Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28561 del 25/05/2016


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 28561 Anno 2016
Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: PEZZELLA VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ZUCCARO GIUSEPPE AGATINO N. IL 16/03/1992
avverso la sentenza n. 294/2015 CORTE APPELLO di CATANIA, del
07/07/2015
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 25/05/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. VINCENZO PEZZELLA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. 570..à) IReernet„
che ha concluso per u2, 52.c;
o dice k)eck4,0

Udito, er la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

o

Data Udienza: 25/05/2016

RITENUTO IN Farro e CONSIDERATO IN DIRITTO
1. La Corte di Appello di Catania, pronunciando nei confronti dell’odierno ricorrente, ZUCCARO GIUSEPPE AGATINO, con sentenza del 7.7.2015, in parziale
riforma della sentenza del GUP del Tribunale di Catania, appellata dall’imputato,
determinava la pena di anni 6 di reclusione ed C 18.100,00 di multa; confermava
nel resto.
Il GUP del Tribunale di Catania dichiarava, Zuccaro Giuseppe Agatino, colpevole, escluso il riferimento al comma II dell’art. 73 DPR309/90, del reato p. e p.

all’art. 17 D.P.R. 309/90, deteneva all’interno di un’apertura per la raccolta delle
acque posta sul retro dell’immobile sito in Viale Castagnola n. 3 circa 1.200
grammi di sostanza stupefacente di tipo marijuana, confezionata in 521 involucri
di carta stagnola (pari a 1.788 dosi medie singole) nonché n. 5 involucri di cellophane contenente sostanza stupefacente di tipo cocaina del peso complessivo di
circa 1 grammo (pari a 6,4 dosi medie singole); sostanza stupefacente che per le
modalità di confezionamento e di custodia, per il rilevante quantitativo, nonché
per le altre circostanze dell’azione, appariva destinata ad un uso non esclusivamente personale. Con la recidiva specifica infraquinquennale. In Catania il
3/7/2014.
L’imputato veniva condannato alla pena di anni 7, mesi 4 di reclusone ed C
18.100,00 di multa, operato l’aumento per la recidiva e la diminuzione per la
scelta del rito; con l’interdizione perpetua dai pp.uu.; con l’interdizione legale e I
sospensione dall’esercizio della patria potestà durante il periodo di esecuzione
della pena; con la revoca del beneficio della sospensione condizionale della pena;
con la revoca del beneficio della sospensione condizionale della pena concessogli
dalla corte di appello di Catania con sentenza 4.4.2012 (passata in giudicato il
20.7.2012); con la confisca e la distruzione di quanto in sequestro.

2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, personalmente, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod.
proc. pen.:

a. Violazione dell’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione
all’art. 73 comma 5 DPR 309/90 e art. 133 cod. pen., per manifesta illogicità della motivazione in ordine alla applicazione di pena eccessiva.
Il ricorrente deduce l’applicazione di una pena non congrua in riferimento
all’esiguità del peso della sostanza stupefacente

Ve—s-anti pari a grammi 1 e so-

stanza stupefacente leggera di tipo marijuana pari a grammi 1.200.

2

dall’art. 73 comma I, II e IV D.P.R. 309/90 perché, senza l’autorizzazione di cui

Le modalità dell’azione, posta in essere da un ragazzo che agiva da solo,
l’esigua quantità di cocaina e la qualità della marijuana, accompagnate
dall’ammissione di colpevolezza avrebbe dovuto far ritenere l’esistenza della minima offensività per il riconoscimento del comma 5 0 dell’art.73 DPR 309/90.
La reiterazione dei fatti non osterebbe al riconoscimento dell’attenuante in
quanto anche la cessione continuativa a terzi può integrare il fatto di lieve entità
tenuto conto della quantità e qualità della sostanza ceduta.

b. Violazione dell’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione

cità della motivazione in ordine alla applicazione di pena illegale.
Il ricorrente deduce l’avvenuta applicazione di pena illegale in quanto la Corte di appello avrebbe dovuto applicare la pena prevista per il reato di droghe
leggere, aumentando in continuazione la pena ai sensi dell’art. 73 comma 5 DPR
309/90 per la detenzione di droghe pesanti.
Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata.

3. I motivi sopra illustrati sono manifestamente infondati e, pertanto, il proposto ricorso va dichiarato inammissibile.
La Corte territoriale ha offerto una motivazione logica e congrua, nonché
corretta in punto di diritto -e pertanto immune da censure di legittimità- allorquando ha ritenuto che il giudice di prime cure avesse correttamente escluso,
con riguardo al caso in esame, l’ipotesi di cui al comma 5 dell’art. 73 DPR n.
309/1990, in quanto le modalità e le circostanze dell’azione (occultamento della
droga in un nascondiglio esterno all’abitazione dell’imputato; suddivisione della
stessa in dosi), il cospicuo quantitativo rinvenuto (1.788 dosi di marjuana e 6,4
dosi di cocaina), e la qualità di parte di esso (droga pesante), fossero tali da
Lrusta4.:,
escludere, con certezza, l’invocata meriataile della lieve entità.
Ancora di recente questa Corte, infatti, in riferimento ad un caso speculare
rispetto a quello che ci occupa ha affermato il principio -che va qui ribadito- che,
ai fini del riconoscimento dell’ipotesi lieve prevista dall’art. 73, comma quinto,
D.P.R. 9 ottobre 1990, quando ricorre la contestuale detenzione spaziotemporale di sostanze stupefacenti di diversa natura, deve effettuarsi un’unica,
complessiva valutazione della condotta illecita. (sez. 3, n. 6824 del 4.12.2014
dep. il 17.2.2015, Masella rv. 262483, fattispecie in cui la Corte di legittimità ha
annullato con rinvio la sentenza che aveva riconosciuto l’ipotesi lieve in riferimento alla detenzione di droga “pesante”, custodita unitamente a rilevanti quantità di droghe leggere).
Per costante indirizzo di questa Corte di legittimità, la fattispecie di cui al
D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, richiede una valutazione complessiva

