Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28559 del 06/05/2016


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 28559 Anno 2016
Presidente: BLAIOTTA ROCCO MARCO
Relatore: MENICHETTI CARLA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DALLA VECCHIA GIANROBERTO N. IL 13/05/1935
avverso la sentenza n. 3883/2010 CORTE APPELLO di VENEZIA, del
16/01/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 06/05/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. CARLA MENICHETTI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

no,

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Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

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ecc.,

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Data Udienza: 06/05/2016

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 16 gennaio 2014 la Corte d’Appello di Venezia riduceva la
pena irrogata dal Tribunale di Vicenza a Dalla Vecchia Gianroberto, quale amministratore
unico della ditta Maber s.r.I., per il reato di omicidio colposo, aggravato dalla violazione di
norme antinfortunistiche, ai danni del dipendente Ennio Leoni, deceduto a Schio il 19

2. La Corte territoriale riteneva incontestata la dinamica dell’infortunio, avvenuto
mentre il Leoni stava utilizzando il tornio verticale appositamente modificato dalla Maber
mediante la sistemazione di rialzi sotto i morsetti, così da collocare in posizione più
elevata il pezzo in lavorazione che, nell’occasione, pesava circa 300 kg. Quasi un’ora
dopo che il Leoni aveva iniziato a lavorare al tornio, si erano improvvisamente staccati
tre dei quattro elementi in acciaio (ognuno del peso di circa 200 kg.) usati per fissare il
pezzo al mandrino del tornio. A causa della forza centrifuga i tre elementi avevano
sfondato le barriere di protezione e colpito il dipendente che si era posto a riparo delle
stesse, con un impatto talmente violento da causare lo sfondamento della scatola cranica
e l’immediato decesso del lavoratore per arresto cardiocircolatorio da trauma.

3. Le specifiche contravvenzioni ascritte al Dalla Vecchia, dichiarate in appello estinte
per prescrizione, erano le seguenti: a) inosservanza dell’art.35, comma 1,
d.lgs.n.626/1994 per aver messo a disposizione dei lavoratori un tornio verticale
modificato dalla propria azienda in modo pericoloso per la sicurezza degli addetti, in
quanto erano stati realizzati nuovi blocchi di fissaggio con peso quadruplicato rispetto agli
originali (da 50 a 200 kg.) privi di sistema supplementare di ritegno (consistente in un
tassello di acciaio da innestare nelle apposite fresature presenti sulla tavola della
macchina); b) inosservanza dell’art.4, comma 2, del medesimo d.lgs. per non aver
eseguito una corretta valutazione dei pericoli inerenti la citata modifica e non aver
aggiornato il documento di valutazione dei rischi; c) nell’inosservanza dell’art. 38, comma
1, dello stesso d.lgs. per non aver impartito ai lavoratori un addestramento adeguato e
specifico relativo all’attrezzaggio ed all’uso del tornio con i blocchi di fissaggio modificati.

4. Nel respingere i singoli motivi di gravame avverso la pronuncia di condanna, la
Corte di Venezia riteneva in primo luogo che la designazione del dott. Tirondola quale
responsabile esterno del servizio di protezione e prevenzione aziendale (RSSP) non era
elemento valorizzabile al fine di escludere la responsabilità dell’imputato, sia perché non
era provato che il detto professionista godesse di un’autonomia gestionale e di spesa sì
da poterlo individuare quale esclusivo garante del rispetto degli obblighi e delle
prescrizioni vigenti in materia di prevenzione degli infortuni, sia perché la natura

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giugno 2006.

macroscopica delle modifiche apportate al tornio avrebbe dovuto determinare in un
soggetto di media esperienza ed ordinaria diligenza la prefigurazione dei rischi connessi
ai nuovi dati ponderali della macchina e l’esigenza quindi di sottoporre l’apparecchiatura
modificata ad un accurato esame da parte del responsabile della sicurezza prima che la
stessa venisse messa in funzione nell’ambito del processo produttivo. Il Dalla Vecchia
avrebbe dovuto quindi richiedere al professionista designato una specifica e documentata
valutazione di tutti i rischi suscettibili di configurarsi per la sicurezza dei lavoratori in

tale valutazione non era stata compiuta affatto ovvero era stata compiuta in maniera
superficiale, mancando una relazione scritta in ordine alle modifiche strutturali apportate
al tornio e la conseguente analisi dei rischi. Sotto quest’ultimo aspetto rilevava ancora
che l’incidenza causale relativa all’omesso adeguato fissaggio dei bulloni era del pari
conseguenza di una colpa del Dalla Vecchia, il quale non aveva provveduto né ad
impartire una specifica formazione ai propri dipendenti né a fornire loro gli strumenti
necessari a stringere i bulloni con uno stretto serraggio. Quanto poi alla doglianza
relativa alla lacuna probatoria derivante dal mancato sequestro del pezzo in lavorazione il cui esame avrebbe permesso di stabilire l’eventuale riconducibilità dell’evento anche ad
un’errata impostazione dei parametri di lavorazione da parte del Leoni – la Corte rilevava
che si trattava di mera ipotesi congetturale, mentre era indubbio che il Leoni fosse un
operaio di esperienza e comunque la mancata formazione dei dipendenti circa l’utilizzo
del tornio modificato costituiva omissione talmente grave da escludere l’incidenza causale
di un eventuale errore del lavoratore rispetto all’evento.

