Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28612 del 10/03/2016


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 28612 Anno 2016
Presidente: CARCANO DOMENICO
Relatore: FIDELBO GIORGIO

SENTENZA

sui ricorsi proposti da:
1)

MELITA Paolo, nato a Giarre (CT) il 24/12/1937;

2) CORDIANO Claudio, nato a Anoia (RC) il 10/06/1940,
nonché dalla parte civile
3)

BARBUSCIA Maria Adelfina, nata a S. Agata d’Esaro (CS) il 31/01/1947

avverso la sentenza del 22/05/2015 emessa dalla Corte d’appello di Messina;
visti gli atti, la sentenza impugnata e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal componente Giorgio Fidelbo;
udito il Pubblico Ministero, in persona dell’avvocato generale Agnello Rossi,
che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della sentenza
impugnata con riferimento al capo civile e il rigetto del ricorso della parte
civile;
udito, per la parte civile, l’avvocato Tommaso Autru Ryolo, che chiesto la
conferma delle statuizioni civili e l’accoglimento del proprio ricorso;
uditi gli avvocati Antonio Salvatore Scordo e Filippo Mangiapane, difensori,
rispettivamente, di Claudio Cordiano e di Paolo Melita, che hanno chiesto
l’accoglimento dei loro ricorsi e il rigetto del ricorso della parte civile.

Data Udienza: 10/03/2016

RITENUTO IN FATTO

1. Con la decisione indicata in epigrafe la Corte d’appello di Messina, in
parziale riforma della sentenza assolutoria emessa il 25 maggio 2012 dal
Tribunale di Messina e appellata ex art. 576 cod. proc. pen. dalla parte civile

responsabili del reato di induzione indebita, nella forma tentata, così
riqualificato il fatto contestato in origine come concussione tentata,
condannando i due imputati, in solido, al risarcimento del danno morale in
favore della parte civile, danno liquidato in via equitativa in complessivi euro
20.000, oltre al pagamento delle spese di costituzione e difesa in entrambi i
gradi; nel resto ha confermato la decisione di primo grado, anche riguardo
alla assoluzione dal reato di abuso in atti d’ufficio.
Secondo la Corte d’appello gli imputati, entrambi professori universitari e
componenti della commissione giudicatrice della procedura di valutazione
comparativa per la copertura di un posto di professore universitario di ruolo di
prima fascia per il settore di chirurgia generale presso la facoltà di Medicina e
Chirurgia dell’Università di Messina, avrebbero, per il tramite del professor
Francesco Lemma, indotto la Barbuscia, che concorreva a quel posto, a non
interferire nella procedura concorsuale con esposti, ricorsi o altro, tacitandola
con la promessa di considerare le sue aspettative di vincitrice del concorso in
un secondo momento. In questo modo avrebbero dissuaso la concorrente dal
far valere le proprie ragioni, facendo pesare il proprio potere accademico al
fine di evitare pubblicità negative sullo svolgimento del concorso e
assicurando alla Barbuscia futuri vantaggi. I giudici hanno sottolineato che la
Barbuscia sarebbe stata indotta ad accettare le “regole del gioco”, cioè “i
sistemi opachi di cooptazione tipici della realtà universitaria” e, quindi, a fare
spazio ai colleghi prescelti dai due imputati, nella prospettiva di un successivo
trattamento di favore. Sulla base dei fatti così ricostruiti, si è ritenuto
sussistente, ai soli fini della responsabilità civile, il reato di induzione
indebita, nella forma del tentativo non avendo la concorrente aderito alla
“richiesta”.
Quanto al reato di abuso di atti d’ufficio, contestato ai due imputati per
avere intenzionalmente procurato alla Barbuscia un danno ingiusto, consistito

Maria Adelfina Barbuscia, ha dichiarato Paolo Melita e Claudio Cordiano

nel non dichiararla idonea per il posto di professore universitario di prima
fascia, è stata esclusa ogni ipotesi di responsabilità civile in quanto non sono
stati ravvisati comportamenti posti in violazione di legge né è stato ritenuto
violato il dovere di imparzialità.

2. Contro questa sentenza hanno proposto ricorso per cassazione sia gli

2.1. L’avvocato Filippo Mangiapane, nell’interesse del Melita, ha dedotto
cinque motivi.
Con il primo deduce il vizio di motivazione e la violazione dell’art. 6 Cedu,
perché la Corte d’appello ha motivato la sua decisione, ribaltando la sentenza
assolutoria di primo grado, sulla base di una diversa valutazione delle
dichiarazioni rese da Francesco Lemma, senza disporre la rinnovazione
dell’istruttoria per riascoltare il testimone.
Con il secondo motivo denuncia un ulteriore vizio della motivazione,
rilevando come la sentenza impugnata, nel superare quella del Tribunale, non
abbia confutato in maniera specifica

l’iter argomentativo del primo giudice,

omettendo di indicarne le aporie e le insufficienze logiche, ma limitandosi a
dare una lettura alternativa del materiale probatorio, senza nemmeno
confrontarsi con il principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio.
Il terzo motivo attiene all’erronea applicazione dell’art.