3

all’art. 73 comma 5 DPR 309/90, art. 2 e art. 133 cod. pen., per manifesta illogi-

di tutti i parametri richiamati dalla norma stessa (mezzi, modalità, circostanze
dell’azione, quantità e qualità della sostanza), nessuno escluso, sì da giustificare
il riconoscimento dell’ipotesi attenuata soltanto quando gli stessi depongano nel
senso di un fatto di lieve entità; con la speculare conseguenza per cui, di contro,
è sufficiente che uno solo dei canoni citati ecceda questo limite per giustificare il
diniego della medesima ipotesi di reato di minore gravità (Sez. U, n. 35737 del
24/6/2010, Rico, Rv. 247911; Sez. 3, n. 27064 del 19/3/2014, Fontana, Rv.
259664; Sez. 6, n. 39977 del 19/9/2013, Tayb, Rv. 256610).

cui all’art. 73, comma quinto, d.P.R. n. 309 del 1990, anche all’esito della formulazione normativa introdotta dall’art. 2 del D.L. n. 146 del 2013 (conv. in legge
n. 10 del 2014), può essere riconosciuta solo nella ipotesi di minima offensività
penale della condotta, desumibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli
altri parametri richiamati espressamente dalla disposizione (mezzi, modalità e
circostanze dell’azione), con la conseguenza che, ove uno degli indici previsti
dalla legge risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione resta priva di incidenza sul giudizio (così sez. 3, n. 27064 del 19.3.2014, Fontana, rv.
259664, fattispecie in cui è stato ritenuto illegittimo il riconoscimento del fatto di
lieve entità per avere il giudice attribuito rilievo decisivo soltanto alla condizione
di tossicodipendente dell’imputato, senza considerare i precedenti penali specifici
e il quantitativo non modesto di sostanza stupefacente detenuta; conf. sez. 3, n.
23945 del 29.4.2015, Xhihani, rv. 263651, fattispecie in cui è stata ritenuta legittima l’esclusione dell’attenuante in esame per la protrazione nel tempo dell’attività di spaccio, per i quantitativi di droga acquistati e ceduti, per il possesso
della strumentazione necessaria per il confezionamento delle dosi e per l’elevato
numero di clienti).

4. Infondato è anche il motivo con cui il ricorrente si duole della dosimetria
della pena e del fatto che non si sia partiti da una pena base computata in relazione alla detenzione delle droghe leggere, che erano in maggiore quantità.
I fatti sono del 3.7.2014, quindi successivi alla sentenza della Corte Costituzionale n. 32/2014, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 4bis e 4-vicies ter, del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272, convertito, con
modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 21 febbraio 2006, n. 49.
Con la sentenza in questione, rimossa dal giudice delle leggi la novella del
2006 di cui alla c.d. Legge Fini-Giovanardi, si è determinata, infatti, la reviviscenza del primo e del quarto comma dell’art. 73 del D.P.R. n. 309 del 1990 nel
testo anteriore alle modifiche con quella apportate che, mentre prevedono un
trattamento sanzionatorio più mite, rispetto a quello caducato, per gli illeciti con4

Questa Corte ha anche precisato che la fattispecie del fatto di lieve entità di

cementi le cosiddette “droghe leggere” (puniti con la pena della reclusione da
due a sei anni e della multa, anziché con la pena della reclusione da sei a venti
anni e della multa), viceversa contemplano sanzioni più severe per i reati concernenti le cosiddette “droghe pesanti” (puniti, oltre che con la multa, con la pena della reclusione da otto a venti anni, anziché con quella da sei a venti anni).
E’ stata la stessa Corte Costituzionale a precisarlo in sentenza laddove ha
affermato che “in considerazione del particolare vizio procedurale accertato in
questa sede, per carenza dei presupposti ex art. 77, secondo comma, Cost., deno a ricevere applicazione l’art. 73 del D.P.R. n. 309 del 1990 e le relative tabelle, in quanto mai validamente abrogati, nella formulazione precedente le modifiche apportate con le disposizioni impugnate”.
Nel caso che ci occupa, e di fronte a tale assetto sanzionatorio, è fuori discussione che il reato più grave sia quello attinente la cocaina, droga c.d. pesante, indipendentemente dalla sua quantità. E nel caso che ci occupa il ricorrente

non ha di che dolersi atteso che il giudice del merito è partito da una pena base
pari ad anni otto di reclusione ed euro 25.900 di multa, pari al minimo edittale.
5. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen,

non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al
pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della
sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 1000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 25 maggio 2016
Il

sigliere estensore

Il Presidente

ve ritenersi che, a seguito della caducazione delle disposizioni impugnate, torni-

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