Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28576 del 07/06/2016


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 28576 Anno 2016
Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: PAVICH GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PADOVANO GIOVANNI N. IL 12/06/1985
avverso la sentenza n. 1661/2014 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
31/10/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 07/06/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIUSEPPE PAVICH
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
e42,40-che ha concluso per
/A: ra3
t:691.A0

Okr

Levive–

Data Udienza: 07/06/2016

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza resa in data 31 ottobre 2014, la Corte di Appello di Napoli
confermava la sentenza del Tribunale di Avellino in data 24 maggio 2013 con la
quale Giovanni Padovano era stato condannato alla pena di giustizia in relazione
ai reati p. e p. dall’art. 633 cod.pen. (per avere invaso, al fine d’occuparlo, un
immobile sito in Altavilla Irpina appartenente agli eredi di Paolo Pandolfi) e dagli
artt. 81, 624, 625 n. 2 c.p. (per essersi impossessato di acqua ed energia

accertati il 17 gennaio 2007.

2. Il Padovano, per il tramite del suo difensore di fiducia, propone ricorso
avverso la detta sentenza, deducendo due ordini di motivi, che possono essere
riassunti nei termini di cui appresso.
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la violazione di legge e
l’illogicità della motivazione della sentenza con riferimento al delitto di furto
continuato di acqua ed energia elettrica, motivazione che denuncia come carente
sotto il profilo della valutazione delle risultanze probatorie: sostiene l’esponente
che i testi operanti escussi non hanno riferito elementi ulteriori rispetto alla mera
presenza del Padovano sul posto al momento del sopralluogo effettuato dai
Carabinieri, che deponessero per la riferibilità soggettiva all’imputato del furto a
lui contestato.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso, viene censurato il vizio di motivazione
della sentenza impugnata nella parte in cui essa nega il riconoscimento della
scriminante dello stato di necessità, quanto meno putativo: scriminante che la
Corte di merito ha ingiustamente escluso deducendo che il Padovano avrebbe
potuto e dovuto rivolgersi agli enti assistenziali, laddove costui era invece
costretto dalla necessità di utilizzare l’energia elettrica e il servizio idrico per le
esigenze connesse all’occupazione di un immobile sprovvisto di detti servizi.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso é inammissibile, perché manifestamente infondato in ambedue i
motivi in cui esso é articolato.

2. Si premette che nel giudizio di legittimità il sindacato sulla correttezza del
procedimento indiziario non può consistere nella rivalutazione della gravità, della
precisione e della concordanza degli indizi, in quanto ciò comporterebbe
inevitabilmente apprezzamenti riservati al giudice di merito, ma deve tradursi nel
2

elettrica manomettendo gli allacci presenti nell’abitazione occupata), fatti

controllo logico e giuridico della struttura della motivazione, al fine di verificare
se sia stata data esatta applicazione ai criteri legali dettati dall’art. 192, comma
secondo, cod. proc. pen. e se siano state coerentemente applicate le regole della
logica nell’interpretazione dei risultati probatori (fra le tante vds. Sez. 1,
Sentenza n. 42993 del 25/09/2008, Pipa, Rv. 241826).

3. Tanto premesso, la pur concisa motivazione offerta dall’impugnata
sentenza non si limita a fare rinvio alla sentenza di primo grado, ma illustra

frutto di un vaglio critico specificamente effettuato.
La Corte territoriale, nel riportarsi alla motivazione della sentenza di primo
grado, offre infatti specifica contezza di alcune circostanze che appaiono in sé
decisive e che non risultano smentite o sminuite dalle deduzioni del ricorrente:
nella sentenza impugnata si fa riferimento al sopralluogo eseguito dai
Carabinieri, che consentiva di constatare l’occupazione dell’immobile da parte del
Padovano, nonché l’allaccio abusivo alla rete elettrica e al servizio idrico. In
presenza di detti elementi oggettivamente accertati, quanto alla riferibilità
soggettiva della condotta all’odierno ricorrente non é dato ravvisare alcun vizio di
motivazione, atteso che al riguardo il percorso logico seguito nell’impugnata
sentenza si fonda sul fatto che é risultata evidente l’occupazione

sine titulo

dell’immobile da parte del Padovano, il quale quindi era l’unico soggetto avente
interesse all’erogazione abusiva di acqua ed energia elettrica, ed era dunque a
lui che doveva necessariamente essere riferita la condotta furtiva, in difetto di
altre plausibili ricostruzioni logiche. Perciò, la Corte napoletana non aveva
necessità di approfondire e illustrare ulteriori elementi ai fini dell’accertamento
della responsabilità del Padovano in ordine al reato contestato, e la motivazione
dalla stessa resa, ineccepibile sul piano logico, risulta più che bastevole ad
affermare sia la materiale riferibilità all’odierno ricorrente del delitto di furto a lui
addebitato, sia la sussistenza dell’elemento soggettivo di detto reato.

4.

Inammissibile é anche il motivo di ricorso inerente al mancato

riconoscimento dello stato di necessità, che la Corte ha convenientemente
motivato osservando che il Padovano non era costretto a porre in essere
l’occupazione dell’immobile per salvarsi da un pericolo imminente, ben potendo
rivolgersi ad enti assistenziali ove fosse, peraltro, in grado di dimostrare una
condizione economica precaria. E’, invero, ius receptum che l’illecita occupazione
di un immobile é scriminata dallo stato di necessità solo in presenza di un
pericolo imminente di danno grave alla persona, non potendosi legittimare – nelle
ipotesi di difficoltà economica permanente, ma non connotata dal predetto
3

esplicitamente, benché sinteticamente, le ragioni in base alle quali tale rinvio é

pericolo – una surrettizia soluzione delle esigenze abitative dell’occupante e della
sua famiglia (vds. ad es. Sez. 2, Sentenza n. 28067 del 26/03/2015, Antonuccio
e altro, Rv. 264560).

5.

É appena il caso di precisare che, in presenza della manifesta

infondatezza delle censure in quanto causa originaria di inammissibilità, non può
essere rilevata la prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza
impugnata (Sez. U, n. 33542 del 27/06/2001, Cavalera, Rv. 219531; Sez. U, n.

l’applicabilità del secondo comma dell’art. 129 c.p.p. nei termini postulati ex
multís da Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244274.

6. Alla declaratoria d’inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali; ed inoltre, alla luce della sentenza 13 giugno
2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non
sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza
versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», il ricorrente
va condannato al pagamento di una somma che si stima equo determinare in €
1000,00 in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma il 7 giugno 2016.

32 del 22/11/2000, De Luca, Rv. 217266), né sussistono i presupposti per

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