Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28560 del 06/05/2016


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 28560 Anno 2016
Presidente: BLAIOTTA ROCCO MARCO
Relatore: MENICHETTI CARLA

SENTENZA

su ricorsO proposto da:
MARVINI CESARE N. IL 26/09/1931
TONELLOTTO FLAVIANO N. IL 25/03/1951
avverso la sentenza n. 7313/2014 CORTE APPELLO di MILANO, del
10/02/2015
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 06/05/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. CARLA MENICHETTI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. e (- 4.,0
vi,
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv. 5ctAA_

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Data Udienza: 06/05/2016

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 10 febbraio 2015 la Corte d’Appello di Milano confermava la
pronuncia di condanna nei confronti di Marvini Cesare, quale amministratore unico della
società committente dell’opera denominata “Immobil Prestige Group S.r.l.” e anche
dell’impresa esecutrice dei lavori “CO.RI. Group S.r.l.”, e di Tonellotto Flaviano, quale
direttore tecnico di cantiere, per il delitto di omicidio colposo commesso con violazione di

2. Secondo l’ipotesi accusatoria il Padroni, nello svolgimento della propria attività di
fabbro all’interno dell’appartamento 10 A dell’edificio in fase di ristrutturazione sito in
Milano, via Settembrini n.7, nell’intento di estinguere una piccola autocombustione di una
miscela di composti chimici, presente all’interno di un contenitore di plastica, vi aveva
gettato all’interno dell’acqua così da provocare lo sviluppo di un violento incendio. A
causa della mancata adozione di efficienti sistemi idonei allo spegnimento delle fiamme, e
rivelatisi inutili i tentativi di soccorso degli altri dipendenti, il lavoratore aveva subito
gravi ustioni di secondo e terzo grado, estese su tutto il corpo, da cui era derivato il
decesso per arresto cardiocircolatorio.
Di tale evento erano stati ritenuti responsabili il Marvini, il Tonellotto, nelle indicate
qualità, Peroni Gianfranco, assistente di cantiere per l'”Immobil Prestige Group S.r.l.” e
alle dipendenze della società “Pool Service S.r.l.” (imputato non ricorrente) e Gianluigi
Cremascoli, coordinatore per la sicurezza in cantiere (imputato non appellante).

3. La Corte territoriale riteneva sussistente una posizione di garanzia in capo al
Marvini, amministratore di ben tre imprese, tra cui proprio la CO.RI. Group S.r.l.
deputata all’esecuzione dei lavori nel cantiere di via Settembrini, il quale, in assenza di
alcuna delega scritta specifica ad altri per la sicurezza sul luogo di lavoro e per la
prevenzione degli infortuni, aveva omesso ogni attività di vigilanza e controllo sulla
organizzazione del cantiere, mancando di verificare sia la rimozione e lo smaltimento del
materiale di risulta, potenzialmente pericoloso, sia l’esistenza di attrezzature idonee a
fronteggiare una situazione di emergenza, in particolare l’efficienza dei presidi
antincendio (estintori), da tempo invece non oggetto di manutenzione e risultati non
funzionanti.
Quanto al ruolo dell’arch. Tonellotto, questi ricopriva la carica di direttore tecnico di
cantiere, come tale inserito nel piano di sicurezza preparato dal Cremascoli e tenuto a
verificare l’adozione delle misure a tutela dei lavoratori: in realtà, si legge nell’impugnata
sentenza, non aveva mai vigilato, come la normativa vigente gli imponeva, sulla
sicurezza nel cantiere e sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, e non aveva mai

I

specifiche norme antinfortunistiche ai danni del lavoratore Roberto Padroni.

verificato se fosse realmente operativo e funzionante un piano per le situazioni di
emergenza.

3. Propongono distinti ricorsi il difensore di fiducia del Marvini e il Tonellotto in
proprio.
3.1. Il Marvini prospetta due motivi: erronea applicazione della legge penale con
riferimento alle violazioni in materia di D.Igs.n.81/2008, e manifesta illogicità della

