Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28557 del 05/05/2016


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 28557 Anno 2016
Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: CAPPELLO GABRIELLA

SENTENZA
sul ricorso promosso da:
ROSSI Vinicio
n. 26/05/1936
SOCIETA’ “ENTE ROSSI IMBALLAGGI s.r.1., in persona del legale rappresentante
avverso la sentenza n.2813/2015 della COR I t, D’APPELLO di ANCONA
del 06/07/2015
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
fatta la relazione dal Cons. dott. Gabriella CAPPELLO;
sentite le conclusioni del Procuratore Generale, in persona del dott. Aldo
POLICASTRO, il quale ha concluso per l’annullamento con rinvio della
sentenza impugnata per quanto riguarda il ricorso della Imballaggi s.r.l. e
l’inammissibilità del ricorso del Rossi;

Data Udienza: 05/05/2016

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza 06/07/2015, La Corte d’appello di Ancona ha confermato la sentenza
del Tribunale di Urbino, appellata dall’imputato ROSSI Vinicio e dall’Ente “ROSSI IMBALLAGGI
s.r.l.”, con la quale il primo era stato dichiarato colpevole di lesioni colpose aggravate ai sensi
degli artt. 590 e 583 co. 1 n. 1 e 113 cod. pen. per avere, in concorso con COPELLI Renato
(giudicato separatamente), n.q. di presidente del C.d.A. della ditta “ROSSI IMBALLAGGI s.r.l.”
e, quindi, datore di lavoro di TACCONI Pierluigi, per negligenza, imprudenza, imperizia, nonché

d. Igs. 81/2008], avendo omesso di mettere a disposizione del predetto TACCONI attrezzature
conformi e adeguate al lavoro da svolgere (utilizzando una macchina laminatrice, priva di
qualsiasi sistema di sicurezza atto ad evitare il contatto accidentale degli operatori con l’organo
lavoratore in movimento posizionato all’ingresso della stessa), cagionato lesioni personali gravi
al predetto TACCONI, il quale, mentre stava lavorando al macchinario, inserendo fogli di
cartone al suo interno per l’incisione delle apposite linee di piegatura, scivolava ed agganciava
il piede sinistro al rullo in movimento che lo trascinava all’interno degli organi lavoratori in
movimento, riportando la perdita cutanea all’avampiede e al dorso del piede sinistro con
fratture delle falangi II e del V dito, per un periodo di malattia di oltre 63 giorni. Con la stessa
sentenza, l’Ente sopra indicato era riconosciuto responsabile della violazione amministrativa di
cui all’art. 25 septies d. Igs. 231 del 2001, come modificato dall’art. 300 del d. Igs. 81 del
2008, in relazione al reato di cui sopra, commesso nel suo interesse e a suo vantaggio da
ROSSI Vinicio, legale rappresnetante della ditta, in violazione delle norme di prevenzione degli
infortuni sopra indicate [artt. 71 co. 1 e 87 co. 1 lett. b) decreto 81/2008], avendo omesso di
adottare un modello di organizzazione e gestione idoneo a prevenire la commissione nel suo
interesse o a suo vantaggio del reato di cui all’art. 590 cod. pen.
2. La Corte di merito ha respinto l’eccezione di inutilizzabilità della prova testimoniale
assunta ex art. 507 c.p.p., ritenendo che il giudice di primo grado avesse correttamente
esercitato il potere discrezionale di cui alla norma richiamata, anche sulla scorta della
giurisprudenza di legittimità.
Quanto al merito, quel giudice non ha condiviso la lettura delle norme anti
infortunistiche proposta da parte appellante, secondo cui la responsabilità dell’infortunio era
ascrivibile esclusivamente al comportamento del lavoratore infortunato, non attribuendo rilievo
alla circostanza che costui lavorava da tempo a quel macchinario e fosse stato istruito sul suo
funzionamento. Infatti, secondo il giudice del gravame, l’evento sarebbe stato impedito dalla
conformità della macchina alle disposizioni antinfortunistiche, come dimostrato anche dalla
circostanza che, dopo il fatto, essa era stata dotata di un dispositivo di sicurezza (consistente
nel restringimento dell’imboccatura ove era penetrato il piede dell’infortunato) e di una
fotocellula che, in caso di ingresso di copri diversi dai fogli di cartone o di accidentale contatto
con parti del corpo, ne provocava l’immediato arresto.
2

per colpa specifica [artt. 71 co. 1 e 87 co. 1 lett. b) del d. Igs. 81/2008, artt. 23 e 57 co. 2 del

