Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28596 del 25/05/2016


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 28596 Anno 2016
Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: PEZZELLA VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GENICA SOKOL N. IL 11/02/1961
avverso l’ordinanza n. 353/2016 TRIB. LIBERTA’ di MILANO, del
18/03/2016
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. VINCENZO
PEZZELLA;
fettzisentite le conclusioni del PG Dott. 6 -(etee0 R- 0-m°L–‘° )
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Uditi d nsor Avv.;

Data Udienza: 25/05/2016

RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale del Riesame di Milano, con ordinanza del 18.3.2016, pronunciando sull’istanza di riesame proposta da GENIKA SOKOL, avverso l’ordinanza di
applicazione della misura cautelare della custodia in carcere, emessa dal GIP del
Tribunale di Milano il 18.9.2000, dichiarava l’inammissibilità dell’impugnazione
con condanna al pagamento delle spese della procedura.
Il GIP presso il Tribunale di Milano aveva applicato la misura della custodia
cautelare in carcere in relazione ai fatti di reato previsti dagli artt. 73 e 74 DPR

Lo Genika veniva condannato per i reati, soprindicati, in stato di latitanza,
alla pena di 28 anni di reclusione, con sentenza divenuta irrevocabile il
29.3.2003.
Con provvedimento n. 1680/2005, integrato il 20.2.2013, il PM mandava in
esecuzione, unitamente ad altre, la condanna del 12.12.2002 ed avviava la procedura per il mandato di arresto europeo.
Lo Genika veniva tratto in arresto in Grecia il 13.1.2015 e consegnato alle
autorità italiane in data 26.5.2015 veniva tradotto in carcere.
Nelle more, la Corte di appello di Milano rimetteva in termini il ricorrente ai
fini della presentazione dell’impugnazione avverso la sentenza del 12.12.2002.

2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo
del proprio difensore di fiducia, GENIKA SOKOL, deducendo i motivi di seguito
enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto
dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:

a. Violazione dell’art. 606, comma 1°, lett. c), cod. proc. pen., in relazione
agli artt. 293 e 309, comma 1°, cod. proc. pen.
Il ricorrente deduce l’erroneità della declaratoria di inammissibilità, in quanto l’arresto eseguito a seguito del MAE avrebbe determinato unicamente
l’esecuzione della sentenza di condanna definiva ed in relazione alla stessa pronuncia il ricorrente ha ottenuto la restituzione in termini.
La Corte di appello, nel disporre la remissione in termini avrebbe riconosciuto la mancanza dì prova della conoscenza dell’esistenza del procedimento e
l’assenza di volontà di sottrarsi all’esecuzione della misura.
Pertanto sarebbe venuto meno il presupposto per la sussistenza dello stato
di latitanza. Di conseguenza, successivamente alla decisione di non disporre la
scarcerazione dell’imputato, lo stesso aveva diritto di ricevere copia del provvedimento di applicazione della custodia cautelare.
Tale notifica non è mai stata eseguita, pertanto la richiesta di riesame deve
essere considerata tempestiva.
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309/90.

Inoltre allo stesso difensore dell’imputato, nominato dopo l’esecuzione del
MAE, spettava autonomo potere di impugnazione, ma nessuna notificazione vi è
stata dell’avviso di deposito dell’ordinanza cautelare.
b. Nullità dell’udienza camerale tenutasi in data 18.3.2016 per omessa tra-

duzione dell’imputato detenuto.
Il ricorrente eccepisce la nullità dell’udienza camerate per omessa traduzione
di Genika Sokol
Il Presidente del tribunale del riesame di Milano rigettava la richiesta di
la richiesta di riesame come previsto dall’art. 309, comma 6° cod. proc. pen.
Il ricorrente ritiene che nessuna decadenza o causa d’inammissibilità sia correlata all’omessa richiesta di traduzione in udienza nell’atto introduttivo del giudizio di riesame. Inoltre l’interpretazione restrittiva della norma, introducendo
una preclusione assoluta alla partecipazione in udienza, qualora l’imputato non

ne abbia fatto richiesta ai sensi dell’art. 309, comma 6° cod. proc. pen., sarebbe
in contrasto con l’art. 111 Cost. e l’art. 6 Convenzione EDU.
Chiede, pertanto, l’annullamento dell’ordinanza impugnata con ogni conseguenza di legge.
CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I motivi sopra illustrati sono infondati e, pertanto, il proposto ricorso va
rigettato.
2. Quanto al primo motivo, il Tribunale di Milano ha offerto una motivazione
congrua e logica, nonché corretta in punto di diritto – e pertanto immune dai denunciati vizi di legittimità- in relazione alla declaratoria di inammissibilità per
tardività del proposto riesame.
Rilevano i giudici milanesi – e trova conferma negli atti- che Genika Sokol,
all’epoca dell’emissione dell’ordinanza custodiale e della celebrazione del processo, era stato dichiarato latitante, sussistendone i presupposti, e le notifiche erano state correttamente eseguite al difensore nominato (si trattava del difensore
di ufficio – e non di fiducia come indicato evidentemente per un refuso nel provvedimento impugnato- avv. Lodovico Della Penna, come da relata di notifica
dell’ordinanza di custodia cautelare effettuata a mani del difensore in data
4.11.2000, cui veniva notificato estratto contumaciale della sentenza in data
11.2.2003). E il difensore d’ufficio in questione, non aveva ritenuto né di proporre riesame avverso l’ordinanza di custodia cautelare né avverso la sentenza che
era, quindi, divenuta definitiva.
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comparizione personale dell’imputato detenuto, non essendo stata proposta con