5. L’imputato, per il tramite del difensore di fiducia, ha proposto ricorso affidato a
cinque motivi.
Con un primo motivo censura, sotto il profilo della contraddittorietà ed illogicità della
motivazione, il ragionamento della Corte d’Appello, che dopo aver affermato che
l’imputato avrebbe potuto rendersi conto del rischio connesso alla modificazione del
macchinario dato in uso al lavoratore, aveva poi sostenuto che tale rischio avrebbe
dovuto essere valutato da un professionista esterno dotato di speciali conoscenze
tecniche.
Con un secondo motivo deduce il medesimo vizio per avere la Corte, prima
affermato che l’imputato avrebbe dovuto richiedere al responsabile per la prevenzione e
sicurezza o al proprio consulente esterno di valutare tutti i rischi connessi all’uso del
tornio modificato, e poi dato conto che tale verifica era stata effettivamente effettuata.
Con un terzo motivo prospetta identico vizio di motivazione per avere la Corte
ritenuto non provato che il consulente aziendale avesse visionato il tornio, mentre in
ordine a tale esame avevano puntualmente riferito i testi escussi.

conseguenza dell’impiego del tornio modificato. L’istruttoria aveva dimostrato che una

Con un quarto motivo deduce inosservanza o erronea applicazione della legge
penale, in particolare dell’art.43 c.p., e contraddittorietà o manifesta illogicità della
motivazione circa la ritenuta sussistenza di un nesso eziologico tra l’asserita omessa
valutazione dei rischi e l’evento. Secondo il ricorrente non era infatti sufficiente affermare
che si era omesso di valutare il rischio e di elaborare il relativo documento, ma era
necessario chiarire a quali misure concrete di prevenzione avrebbe condotto tale
valutazione, poiché la regola cautelare non poteva essere ricostruita in termini generici

Con un quinto motivo infine si lamenta contraddittorietà o manifesta illogicità della
motivazione per avere la Corte ritenuto che i bulloni andassero fissati con una prolunga
quando il consulente della difesa aveva scientificamente dimostrato che tale prolunga non
era necessaria.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso non merita accoglimento.

2. Con i primi tre motivi, che possono essere analizzati congiuntamente, il ricorrente
lamenta difetto di motivazione della impugnata sentenza, la quale non avrebbe tenuto in
debito conto la presenza ed il ruolo svolto dall’ing. Tirondola, all’epoca designato quale
responsabile esterno del servizio prevenzione e protezione.
Le doglianze sono infondate.
Giova in primo luogo evidenziare che in sede di appello la difesa aveva sollecitato la
riforma della pronuncia di condanna sul rilievo che il Dalla Vecchia, pur non avendo
rilasciato alcuna delega in materia di prevenzione infortuni e sicurezza, si era sempre
avvalso di un responsabile esterno per lo svolgimento di tale funzione, il quale, dopo aver
valutato il rischio inerente al tornio in questione, lo aveva qualificato come conforme alla
normativa di sicurezza pur dopo le modifiche apportatevi, con la conseguenza che nessun
addebito di colpa poteva essere mosso all’imputato, privo delle cognizioni necessarie sia
per apprezzare direttamente i rischi inerenti alla modifica, sia per avvedersi
dell’eventuale errore di valutazione commesso dal professionista all’uopo designato.
La Corte di Venezia, con argomentazioni corrette ed immuni da censure, ha escluso
– come già esposto nella narrativa in fatto – che nella fattispecie potesse ravvisarsi
l’ipotesi, considerata dalla giurisprudenza di questa Corte di legittimità come idonea a
comportare l’esonero di responsabilità per il datore, della mancata rappresentazione a
quest’ultimo da parte del professionista designato di un rischio la cui conoscenza
derivasse in via esclusiva da competenze specialistiche (così S.U., 24 aprile 2014,
n.38343 Rv. 261107).

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ed astratti.

E’ vero che nel sistema prevenzionistico il responsabile per la sicurezza svolge un
importante ruolo di collaborazione con il datore di lavoro ed ha rilevanti compiti che
consistono nella individuazione e valutazione dei rischi e nel proporre le necessarie
misure preventive e protettive e può essere quindi chiamato a rispondere di un eventuale
evento lesivo o mortale quale titolare di autonoma posizione di garanzia. Nel caso di
specie però, come ben evidenziato dai giudici di merito, il professionista incaricato era
soggetto privo di un ruolo gestionale e decisionale, fungendo piuttosto da mero supporto