Quel giudice ha poi ritenuto tardivamente formulata la richiesta di riduzione della pena
(che, comunque, ha stimato persino troppo mite rispetto alla gravità della colpa, tenuto conto
della natura basilare, nell’ottica della prevenzione degli infortuni sul lavoro, della norma
violata), e della conversione di essa.
2. L’imputato ha proposto ricorso per cassazione, a

mezzo di difensore,

formulando quattro separati motivi.
Con il primo, ha dedotto violazione di legge con riferimento all’art. 507 c.p.p.,
riproponendo il contenuto dell’eccezione già sollevata in appello con riferimento alla
integrazione istruttoria disposta dal Tribunale (con l’audizione del teste Mattioli, non

contestandone la ritualità, avendo il giudice supplito ad una inerzia dell’organo della
pubblica accusa, violando la terzietà e imparzialità e i principi del giusto processo,
che potrebbero ritenersi salvaguardati solo ove l’intervento integrativo del giudice
riguardi elementi non conosciuti ed emersi a seguito dell’instaurato contraddittorio.
Con il secondo, ha dedotto vizio motivazionale, precisando che l’infortunio era
accaduto il 21.11.2008 e non nel gennaio 2009 (avendo il P.M. modificato il capo
d’imputazione all’udienza del 30.09.2011); che esso era da ascriversi al
comportamento dell’infortunato (operaio specializzato che ben conosceva il lavoro ed
era stato adeguatamente informato dei rischi inerenti le lavorazioni), assolutamente
imprevedibile ed anomalo e, quindi, non governabile da parte del datore di lavoro.
Con il terzo, ha dedotto violazione di legge e vizio di omessa motivazione, con
riferimento alle caratteristiche del macchinario, che era a norma di legge e non era
stato manomesso, alla perizia del lavoratore e alla presenza di un capo operaio nelle
vicinanze della lavorazione, rilevando che la resposnabilità del datore di lavoro era
stata affermata senza una previa identificazione del rischio e senza considerare il
livello in cui era collocato il soggetto deputato al governo di tale pericolo (nella
fattispecie, la parte rinvia alla conformità CE del macchinario, alla redazione del
modello 231/91, alla partecipazione del lavoratore ai corsi obbligatori per la
sicurezza, all’affiancannento del predetto ad un capo operaio).
Infine, con il quarto motivo, la parte ha dedotto vizio di omessa motivazione in
relazione alla richiesta di riduzione della pena e della conversione di essa ex artt.
132 e 135 cod. pen.
Con successiva memoria depositata il 13 aprile 2016, il ricorrente ha formulato
un ulteriore motivo, deducendo vizio motivazionale e integrando le proprie
considerazioni in ordine al comportamento tenuto dalla vittima, anche mediante un
richiamo a recente giurisprudenza di questa sezione.
3.

Ha proposto ricorso per cassazione anche l’ente amministrativamente

responsabile, a mezzo di proprio difensore formulando tre separati motivi.

3

indicato dal P.M., sebbene risultasse sin dall’inizio estensore del rapporto)

Con il primo, ha dedotto violazione di legge con riferimento all’art. 507 del
codice di rito, riproponendo argomenti sostanzialmente sovrapponibili a quelli esposti
dall’imputato.
Con il secondo, ha dedotto vizio motivazionale, per avere il giudice del
gravame ignorato la circostanza che il modello di organizzazione e gestione (la cui
mancanza è oggetto dell’imputazione a norma dell’art. 25 septies del d.lgs. 231/01)
era presente in azienda, essendo stato depositato sin dal 22.07.2008 e cioè prima
del fatto.
Con il terzo motivo, ha dedotto violazione di legge, con riferimento alla norma

risarcimento del danno (tanto che l’infortunato ha revocato la propria costituzione di
parte civile) e dovendo, pertanto, essere operata la riduzione di cui al richiamato
articolo 12 co. 1 lett. b), co. 2 lett. a) e b) e co. 3.
Con memoria depositata il 14 aprile 2016, la parte ha formulato un ulteriore
motivo, con il quale ha dedotto violazione di legge con riferimento agli artt. 157 cod.
pen. e 22 d.lgs. 231/01, essendo maturata la prescrizione dell’illecito avvenuto il 21
novembre 2008.
Considerato in diritto

