Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28568 del 01/06/2016


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 28568 Anno 2016
Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: PICCIALLI PATRIZIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MONCHIERI GIAFRANCO N. IL 29/05/1938
avverso la sentenza n. 1816/2013 CORTE APPELLO di BRESCIA, del
26/11/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 01/06/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. PATRIZIA PICCIALLI
-ex, CC)
Udito il Procuratore G nerale in persona del Dott.
che ha concluso per
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Udito, per la parte civile, l’Avv
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Data Udienza: 01/06/2016

RITENUTO IN FATTO

MONCHIERI Gianfranco ricorre avverso la sentenza di cui in epigrafe
rideterminando in me/ius

che, pur

il trattamento sanzionatorio, ne ha confermato il giudizio di

responsabilità per il reato di cui all’articolo 590 cod.pen., aggravato dalla violazione della
disciplina antinfortunistica, contestatogli in relazione a infortunio sul lavoro subito da
DISETTI Dario, avvenuto all’interno dell’azienda di cui l’imputato era legale

Si addebitava all’imputato di non avere adottato efficaci misure organizzative atte ad
evitare la presenza di persone nell’area di attrezzature mobili ovvero a tutelarne
l’integrità e ciò aveva determinato la verificazione dell’infortunio a seguito di una
manovra impropria eseguita da proprio dipendente – separatamente giudicato- il quale,
nell’azionare una macchina senza previa verifica dell’effettiva presenza della persona
offesa – che operava per conto di altra azienda- determinava lo schiacciamento del
Disetti contro la sponda del suo camion, da cui conseguivano le lesioni descritte in atti.

Per quanto interessa, in sede di merito, corrispondendo anche alle doglianze avanzate
con l’atto di appello, si apprezzava il contenuto del documento di valutazione dei rischi,
concludendosi nel senso che tale documento presentava un contenuto generico e parziale
e analogo giudizio veniva motivatamente formulato anche con riguardo alle disposizioni
adottate per evitare i rischi di interferenza con le attività svolte dalle ditte appaltatrici che
operavano nell’azienda, quale quella da cui dipendeva l’operaio infortunato.

Veniva poi escluso che la condotta del lavoratore dipendente dall’imputato, pur colposa,
potesse assurgere a unica causa eccezionale cui ricondurre l’infortunio.

Con il ricorso si ripropongono gli argomenti già disattesi in appello.
Con il primo motivo si deduce che, contrariamente a quanto affermato dai giudici di
merito, il rischio di schiacciamento e intrappolamento, era oggetto di puntuale disamina
nel documento unico di valutazione dei rischi interferenziali, ossia quelli relativi alle
attività terziarizzate. In tale documento, sotto forma di allegato a ciascun contratto di
appalto, ivi compreso quello intercorso con la ditta per conto della quale lavorava
l’operaio infortunato, erano comunicati all’appaltatore rischi presenti nei reparti di
produzione, tra cui quello conseguente ad intrappolamento, e si imponeva a ciascuno di
coordinarsi con il responsabile del reparto e del settore interessato.
Con il secondo motivo si ripropone la tesi della interruzione del nesso causale, volendo
ricondurre l’evento alla improvvida ed eccezionale condotta del proprio dipendente.

2

rappresentante.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è manifestamente infondato.

Vale ricordare, assorbentemente, che, in tema di ricorso per cassazione, quando ci si
trova dinanzi ad una “doppia conforme” e cioè ad una doppia pronuncia (in primo e in
secondo grado) di eguale segno (vuoi di condanna, vuoi di assoluzione), l’eventuale vizio
di travisamento può essere rilevato in sede di legittimità, ex articolo 606, comma 1, lett.

che l’argomento probatorio asseritarnente travisato è stato per la prima volta introdotto
come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (Sez.
4, n.4060 del 12/12/2013- dep. 2014- Capuzzi, Rv. 258438). Da ciò conseguendo che la
tesi difensiva qui proposta è inaccoglibile in sede di legittimità risolvendosi nella
riproposizione di un dissenso sulla valutazione del compendio indiziario già
pertinentemente valutato nella sede di merito, evocando la improponibile necessità che
debba essere questa Corte a rinnovare in fatto la idoneità o meno delle misure
precauzionali contenute nei documenti suindicati, ampiamente e incensurabilmente
esaminati nella sede propria.

Quanto al tema dell’interruzione del nesso causale vale il principio, qui correttamente
applicato, secondo cui ai fini dell’apprezzamento dell’eventuale interruzione del nesso
causale tra la condotta e l’evento (articolo 41, comma secondo, cod. pen.), il
comportamento successivo può avere valenza “interruttiva” non perché “eccezionale”,
ma perché “eccentrico rispetto al rischio” che il garante è chiamato a governare: in
effetti, tale eccentricità potrà rendere in qualche caso (ma non necessariamente)
statisticamente eccezionale il comportamento, ma ciò è una conseguenza accidentale, in
quanto l’effetto interruttivo può e deve essere individuato in qualsiasi circostanza che
introduca un rischio nuovo o comunque radicalmente esorbitante rispetto a quelli che,
appunto, il garante è chiamato a governare. In questa prospettiva, in cui è la teoria del
rischio a guidare nell’apprezzamento dell’eventuale effetto interruttivo, anche il fatto
illecito altrui non esclude in radice l’imputazione dell’evento al primo agente, che avrà
luogo fino a quando l’intervento del terzo, in relazione all’intero concreto decorso
causale della condotta iniziale all’evento, non abbia soppiantato il rischio originario;
cosicchè l’imputazione non sarà invece esclusa quando l’evento risultante dal fatto del
terzo possa dirsi realizzazione sinergica anche del rischio creato dal primo agente (di
recente, Sez.4, n. 33329 del 5/05/2015, Sorrentino, Rv. 264365).

La decisione di merito si è mossa in modo aderente a questo principio, evidenziando
come il comportamento del dipendente dell’imputato, per quanto colpevole,

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si è

e), cod.proc.pen., solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione)

sviluppato nell’ambito delle mansioni conferitegli,

non potendo assurgere a causa

eccezionale dell’evento, la cui concorrente causa doveva apprezzarsi esistente proprio
nelle carenze organizzative oggetto qui di contestazione.

La declaratoria di inammissibilità prevale su quella di estinzione del reato per prescrizione
maturata dopo la sentenza di secondo grado (v., Sez. U, n. 23428 del 22/03/2005,
Bracale, Rv. 231164).

13 giugno 2000, n. 186), consegue la condanna del ricorrente medesimo al pagamento
delle spese processuali e di una somma, che congruamente si determina in mille euro, in
favore della cassa delle ammende.

P. Q. M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in data 1/06/2016

Il Consigliere estensore

Il Presidente

Alla inammissibilità del ricorso, riconducibile a colpa del ricorrente (Corte Cost., sent. 7-

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