe ad un giudizio di responsabilità per falsità, va

sono giunti, non tanto ed in ragione di una automatica e generalizzata
applicazione dei canoni ermeneutici della suddetta teoria -della cui validità
scientifica non è questa la sede per discutere- ma avuto invece puntuale e
specifico riferimento alla condotta ed alla personalità del testimoneimputato.
Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile.
Alla decisa inammissibilità consegue, ex art. 616 C.P.P., la condanna
del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma, in
favore della Cassa delle ammende, che si stima equo determinare in C.
1000,00 (mille).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C. 1.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
P.Q.M.
Così deciso in Roma il giorno 5 giugno 2013
I consigliere estensore

osservato che all’assoluzione dell’accusato i giudici, soprattutto in appello,

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