1. Il ricorso proposto nell’interesse dell’imputato ROSSI Vinicio va rigettato.
2. Tutti i motivi di rcorso sono infondati.
2.1. Il primo riguarda l’attivazione dei poteri istruttori del giudice ai sensi dell’art. 507
c.p.p. e, in merito ad esso, pare sufficiente una rassegna delle decisioni di questa Corte per
rilevare l’assoluta infondatezza degli assunti difensivi. Si è infatti affermato che “Il potere del
giudice di assumere d’ufficio nuovi mezzi di prova a norma dell’art. 507 cod.proc. pen., può
essere esercitato anche con riferimento a quelle prove che le parti avrebbero potuto
richiedere e non hanno richiesto, ove sussista il requisito della loro assoluta necessità” (cfr.
Sez. 1 n. 3979 del 28/11/2013 Ud. (dep. 29/01/2014), Rv.259137).
Ed infatti, l’opzione in favore del principio dispositivo desumibile dall’art. 190 c.p.,
comma 1 non è incondizionata, ma subisce plurime deroghe, essendo previsto il ripristino dei
poteri istruttori d’ufficio nel giudizio dibattimentale ai sensi dell’art. 507 c.p.p., nel giudizio di
appello ai sensi dell’art. 603 c.p.p., comma 3, nel giudizio abbreviato ai sensi dell’art. 441
c.p.p., comma 5. Inoltre, tali deroghe al principio dispositivo sono compatibili con il principio
del contraddittorio affermato dall’art. 111 Cost., comma 2, atteso che la prova testimoniale
ammessa d’ufficio a norma dell’art. 507 c.p.p., al pari della prova ammessa su richiesta delle
parti, è assunta nel rispetto delle regole del contraddittorio e secondo la modalità dell’esame
diretto e controesame stabilite dall’art. 498 c.p.p. (in tal senso Sez. U, n. 41281 del
17/10/2006, Rv. 234907; Sez. U, n. 11227 del 06/11/1992, Rv. 191606).
Nessuna inutilizzabilità, quindi, può ritenersi con riferimento all’attività istruttoria
svolta nel caso di specie, atteso che “L’ammissione di prove non tempestivamente indicate
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processuale di cui all’art. 12 del d.lgs. 231/01, avendo la società provveduto al

dalle parti nelle apposite liste non comporta alcuna nullità, né le prove in questione, dopo
essere state assunte, possono essere considerate inutilizzabili “…posto che l’art. 507 cod. proc.
pen. consente al giudice di assumere d’ufficio anche prove irregolarmente indicate dalle parti,
ed in ogni caso non sussiste un divieto di assunzione che possa attivare la sanzione di
inutilizzabilità prevista dall’art. 191 cod.proc.pen.” (cfr. Sez. 5 n. 8394 del 02/10/2013 Ud.
(dep. 21/02/2014), Rv. 259049).
2.2. Parimenti infondate sono le censure dedotte con il secondo e il terzo motivo di
ricorso e con il motivo unico formulato nella successiva memoria.
La sentenza impugnata ha espressamente motivato in ordine al comportamento tenuto