garante della sicurezza.
Inoltre, stante le assai rilevanti modifiche apportate al tornio, il Dalla Vecchia, per la
sua esperienza ultraventennale nel settore della meccanica, avrebbe dovuto prefigurarsi i
rischi inevitabilmente connessi all’utilizzo di tale apparecchiatura, in ragione
precipuamente dei dati ponderali della macchina e dei pezzi da lavorare ed ancora della
forza centrifuga che si sarebbe sviluppata nel corso delle lavorazioni: egli perciò avrebbe
dovuto esigere un accurato esame del tornio modificato prima che venisse posto in
funzione e pretendere dal responsabile della sicurezza una valutazione accurata dei rischi
connessi al suo uso. Nulla di tutto ciò, come ben sviluppato dalla Corte di merito nel
percorso motivazionale della impugnata sentenza, con approfonditi richiami alle
acquisizioni istruttorie, era stato fatto dall’imputato: non vi era alcuna prova che una
valutazione in tal senso fosse stata effettivamente richiesta al Tirondola né da questi
conseguentemente compiuta per verificare se l’apparecchiatura, così modificata, potesse
essere inserita nell’organizzazione aziendale senza rischi per i lavoratori; il figlio
dell’imputato, teste della difesa, aveva riferito genericamente del fatto che il
professionista aveva visionato il tornio ma non aveva poi ricevuto alcuna comunicazione
in esito a tale valutazione; vi era stato, da parte dell’ingegnere incaricato, solo un esame
superficiale della macchina già revisionata, inidoneo ad escludere da parte dell’imputato
l’adempimento del dovere di sua esclusiva competenza di acquisire informazioni
specifiche e dettagliate, indispensabili per procedere alla valutazione del rischio connesso
alle macroscopiche modifiche strutturali apportate, comportanti una significativa
innovazione della modalità di svolgimento della lavorazione. Di qui la conclusione,
raggiunta dalla Corte territoriale con ragionamento immune da vizi logici e giuridici, che
l’imputato non aveva proceduto ad una corretta valutazione del rischio per non aver
precedentemente acquisito in maniera formale, approfondita ed esauriente, i dati
indispensabili alla valutazione medesima, con una condotta colposa che si era posta come
causa esclusiva dell’evento.

3. Da tali considerazioni discende la infondatezza anche del quarto motivo, con cui la
difesa lamenta l’insufficienza dell’affermazione di una omessa valutazione del rischio, in
quanto la Corte avrebbe dovuto chiarire all’adozione di quali misure di prevenzione e

alle determinazioni del datore di lavoro, e dunque non poteva essere ritenuto esclusivo

protezione tale valutazione del rischio avrebbe condotto, perché il precetto privo di un
contenuto modale non può assurgere a regola cautelare.
Il motivo, rappresentato sotto il profilo del mancato accertamento della causalità
della colpa, è destituito di fondamento. Secondo quanto accertato dal personale Spisal e
dal consulente del P.M. – elementi esposti nella impugnata sentenza – il tornio verticale
era stato modificato mediante il posizionamento di rialzi sotto i morsetti così da collocare
in posizione più elevata il pezzo in lavorazione, del peso al momento di 300 kg., gli

forza centrifuga sviluppata avevano raggiunto le barriere di protezione sfondandole e
impattando contro il lavoratore che invano si era posto a riparo delle stesse.
Era stata quindi effettuata una modifica importante della macchina, senza alcun
accorgimento in ordine ad eventuali nuovi rischi connessi al suo utilizzo: proprio le
modifiche del tornio ed in particolare l’insufficiente serraggio delle viti dei morsetti che
trattenevano il pezzo in lavorazione erano risultati inidonei a contrastare la forza
centrifuga sviluppata nel movimento della macchina, in modo da comportare il distacco
violentissimo del pezzo, che per il peso e la forza impressa non era stato frenato dalla
barriera protettiva. L’adozione di un sistema supplementare di ritegno, come contestato
nel capo di imputazione come profilo di colpa specifica, avrebbe quindi evitato il distacco
del pezzo e il decesso della vittima, da questo attinta violentemente.

4. Da ultimo, è stata esclusa ogni colpa del lavoratore perché – aspetto del pari bene
evidenziato dalla Corte di Venezia – l’incidenza causale riferibile alla mancanza di un
adeguato fissaggio dei bulloni era del pari ascrivibile alla colposa condotta omissiva del
Dalla Vecchia, il quale, non avendo valutato a monte il rischio, non aveva provveduto né
ad impartire ai propri dipendenti addetti a lavorare al tornio una specifica formazione, né
a fornire gli strumenti necessari ad assicurare il fissaggio dei bulloni, che continuavano
ad essere stretti a mano con una normale chiave inglese, con modalità approssimative e
senza l’uso di alcuno strumento che consentisse di ottenere un serraggio più stretto e
quindi più sicuro. Di fronte a tali gravissime carenze formative e informative, nessuna
condotta anomala ed incompatibile con il sistema di lavorazione al tornio era stata
assunta dal Leoni, che era impegnato nell’esercizio delle mansioni normalmente svolte,
inconsapevole dei rischi insisti in un fissaggio inadeguato e dunque impreparato a
fronteggiarli.

5. Il ricorso va pertanto rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle
spese processuali.

6

elementi usati per fissare il pezzo al mandrino del tornio si erano staccati e a causa della

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 6 maggio 2016

nsore

Il Presidente

Il Consigli

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