319-quater cod.

pen. e all’illogicità della motivazione, ritenuta apodittica. Si sostiene, infatti,
che non vi sia stata alcuna persuasione, suggestione, inganno o pressione
morale che abbia in qualche modo condizionato la libertà di
autodeterminazione della Barbuscia e si esclude l’esistenza di ogni forma di
abuso induttivo, nemmeno nella forma tentata: del reato di induzione indebita
difetterebbero sia gli elementi materiali che quelli psicologici.
Con il quarto motivo censura la sentenza che non si è limitata a
conoscere incidentalmente della responsabilità civile degli imputati in
conseguenza dell’appello della sola parte civile, ma ha riqualificato il reato di
concussione, rispetto al quale il Tribunale aveva escluso la responsabilità
penale, nel diverso reato di induzione indebita, finendo con l’incidere sul fatto
reato.
Con il quinto motivo lamenta la mancanza di ogni criterio in ordine alla
quantificazione del danno.

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imputati che la parte civile.

2.2. Nell’interesse del Cordiano, l’avvocato Antonio Salvatore Scordo ha
dedotto due motivi.
Con il primo deduce manifesta illogicità della motivazione in relazione
all’art.

319-quater cod. pen. e violazione dell’art. 521 cod. proc. pen.,

rilevando la contraddizione della sentenza che dopo aver ritenuto del tutto

indebita, peraltro individuando un fatto diverso rispetto alla contestazione
iniziale.
Con il secondo motivo denuncia la errata applicazione dell’art. 319-quater
cod. pen. e il connesso vizio di motivazione, oltre alla violazione dell’art. 192
cod. proc. pen. Con riferimento a quest’ultimo profilo, il ricorrente rileva come
la Corte abbia omesso ogni seria verifica sull’attendibilità della Barbuscia,
costituitasi parte civile, assumendo, erroneamente, che la difesa degli
imputati non abbia contestato la sua credibilità. Inoltre, si esclude che dagli
atti esaminati possa risultare una condotta diretta a minacciare, anche solo
larvatamente, ovvero ad usare pressioni nei confronti della Barbuscia.

2.3. Il difensore della parte civile ha censurato la sentenza nella parte in
cui ha escluso la sussistenza del reato di abuso in atti d’ufficio rilevando la
mancanza di motivazione non avendo i giudici di appello preso in
considerazione le deduzioni della difesa.
Con un secondo motivo ha lamentato l’erronea applicazione dell’art. 323
cod. pen. per avere i giudici escluso la sussistenza di violazioni di legge e del
dovere di astensione da parte dei due imputati.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il motivo con cui si censura la sentenza per avere ribaltato la sentenza
assolutoria di primo grado, sulla base di una diversa valutazione delle
dichiarazioni rese da Francesco Lemma, senza disporre la rinnovazione
dell’istruttoria per riascoltare il testimone è infondato.
Il richiamo all’art. 6, par. 1, Cedu e ai principi affermati, tra l’altro, dalla
sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo del 05/07/2011, nel caso
Dan c. Moldavia si riferiscono esclusivamente alla posizione dell’imputato

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legittimo il concorso ha tuttavia ravvisato la sussistenza del reato di induzione

rispetto all’accusa in materia penale, mentre nel caso in esame la decisione
contestata concerne la riforma, ai soli effetti civili, della pronuncia di
assoluzione.
Sicché deve ritenersi che la diversa e rinnovata valutazione, ai fini civili,
delle prove dichiarative poste a base della decisione di assoluzione, non ha
comportato quella lesione del diritto di difesa in cui si sostanzia sul piano

29/01/2015, DV, Rv. 264077).