utilizzando le mani) e ai suoi riflessi sull’eventuale interruzione della sequenza causale tra la
condotta omissiva e l’evento. Nessun vizio inficia il ragionamento sviluppato sul punto dalla
Corte di merito, risultando esso pure coerente con i principi di diritto, più volte ribaditi da
questa stessa sezione, secondo cui “In tema di prevenzione antinfortunistica, perché la
condotta colposa de/lavoratore faccia venir meno la responsabilità del datore di lavoro, occorre
un vero e proprio contegno abnorme del lavoratore medesimo, configurabile come un fatto
assolutamente eccezionale e del tutto al di fuori della normale prevedibilità, quale non può
considerarsi la condotta che si discosti fisiologicamente dal virtuale ideale” (cfr. Sez. 4 n.
22249 del 14/03/2014, Rv. 259127). Sempre con riferimento al concetto di “atto abnorme”, si
è pure precisato che tale non può considerarsi il compimento da parte del lavoratore di
un’operazione che, pure inutile e imprudente, non sia però eccentrica rispetto alle mansioni a
lui specificamente assegnate nell’ambito del ciclo produttivo (cfr. Sez. 4 n. 7955 del
10/10/2013 Ud. (dep. 19/02/2014), Rv. 259313).
L’abnormità del comportamento del lavoratore, dunque, può apprezzarsi solo in
presenza della imprevedibilità della sua condotta e, quindi, della sua ingovernabilità da parte di
chi riveste una posizione di garanzia. Sul punto, si è peraltro efficacemente sottolineato che
tale imprevedibilità non può mai essere raavisata in una condotta che, per quanto imperita,
imprudente o negligente, rientri comunque nelle mansioni assegnate, poiché la prevedibilità di
uno scostamento del lavoratore dagli

standards di piena prudenza, diligenza e perizia

costituisce evenienza immanente nella stessa organizzazione del lavoro. Il che, lungi
dall’avallare forme di automatismo che svuotano di reale incidenza la categoria del
“comportamento abnorme”, serve piuttosto ad evidenziare la necessità che siano portate alla
luce circostanze peculiari – interne o esterne al processo di lavoro – che connotano la condotta
dell’infortunato in modo che essa si collochi al di fuori dell’area di rischio definita dalla
lavorazione in corso (cfr. in motivazione Sez. 4 n. 7955/2013 richiamata). Tale comportamento
“…è “interruttivo” (per restare al lessico tradizionale) non perché “eccezionale” ma perché
eccentrico rispetto al rischio lavorativo che il garante è chiamato a governare”

(Sez. 4, n.

49821 del 23/11/2012, Rv. 254094).
Alla luce di tali principi, correttamente la Corte di merito ha disconosciuto rilievo al
dato che il ricorrente avrebbe voluto vedere diversamente considerato, posto che per quanto
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dal lavoratore infortunato (il quale avrebbe inserito il cartone mediante il piede e non

”imprudente” il gesto del TACCONI sia stato, esso risulta comunque compiuto nello
svolgimento dei compiti assegnatigli, non estraneo al processo produttivo e non imprevedibile
nel senso sopra chiarito.
2.3. Infine, con riferimento al trattamento sanzionatorio, il giudice d’appello ha
motivato, contrariamente a quanto asserisce parte ricorrente, la decisione di non rimodulare la
pena, evidenziandone anzi la sua inadeguatezza in difetto, avuto riguardo alla gravità della
colpa desunta dalla natura basilare, rispetto al fine sotteso, della norma violata, quanto al
mancato accoglimento dell’ulteriore richiesta (conversione della pena) ritenendosi assolto
l’onere motivazionale laddove il giudice d’appello abbia ritenuto, come nel caso di specie,

