Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28597 del 01/06/2016


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 28597 Anno 2016
Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: PICCIALLI PATRIZIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GJOVESHI ALBAN N. IL 13/02/1974
avverso l’ordinanza n. 34/2014 CORTE APPELLO di ANCONA, del
25/05/2015
sentita la r azione fatta dal Consigliere Dott. PATRIZIA PICCIALLI;
lette/se
le conclusioni del PG Dott.
D
/

VC 1—

Lerf h o
At:

Uditi difensor Avv./

Data Udienza: 01/06/2016

RITENUTO IN FATTO
GJOVESHI Alban, a mezzo del difensore, ricorre avverso l’ordinanza di cui in epigrafe che
ha rigettato la sua richiesta di riparazione per ingiusta detenzione sofferta per il delitto
di acquisto e detenzione illecita di cocaina, dal quale era stato assolto in secondo grado.

Il ricorrente articola un unico motivo con il quale censura il provvedimento impugnato sul
rilievo che il giudice della riparazione avrebbe reinterpretato i fatti presi in esame dal

laddove aveva affermato la colpa grave dell’istante su elementi contraddetti dagli atti ( il
riferimento è al precedente arresto per fatti di droga, alla frequentazione di soggetti
abituali assuntori di cocaina ed alle circostanze di fatto inerenti il rinvenimento dello
stupefacente).

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato.

Come è noto, il rapporto tra giudizio penale e giudizio per l’equa riparazione è connotato
da totale autonomia ed impegna piani di indagini diversi e che possono portare a
conclusioni del tutto differenti ( assoluzione nel processo penale ma rigetto della richiesta
riparatoria) sulla base dello stesso materiale probatorio acquisito agli atti ma sottoposto
ad un vaglio caratterizzato dall’utilizzo di parametri di valutazione differenti.

In particolare, è consentita al giudice della riparazione la rivalutazione dei fatti non nella
loro valenza indiziaria o probante ( smentita dall’assoluzione) ma in quanto idonei a
determinare, in ragione di una macroscopica negligenza imprudenza dell’imputato,
l’adozione della misura, traendo in inganno il giudice ( v. tra le altre, Sez.4, n. 34662 del
10/06/2010, La Rosa, Rv. 248077).

Nulla vieta, pertanto, al giudice della riparazione di prendere in considerazione gli stessi
comportamenti oggetto dell’esame del giudice penale, sempre che la valutazione di essi
sia eseguita dal primo non rapportandosi ai canoni di giudizio del processo penale, bensì
a quelli propri del procedimento riparatorio, che è diretto non ad accertare responsabilità
penali, bensì solo a verificare se talune condotte abbiano quantomeno concorso a
determinare l’adozione del provvedimento restrittivo.

Rientrano nel potere-dovere del giudice della riparazione la selezione, la valutazione delle
circostanze di fatto idonee ad integrare o escludere la sussistenza delle condizioni
preclusive al riconoscimento del diritto fatto valere, sotto il profilo, appunto, del dolo o

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giudice penale, travisando in senso accusatorio le conclusioni raggiunte in quella sede,

della colpa grave, pur sempre avendo egli l’obbligo di dare al riguardo adeguata ed
esaustiva motivazione, dispiegantesi secondo le corrette regole della logica, giacché il
mancato assolvimento di tale obbligo in termini di adeguatezza, congruità e logicità è
censurabile in cassazione, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e).

Ciò che è importante sottolineare è che non potrebbero essere poste a fondamento del
diniego del diritto alla riparazione circostanze espressamente escluse nel giudizio di

Nel caso di specie, la Corte distrettuale non si è attenuta a tali principi, avendo ritenuto,
contrariamente a quanto affermato nella sentenza assolutoria, che l’involucro contenente
parte della droga, appoggiato nel vano della leva del cambio, fosse ben visibile dal
Gjoveshi, il quale era alla guida dell’autovettura.

Il giudice della riparazione ha, pertanto,fondato la colpa grave dell’istante su un elemento
probatorio, smentito dalla sentenza di assoluzione, che aveva evidenziato come il
<> era stato rinvenuto solo a seguito di
perquisizione e che, comunque, essendo avvolto da nastro adesivo nero, era da escludere
la consapevolezza del suo contenuto da parte dell’istante, in assenza di ogni elemento da
cui desumere l’avvenuta ricezione di informazioni al riguardo da parte del coimputato,
che si era immediatamente assunto la responsabilità della detenzione dello stupefacente.

Un altro profilo di colpa, appena accennato nell’ordinanza impugnata, è stato individuato
nella circostanza che il Gjoveshi era stato sorpreso in compagnia di soggetti,
<> ed uno tra essi, di non aver mai fatto uso di droga.

Si impone, pertanto, l’annullamento dell’ordinanza impugnata per un nuovo esame, volto
ad approfondire il tema concernente le “frequentazioni ambigue”, posto anch’esso a
fondamento del comportamento gravemente colposo dell’istante, alla luce dei principi
sopra indicati.

PQM
Annulla la impugnata ordinanza e rinvia per nuovo esame alla Corte d’Appello di Ancona.
Così deciso in data 1/06/2016

Il Consigliere estensore

diretta a contestare tale dato, sottolineando il contenuto degli interrogatori di garanzia,

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