2. Sono invece fondati, nei limiti di seguito indicati, i motivi attinenti alla
mancanza di una motivazione rinforzata idonea a superare le argomentazioni
addotte dalla decisione assolutoria e alla ritenuta responsabilità degli imputati
in relazione al reato di tentata induzione indebita.
La tesi sostenuta in sentenza è che i due imputati abbiano utilizzato
Lemma come canale di comunicazione ed influenza per indurre Barbuscia a
non interferire sulla procedura concorsuale, tacitandola con la promessa che
le sue aspettative sarebbero state soddisfatte in un secondo momento.
Questa condotta è stata ritenuta come diretta ad indurre Barbuscia

“ad

accettare le regole del gioco, vale a dire i sistemi opachi di cooptazione tipici
della realtà universitaria di quel particolare contesto e fare spazio in quella
circostanza a colleghi, venendo ricompensata da un successivo trattamento di
favore”. Si sarebbe trattato di un “invito garbato e rassicurante”, comunque
esercitato da soggetti consapevoli, per il ruolo svolto all’interno
dell’Università, di poter esercitare un potere di coazione morale sul soggetto
indotto, sufficiente ad ottenere la condotta richiesta anche sulla base di
pressioni realizzate in modo “suadente”.
Tale ricostruzione, che in astratto potrebbe anche giustificare la
sussistenza del reato di cui all’art.

319-quater cod. pen., nella specie non

sembra considerare le modalità delle condotte poste in essere e, inoltre, non
appare in grado di superare compiutamente le ragioni alla base della prima
sentenza. In particolare, occorre tenere presente che i due imputati non
hanno mai contattato direttamente la Barbuscia e che, anche a voler
riconoscere che il Lemma abbia parlato con Melita e Cordiano del caso
Barbuscia e che i due abbiano incaricato il primo di parlare alla ricercatrice tutti elementi che i giudici di merito enucleano su basi logiche e indiziarie –

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funzionale il diritto ad un processo equo (cfr., Sez. 5, n. 14208 del

non può non considerarsi quanto rilevato dal giudice di primo grado, che ha
evidenziato come “la mancata spendita da parte del Lemma dei nomi degli
imputati quali mandanti del suggerimento dato alla Barbuscia” avrebbe di
fatto privato il messaggio di efficacia intimidatoria. Del resto, l’efficacia
intimidatoria è un elemento necessario sia per la configurabilità della
concussione, sia dell’induzione indebita, ciò che muta è il tipo di intensità della

hanno chiarito che il delitto di induzione indebita, previsto dall’art.

319-quater

cod. pen., presuppone una condotta che può atteggiarsi come persuasione,
suggestione, inganno ovvero pressione morale, caratterizzata, rispetto alla
concussione, da un più tenue valore condizionante della libertà di
autodeterminazione del destinatario il quale dispone di più ampi margini
decisionali e finisce col prestare acquiescenza alla richiesta della prestazione
non dovuta, perché motivata dalla prospettiva di conseguire un tornaconto
personale (Sez. U, n. 12228 del 24/10/2013, Maldera, Rv. 258470).
Ebbene, sembra che la sentenza d’appello, consapevole dei limiti della
sua ricostruzione, anziché approfondire il contenuto dell’incarico affidato dai
due imputati al Lemma, abbia aggirato il problema probatorio riqualificando i
fatti, originariamente contestati come concussione, in induzione indebita. Ma
una tale operazione non consente di superare del tutto le ragioni che hanno
condotto il primo giudice ad escludere il contenuto oggettivamente
intimidatorio della richiesta fatta alla Barbuscia tramite Lemma.
Il rilevato limite della motivazione, inidonea a giustificare il ribaltamento
della decisione assolutoria, determina l’annullamento della sentenza, con
rinvio, ai sensi dell’art. 622 cod. proc. pen., al giudice civile competente in
grado di appello.

3. Del tutto infondato, al limite dell’inammissibilità, è il ricorso proposto
dalla parte civile.
Riguardo al primo motivo, si rileva che, a differenza di quanto dedotto, la
sentenza ha motivato in ordine all’insussistenza del reato di abuso d’ufficio
(pag. 5-6), né il ricorrente indica illogicità manifeste all’interno della
decisione, limitandosi a evidenziare l’esistenza di disparità nella procedura di
valutazione comparativa dei candidati, circostanza smentita dai giudici.

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pressione. Le Sezioni unite, citate puntualmente dalla sentenza impugnata,

Infondato anche il secondo motivo che ripropone argomenti già esaminati
dalla sentenza, che il ricorrente non riesamina criticamente e di cui non tiene
conto. La Corte territoriale ha ritenuto, correttamente, che l’art. 35 comma 3
d.lgs. 165 del 2001 è una norma di organizzazione che contiene principi
generali per il reclutamento nella pubblica amministrazione, inidonea a
costituire un parametro per condotte individuali dato il carattere indefinito;

spiegato come non ci fossero i presupposti.
In conclusione, il ricorso della parte civile deve essere rigettato, con la
condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P. Q. M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al giudice civile
competente per valore in grado di appello limitatamente al capo civile relativo
al reato di tentata induzione indebita.
Rigetta il ricorso della parte civile, che condanna al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 10 marzio 2016

Il Consigli re estensore

riguardo alla mancata astensione per ragioni di inimicizia i giudici hanno

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