L’arresto operato a seguito dell’esecuzione del MAE e la conseguente estradizione in Italia di Genika Sokol, avvenuto in data 26.5.2015, ha in concreto determinato l’esecuzione del provvedimento applicativo della misura, circostanza
che ha formalmente restituito nei termini il Genika ai fini della proposizione del
riesame avverso il titolo custodiale di cui si discute.
L’art. 309 c.p.p., nella seconda parte del secondo comma, dispone, infatti,
chge: “…se sopravviene l’esecuzione della misura, il termine decorre da tale
momento [quando l’imputato prova di non avuto tempestiva conoscenza del
La norma – come rileva il provvedimento impugnato- fa inequivocabilmente
decorrere il predetto termine dall’esecuzione della misura e non dalla notifica del
titolo.
Tuttavia il ricorrente afferma che egli era stato arrestato in ragione
dell’ordinanza di esecuzione della pena di cui alla sentenza per la quale è stato
poi rimesso in termini per l’appello, poi confluita in un provvedimento di determinazione di pene concorrenti.
La circostanza risponde al vero, ma è anche vero che la custodia cautelare
disposta con l’ordinanza del GIP del 18.9.2000 era stata superata
dall’intervenuta esecuzione della pena. Una volta venuta meno l’esecutività della
sentenza, in ragione del concesso termine per impugnare, si è ripristinato lo stato di custodia cautelare di quell’ordinanza che era stata ritualmente notificata
all’imputato latitante e per la quale non occorreva alcuna nuova notifica.
Ciò non solo era evidente, ma era stato comunque reso noto all’odierno ricorrente prima del suo arresto, atteso che la Corte d’Appello, nell’ordinanza ex
art. 175 c.p.p., debitamente notificata al suo difensore, precisava chiaramente
che lo stato di detenzione del prevenuto non veniva meno poiché lo stesso era
destinatario, tra gli altri titoli, dall’ordinanza di custodia cautelare del GIP presso
il Tribunale di Milano del 18.9.2000.
Seo dunquee potesse nutrirsi qualche dubbio che Genika Socol, fino ad allora.
non fosse a conoscenza di quella specifica ordinanza di custodia cautelare, tale
dubbio è venuto meno una volta che, attivata di sua iniziativa e stavolta a mezzo
di difensore di fiducia la procedura per la remissione nel termine, la remissione
in questione gli è stata accordata, ma nel provvedimento in questione, debitamente notificato al suoi legale, stavolta a lui legato da un vincolo fiduciario, la
Corte di Appello gli ha chiarito che non sarebbe tornato in libertà e perché.
Condivisibile, in proposito, è l’argomentare del Tribunale di Milano, secondo
cui non può avere rilevanza la circostanza che l’estradizione riguardava un’esecuzione di pene concorrenti, tra le quali la condanna ad anni 28 di reclusione,
nell’ambito del procedimento in relazione al quale la misura custodiale era stata
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provvedimentor.

adottata, poi sospesa dalla Corte d’Appello con l’ordinanza di restituzione in termini del 20.2.2015.
Come rileva la motivazione del provvedimento impugnato, da un punto di
vista formale, i titoli esecutivi per i quali era stata avviata la procedura di estradizione non potevano in alcun modo ricomprendere l’ordinanza custodiale poiché
la sentenza era divenuta definitiva, di talché, correttamente, nel MAE non è stato
fatto alcun riferimento all’ordinanza applicativa della misura che indubitabilmente
ha riacquistato efficacia a seguito dell’intervenuta restituzione del termine, e la