Quanto alle violazioni di norme antinfortunistiche, analizza le singole condotte
colpose che gli vengono contestate. L’art.90 del detto D.Igs. prevede la figura del
responsabile dei lavori quale soggetto destinatario del precetto: sicuramente non
spettava al Marvini, committente, l’obbligo di organizzazione di misure di emergenza al
fine di attuare un’adeguata lotta antincendio e di provvedere alla manutenzione ed al
controllo degli estintori, che comunque non potevano essere usati sulle persone ma solo
sulle cose. Lo stesso dicasi per l’art.90, che si rivolge del pari al responsabile dei lavori, e
dunque non poteva essere imputata al Marvini la omessa verifica del PSC da parte delle
imprese esecutrici e la corretta applicazione delle procedure di lavoro contenute nei
rispettivi POS. L’art.96, comma 1, lett.e) è invece indirizzato al datore di lavoro delle
imprese affidatarie ed esecutrici, e non poteva di conseguenza essere ascritto al Marvini il
fatto di non aver provveduto ad allontanare o rimuovere residui di altre lavorazioni.
L’ultima specifica negligenza, prevista dall’art.43, comma 1, lett.b) – ossia non aver
designato preventivamente i lavoratori di cui all’art.18, comma 1, lett.b) – pur non
rispondendo alla realtà, risultando apposita nomina di De Gregorio Luigi, era comunque
inconferente con gli accadimenti.
Quanto alla manifesta illogicità della motivazione, deduce che – in base alle
considerazioni dello stesso consulente del P.M. – si era trattato di un accadimento
eccezionale, imprevedibile, difficilmente ascrivibile alla tipicità dell’ambiente lavorativo
edilizio, e perciò doveva essere esclusa la sussistenza dell’elemento soggettivo della
colpa, anche alla luce del contesto probatorio che non aveva consentito di ricostruire con
certezza gli accadimenti.
3.2. Il Tonellotto, con unico ampio motivo, lamenta violazione di legge e vizio di
motivazione in ordine all’applicazione dell’art.40 c.p. Argomenta in proposito che già dal
febbraio 2006 aveva cessato la carica di amministratore unico della Immobil Prestige
Group S.r.l., società committente, e dal marzo 2006 la carica di amministratore unico
della società appaltatrice CO.RI. Group S.r.l. Le questioni di sicurezza non potevano
essere quindi ricondotte alla sua responsabilità, neppure in caso si ipotizzasse un suo
ruolo di amministratore occulto, poiché di competenza del coordinatore per la
progettazione e del coordinatore per l’esecuzione dei lavori, funzioni che facevano capo
all’architetto Cremascoli. Il ruolo del committente in materia di sicurezza sul lavoro

motivazione.

rimaneva del tutto marginale se non addirittura assente e in ogni caso egli svolgeva per
la società committente compiti di natura meramente commerciale, interessandosi solo
delle vendite immobiliari.

CONSIDERATO IN DIRITTO

2. In ordine alla dinamica dei fatti, di cui è opportuno dare breve contezza, si
osserva – in base a quanto ricostruito con tranquillante certezza dai giudici di merito che il Padroni, dipendente della Metallart snc con qualifica di fabbro, si era recato presso
il cantiere di via Settembrini in Milano per eseguire lavori di saldatura all’interno
dell’appartamento 10A posto al primo piano. Attirato dall’odore acre di fumo o di bruciato
proveniente dall’appartamento a fianco 10B vi aveva fatto ingresso ed aveva rinvenuto
un contenitore in plastica normalmente utilizzato per vernici o simili da cui proveniva una
fiamma. Aveva allarmato quindi altro operaio della necessità di spegnere l’incendio ma
all’arrivo di questi, munito di un estintore, era ormai in fiamme con ustioni diffuse. Era
stato poi accertato, in base alla consulenza tecnica del P.M. ed alle osservazioni dei
consulenti delle difese, che all’interno del contenitore da cui si erano sviluppate le fiamme
erano presenti degli stracci imbevuti di materiale chimico incollante utilizzato per
l’applicazione del parquet, in particolare uno dei prodotti era l’Adesiver 184, composto da
sostanze che reagivano in autocombustione con l’umidità. Era dunque accaduto che al
prevedibile tasso di umidità presente nel cantiere aperto, stante il periodo invernale, si
era aggiunta l’acqua istintivamente gettata dal Padroni nel tentativo di spegnere il fuoco,
e ciò aveva sprigionato l’ulteriore sviluppo repentino della fiamma che aveva investito il
lavoratore, come evidenziato dagli schizzi e dalle tracce di fumo rilevati dalla polizia
scientifica sulle pareti della stanza.
Tale dinamica, così come accertata all’esito dell’istruttoria dibattimentale, ha portato
i giudici di merito, con motivazione corretta e immune da vizi logici e giuridici, a
concludere che il nucleo dell’insorgere e dello sviluppo delle fiamme, e quindi della morte
del Padroni, andava rintracciato nella organizzazione, o meglio nella totale
disorganizzazione del cantiere sul piano della sicurezza: il contenitore da cui era
sprigionato il fuoco era stato abbandonato, con il suo contenuto pericoloso, senza alcun
controllo, senza alcuna attenzione sulla sua collocazione, senza alcuna sorveglianza su
chi lo aveva riempito, senza il rispetto di ogni regola di elementare prudenza che avrebbe
dovuto imporre in primo luogo di utilizzare non certo un secchio in plastica, materiale
anch’esso facilmente infiammabile, e poi comunque di svuotarlo ovvero di riporlo in una
zona destinata allo smaltimento, lontana da un possibile contatto con persone o cose. I
residui delle colle e in genere delle lavorazioni dei materiali potenzialmente pericolosi