21265 del 27/02/2003, Rv. 224512).
3. Anche il ricorso nell’interesse dell’ente va rigettato.
4. Con riferimento alla responsabilità dell’ente dell’ “ENTE ROSSI IMBALLAGGI s.r.l.”, la
Corte territoriale ha richiamato la sentenza delle Sez. U. Thyssen Krupp (n. 38343 del 2014),
per affermare che i criteri di imputazione oggettiva di cui al riferimento contenuto nell’art. 5
del d.lgs. 231/01 all’interesse o vantaggio dell’ente, sono riferibili alla condotta e non
all’evento e che, in caso di reati colposi di evento, essi sono alternativi e concorrenti tra di loro,
esprimendo il criterio dell’interesse una valutazione del reato di tipo teleologico, apprezzabile
ex ante, al momento cioè del fatto secondo un giudizio soggettivo e avendo, invece, quello del
vantaggio una connotazione eminentemente oggettiva, valutabile ex post, sulla base degli
effetti derivati dalla realizzazione dell’illecito.
Sulla scorta di tali principi, quel giudice ha ritenuto integrati entrambi i suindicati
parametri, poiché la condotta omissiva colposa del datore di lavoro era stata posta in essere
nell’interesse della società e a suo vantaggio (da un lato, il presidio antinfortunistico, riducendo
l’imbocco, avrebbe rallentato i tempi di produzione; dall’altro, l’aggiornamento e
l’adeguamento del macchinario alle norme antinfortunistiche avrebbe richiesto un costo) e
irrilevante la disquisizione circa l’esistenza di un organigramma e di un modello organizzativo
gestionale, l’esistenza di mansionari e la tenuta di riunioni periodiche.
5. I motivi formulati nell’interesse dell’ente ricorrente sono tutti infondati.
5.1. Quanto al primo motivo valgono le ragioni già illustrate al §3.1. concernente
l’analoga censura proposta nell’interesse dell’imputato ROSSI.
5.2. Quanto alla adozione in azienda del modello di organizzazione e gestione, la Corte
d’appello ha motivato in ordine alla sua irrilevanza, alla luce del positivo vaglio circa l’esistenza
dei criteri d’imputazione di cui all’art. 5 del d.lgs. 231 del 2001, da riferirsi, nel caso di reati
colposi, alla condotta e non all’evento (cfr. Sez. U. n. 38343 del 24/04/2014, Thyssen Krupp,
Rv. 261112), avuto riguardo alle caratteristiche del macchinario che, peraltro, era stato
oggetto, dopo l’infortunio, di un adeguamento inteso a renderlo conforme ai normali standards
di sicurezza.
La mera allegazione della circostanza che un modello di organizzazione e gestione era
stato depositato in azienda qualche mese prima dell’evento, oltre a palesare la sua genericità,
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minima e addirittura inadeguata la pena irrogata dal primo giudice (cfr. sul punto Sez. 3 n.

non dimostra che tale modello sia stato violato dal datore di lavoro mediante l’approntamento
di un macchinario sfornito di sistemi di sicurezza, adottati solo successivamente ai fatti per cui
si procede, dovendosi a tal proposito rilevare che “…la colpa di organizzazione, da intendersi in
senso normativo, è fondata sul rimprovero derivante dall’inottemperanza da parte dell’ente
dell’obbligo di adottare le cautele, organizzative e gestionali, necessarie a prevenire la
commissione dei reati previsti tra quelli idonei a fondare la responsabilità del soggetto
collettivo, dovendo tali accorgimenti essere consacrati in un documento che individua i rischi e
delinea le misure atte a contrastarli”

(cfr. Sez. U 38343/2014 Thyssen Krupp, Rv. 261113),

incombendo, tuttavia, sull’ente l’onere – con effetti liberatori – di dimostrare l’idoneità di tali

Sez. U. n. 38343/2014, Thyssen Krupp, Rv. 261112).
Onere che non può certamente considerarsi assolto attraverso la sola circostanza
dell’esistenza di tale modello, non avendo la parte chiarito se esso contemplasse l’adozione
delle misure di sicurezza mancanti.
5.3. Del tutto infondato è l’ultimo motivo formulato con il ricorso.
La parte si è limitata ad invocare l’attenuante del risarcimento del danno, affermando
genericamente che la società vi aveva provveduto, senza tuttavia specificare se ciò fosse
avvenuto nel rispetto del termine di cui all’art. 12 co. 2 lett. a) del d.lgs. 231 del 2001.
5.4. Infine, il motivo unico formulato con la memoria successivamente depositata,
mediante il quale si è dedotta la estinzione dell’illecito amministrativo per prescrizione, è
manifestamente infondato, a fronte del chiaro tenore letterale delle norme di cui all’art. 22 e
59 del d.lgs. 231 del 2001, non avendo la parte allegato la consumazione del termine di
prescrizione prima della contestazione dell’illecito ammnistrativo (ad esempio con la richiesta
di rinvio a giudizio), atteso che, da tale momento la prescrizione non corre sino al passaggio in
giudicato della sentenza che definisce il giudizio (cfr. sul punto, Sez. 5 n. 50102 del
22/09/2015, Rv. 265588).
6. Al rigetto dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese
processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Deciso in Roma il 05 maggio 2016
Il Consigliere est.
G della Ca i pello

Presidente
d •D’

CORTE SUPREMA DI ~IONE
IV Sezione Penale

modelli di organizzazione e gestione a prevenire reati della specie di quello verificatosi (cfr.

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