3. La pronuncia oggi impugnata si colloca, peraltro, nell’alveo dell’ormai

consolidato dictum di questa Corte di legittimità – che va qui ribadito- secondo
cui, nel caso di cui all’art. 309 c.p.p., comma 2 (che stabilisce che il termine per
proporre riesame delle ordinanze che dispongono l’applicazione di misure coercitive decorre, per l’imputato latitante, dalla data di notificazione eseguita a norma
dell’art. 165 c.p.p., salvo che, nel caso in cui sopravvenga l’esecuzione della misura, l’imputato non provi di non avere avuto tempestiva conoscenza del provvedimento, nel qual caso detto termine decorre dall’esecuzione della misura) è
richiesta la prova in positivo di fatti concreti dai quali possa desumersi con certezza la mancata di tempestiva ed involontaria conoscenza del provvedimento
(sez. 5, n. 599 del 1.10.2003 dep. il 13.1.2004, Krymski, Rv. 227446).
Condivisibilmente, sul punto, in una recente pronuncia di questa Corte, si è
precisato che la prova positiva della mancata conoscenza della misura cautelare
da fornire attraverso dati concreti obiettivamente valutabili, non può essere data
dalla mera permanenza all’estero (sez. 3, n. 12539 del 27.2.2015, Pianese, rv.
262864).
Il riferimento, inoltre, non riguarda la conoscenza legale, conseguibile solo a
seguito della ricezione di copia integrale del provvedimento, bensì la notizia, anche sommaria, della emissione della ordinanza coercitiva, tale da consentire
all’interessato diligente di venire in possesso del provvedimento medesimo,
eventualmente a mezzo del proprio difensore (sez. 1, n. 59 del 10.1.2000, Pollicina, rv. 2153609).
Correttamente, pertanto, i giudici milanesi hanno ritenuto che il termine per
proporre il riesame abbia ricominciato a decorrere dall’arresto del Genika avvenuto il 26.5.2015 in territorio italiano con la consegna dello stesso a seguito di
estradizione dalla Grecia e, all’evidenza, fosse ormai spirato all’atto della presentazione del ricorso, essendo trascorsi oltre dieci mesi.

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sua esecuzione fatta decorrere dall’arresto del Genika.

4. Infondato è anche il secondo motivo di ricorso.
Questa Corte di legittimità, infatti, ha recentemente chiarito -e va qui ribadito- che nel procedimento di riesame avverso provvedimenti impositivi di misure cautelari personali, per effetto della modifica dei commi 6 e 8-bis dell’art. 309
cod. proc. pen., operata dalla legge 16 aprile 2015, n. 47, il soggetto sottoposto
a misura privativa o limitativa della libertà personale può esercitare il diritto di

che per il tramite del difensore, nell’istanza di riesame, mentre non sono più applicabili le disposizioni di cui agli artt. 127, comma terzo, cod. proc. pen. e 101
disp. att. cod. proc. pen., che prevedono il diritto dell’interessato detenuto o internato fuori dal circondario ad essere sentito dal magistrato di sorveglianza (cfr.
sez. 1, n. 49882 del 6.10.2015, Pernagallo, rv. 265546).
Già nel richiamato arresto giurisprudenziale di qualche mese or sono si è
precisato che la disciplina introdotta con la L. n. 47/2015, modificativa dell’art.
309 c.p.p. (commi 6 e 8-bis), ha riordinato la materia, da un lato, riconoscendo
un diritto di partecipazione uguale per ciascun indagato, cioè senza differenze
originate dal luogo di detenzione, ma, dall’altro, risolvendo in radice ogni questione fattuale sulla tempestività o meno della richiesta dell’indagato, attraverso
la previsione che imponeva la veicolazione della richiesta stessa con l’istanza di
riesame del provvedimento cautelare.
L’individuazione legislativa del momento preciso in cui deve essere esercitato il diritto in questione – si è condivisibilmente rilevato- vale a scongiurare soluzioni differenziate sulla base di una nozione, invero assai discrezionale, di tempestività della domanda.
Va aggiunto che non pare sussistere -come lamentato dal ricorrente- alcun
contrasto né con l’art. 111 Cost. e nemmeno con l’art. 6 della Convenzione EDU.
A ben guardare, infatti, dopo la novella legislativa non vi è stata alcuna
compressione dei diritti dell’indagato, ma anzi un apliamento ladove, pur ancorandolo ad un diverso e certo momento, a differenza del sistema previgente, la
richiesta di comparizione non deve più essere formulata personalmente dall’interessato, essendo sufficiente il suo inserimento nel ricorso, ancorché presentato
dal difensore.
Ciò è dato desumersi dal disposto del novellato art. 309, comma 6, c.p.p.,
che, a differenza dell’art. 309, comma 9 bis c.p.p., non impone che la richiesta di
comparire sia avanzata personalmente dall’indagato (tale avverbio nel comma 6
pare chiaramente riferito alla comparizione, a differenza che nel comma 9bis
dov’è altrettanto chiaramente riferito alla richiesta).
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comparire personalmente all’udienza camerale solo se ne ha fatto richiesta, an-

Proprio in ragione dello stretto collegamento instaurato nella nuova norma
tra atto d’impugnazione e richiesta di comparizione, doveva ritenersi che la relativa domanda potesse essere inserita anche nel ricorso sottoscritto esclusivamente dal difensore. Ma ciò nel caso che ci occupa non è avvenuto. E pertanto
correttamente il tribunale milanese ha celebrato l’udienza di riesame senza disporre la traduzione del detenuto.

5. Al rigetto del ricorso consegue, ex lege, la condanna di parte ricorrente al

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario perché provveda a quanto stabilito
dall’art. 94 c. 1 ter disp. att. del c.p.p.
Così deciso in Roma il 25 maggio 2016
Il C

igliere estensore

Il Presidente

pagamento delle spese processuali.

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