1. I ricorsi sono infondati.

avrebbero dovuto essere smaltiti e portati via giornalmente, mentre in cantiere non vi
era nessuno incaricato in concreto della loro rimozione. A ciò andava aggiunta la
inesistenza di un qualunque sistema di protezione antincendio all’interno del cantiere, e
ciò nonostante l’uso di materiali infiammabili intrinsecamente pericolosi: il rischio non era
in alcun modo governato, come dimostrato dall’improvvisato intervento dell’operaio per
spegnere le fiamme, a mezzo di un estintore, peraltro scarico e comunque non
utilizzabile sulle persone, e due sacchi di cemento mezzi pieni. In conclusione, nel

altri incidenti) ed era stata omessa ogni informazione e formazione degli operai sui rischi
delle singole fasi di lavorazione. Non si era trattato quindi di un evento eccezionale,
attribuibile al comportamento imprudente dell’operaio che aveva “gettato acqua sul
fuoco” ma di un evento ascrivibile alle gravi e stabili omissioni della catena di sicurezza
del cantiere e, segnatamente, delle prescrizioni in tema di prevenzione e protezione
antincendio. Queste le circostanze indiscutibilmente riscontrate, su cui si sono
ampiamente soffermati sia il Tribunale sia la Corte di Milano, quest’ultima in sede di
rigetto dei motivi di gravame con una motivazione non solo per relationenn ma
integrativa di quelle di prime cure con ulteriori specifiche argomentazioni circa il nesso di
causalità tra le dette omissioni e l’evento.

3. Tali rilievi portano al rigetto del secondo motivo di ricorso svolto dal Marvini in
tema di causalità della colpa, essendo stato l’evento morte derivato dal difetto assoluto di
qualsiasi minima organizzazione della protezione.

4. I ricorrenti hanno contestato entrambi la posizione di garanzia.
4.1. Il Marvini ha ricoperto il ruolo di amministratore delle due società, committente
e appaltatrice e dunque ha rivestito una duplice e contestuale posizione di garanzia.
E’ vero che vi erano altre figure titolari di posizioni di garanzia – Gianluigi Cremascoli,
coordinatore nelle fasi di progettazione e di esecuzione dei lavori, Peroni Gianfranco, di
fatto capo cantiere, lo stesso Tonellotto Flaviano, direttore tecnico del cantiere – come
dedotto nel primo motivo di ricorso e come acclarato nelle sentenze di condanna, ma ciò
non svuotava di contenuto la posizione di garanzia del Marvini relativamente alla
sicurezza del cantiere, in quanto nessun controllo e vigilanza egli aveva mai esercitato
anche in relazione ai lavori svolti dalle varie ditte sub-appaltatrici, come da sua espressa
ammissione, lasciando tutto affidato senza alcuna pianificazione alle scelte contingenti ed
occasionali del Cremascoli e del Peroni, dimostratisi anch’essi totalmente incompetenti,
interessato egli unicamente degli aspetti economici dell’operazione di ristrutturazione e
vendita degli immobili di via Settembrini. Come ben evidenziato dalla Corte territoriale,
non era stata poi dimostrata la sussistenza di alcuna delega scritta specifica ad altri per
la sicurezza sul luogo di lavoro e per la prevenzione infortuni e dunque, nella qualità

5

cantiere vi era mancanza assoluta di misure di sicurezza (nonostante fossero accaduti

amministrativa apicale rivestita in entrambe le società parti del contratto di appalto, egli
avrebbe dovuto dirigere, controllare, vigilare, verificare di persona che l’organizzazione
del cantiere fosse idonea a prevenire, prima ancora che fronteggiare, una eventuale
situazione di emergenza, in particolare lo smaltimento di materiali potenzialmente
pericolosi.
4.2. Il Tonellotto ricopriva, come già detto, la carica di responsabile tecnico del
cantiere, come tale inserito nel piano di sicurezza preparato dal Cremascoli, e, secondo

cantiere e nello specifico la sicurezza. La Corte di Milano, nel ribadire la sua
responsabilità in ordine all’evento, ha sottolineato che il Tonellotto, interrogato sui fatti e
sul suo ruolo, non aveva mai verificato di persona l’adozione delle misure di sicurezza nel
cantiere ma si era limitato a chiedere a tutti di agire nel rispetto delle normative vigenti,
senza mai riscontrare se un piano per le situazioni di emergenza operasse in concreto e
non solo sulla carta.
In ogni caso, la possibilità che in cantiere si sviluppasse un incendio non era stata
prevista, gli estintori non erano stati manutenuti ed erano vuoti, nessuno si era mai
posto il problema dell’utilizzo di materiali infiammabili e del loro smaltimento, né erano
state coordinate le fasi di lavorazione affidate a ditte in sub-appalto, ed in particolare alla
Metallart alle cui dipendenze lavorava il Padroni.

5. E’ stata dunque ben evidenziata dai giudici distrettuali la evidente responsabilità
degli imputati per la inesistenza, in concreto, di ogni presidio di sicurezza sul cantiere.
Ne deriva il rigetto dei ricorsi e la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese
processuali.

P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 6 maggio 2016

Il Consig

ensore

Il Presidente

quanto dichiarato dal Marvini, delegato (verbalmente) di “tutte le funzioni” riguardanti il

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