Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28607 del 05/04/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 28607 Anno 2013
Presidente: GARRIBBA TITO
Relatore: CARCANO DOMENICO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MICHELI LUIGI FRANCESCO N. IL 29/08/1947
nei confronti di:
LAZZARI ANDREA N. IL 15/09/1959
avverso la sentenza n. 2218/2011 CORTE APPELLO di GENOVA, del
25/05/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 05/04/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. DOMENICO CARCANO
Udito il Procuratore eperale in pers soria delpott. 4,(4-0,,,, o
che ha concluso per \
4,5,‘
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Udito, p la part civile, l’Avv
Udit j,difens. Avv.

Data Udienza: 05/04/2013

1

Ritenuto in fatto
1.11 difensore di Luigi Francesco Micheli, parte civile costituita, impugna la
sentenza con la quale Corte d’appello di Genova ha confermato la decisione di
primo grado che ha assolto Andrea Lazzari dal delitto di falsa testimonianza.
In particolare, a Andrea Lazzari è stato addebitato di avere reso false
dichiarazioni nell’ambito di un giudizio civile innanzi al Tribunale di Massa
promosso da Luigi Francesco Micheli contro l’avvocato Luigi Maneschi, negando

dichiarando che non era stata formalizzata un bozza di atto; bozza della quale si
parlò senza arrivare a un accordo, e che tutto era soltanto un accordo verbale su
indicazioni del tecnico geometra, e di non essere mai stato nell’ufficio del notaio
Fagg ioni.
Il giudice d’appello, nonostante il reato fosse da dichiarare estinto per
prescrizione, ha disatteso quanto dedotto dal pubblico ministero con
l’impugnazione proposta contro la decisione di assoluzione del giudice di primo
grado e ha confermato la pronuncia di assoluzione, precisando che gli altri
elementi prova acquisiti, tra le quali la testimonianza resa dal notaio Faggioni
non dimostravano alcunché circa la sussistenza del reato.
Anche il teste Bianchi, amico di Micheli, ha confermato la versione dei fatti
resa di Lazzari circa il mancato accordo degli altri eredi di sottoscrivere un
accordo.
In conclusione, per il giudice d’appello le prove acquisite confermano
l’insussistenza del fatto ascritto all’imputato.
2. il ricorso della parte civile Luigi Francesca Micheli deduce:
-vizio di motivazione, sotto il profilo della mancanza, contraddittorietà e
manifesta illogicità, poiché non si individuano in sentenza le ragioni per le quali è
stata confermata la sentenza di assoluzione, limitandosi a riportare le risultanze
di altro procedimento conclusosi con l’assoluzione dell’imputato.
Si tratta di fatto del tutto irrilevante per il giudizio a carico di Lazzari.
L’affermazione dell’imputato di non essere mai stato nello studio del notaio
Faggioni in realtà era una risposta alla domanda relativa alla consegna di una
bozza transattiva e non di procure.
Le conclusioni raggiunte dalla Corte d’appello non danno conto delle ragioni
della decisione, che avrebbe dovuto essere del tutto diversa e di contenuto
opposto.
E’ paradossale la sentenza là dove sostiene che l’imputato non ha mai
consegnato alcuna bozza al notaio, precisando che si tratti di affermazione in
realtà ascrivibile a una mera dimenticanza, stante il tempo trascorso.

1

il vero e tacendo ciò che sapeva sulla divisione ereditaria della famiglia Micheli,

2
La sentenza non dà una plausibile lettura degli elementi di prova acquisiti
agli atti, non considerando che l’affermazione secondo cui i “fratelli

si erano

sottratti al momento della firma contrasta con quanto affermato dall’imputato e
riportato in sentenza circa la mancata conoscenza del rogito. La sentenza è
dunque contraddittoria là dove ritiene che non esisteva una bozza di divisione.
La Corte d’appello, ad avviso del ricorrente, non spiega perché ha ritenuto
vera la versione dell’imputato- secondo cui non vi era una bozza di divisione,
nonostante sia emerso dagli atti che vi erano due bozze redatte dal Consulente

-Vizio di motivazione e violazione di legge in relazione alla mancata
assunzione di una prova decisiva in mancanza di un riscontro esterno alle
dichiarazioni dell’imputato.
La Corte ha ritenuto attendibili le dichiarazioni dell’imputato senza che vi
fossero elementi concreti di riscontro.
Ad avviso del ricorrente, le testimonianze e gli altri elementi probatori
acquisiti non danno in alcun modo riscontro all’imputato.
Anche l’interpretazione della lettera del 6 dicembre 1994, è del tutto
arbitraria perché non conforme al suo contenuto. Con tale lettera l’imputato
informava che tutta la documentazione era dal notaio. La diversa interpretazione
è arbitraria.
Per la difesa del ricorrente, l’imputato ha reso dichiarazioni false nel giudizio
civile.
Considerato in diritto
1.11 ricorso è inammissibile.
La Corte d’appello ha • correttamente motivato

l’insussistenza degli

elementi richiesti per la configurazione del reato di falsa testimonianza.
Il ricorso è diretto a proporre questioni – peraltro in termini generici e non
pertinenti rispetto al complessivo giudizio espresso nella sentenza impugnata relative a valutazioni di merito delle quali si è data ampia dimostrazione in
motivazione.
Come già precisato in narrativa, il giudice d’appello, a differenza di quanto
sostenuto dalla difesa del ricorrente, che la prova della insussistenza della falsa
testimonianza è fornita anche il teste Bianchi, amico di Micheli, che ha ha
confermato la versione dei fatti resa di Lazzari circa il mancato accordo degli altri
eredi di sottoscrivere un accordo.
Anche il teste Bianchi, amico di Micheli, ha confermato la versione dei fatti
resa di Lazzari circa il manca° accordo degli altri eredi di sottoscrivere un
accordo.
In conclusione, a fronte di una plausibile ricostruzione della vicenda, come
ampiamente descritta in narrativa, sui precisi riferimenti probatori operati dal
2

tecnico d’ufficio e da quello di parte.

3
giudice d’appello, in questa sede, non è ammessa alcuna incursione nelle
risultanze processuali per giungere a diverse ipotesi ricostruttive dei fatti,
dovendosi la Corte di legittimità limitare a ripercorrere l’iter argomentativo svolto
dal giudice di merito per verificarne la completezza e la insussistenza di vizi logici
ictu °cui/

percepibili, senza possibilità di verifica della rispondenza della

motivazione alle acquisizioni processuali.
La Corte territoriale ha -compiutamente esposto le ragioni per le quali ha
ritenuto l’insussistenza degli elementi richiesti per la configurazione del delitto de

3.11 ricorso è , dunque, inammissibile per manifesta infondatezza e per
avere proposto censure non consentite nel giudizio di legittimità e, a norma
dell’art.616 c.p.p., il ricorrente va condannato, oltre che al pagamento delle
spese processuali, a versare una somma, che si ritiene equo determinare in euro
1.000,00 in favore della cassa delle ammende, non ricorrendo le condizioni
richieste dalla sentenza della Corte costituzionale 13 giugno 2000, n.186.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento di C 1000,00 in favore della cassa delle
ammende.

Così deciso in Roma, il 5 aprile 2013

qua

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