Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28556 del 26/03/2013


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 2 Num. 28556 Anno 2013
Presidente: CARMENINI SECONDO LIBERO
Relatore: IASILLO ADRIANO

SENTENZA

Sul ricorso proposto dall’Avvocato Bruno Di Giovanni, quale difensore del Di
Lauro Felice (n. il 27/03/1939), avverso l’ordinanza del Tribunale di Genova,
in data 26/09/2012.
Sentita la relazione della causa fatta dal Consigliere Adriano ‘asili°.
Udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, dottor Alfredo
Pompeo Viola, il quale ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.

Osserva:

Data Udienza: 26/03/2013

Con decreto del 20/07/2012, il G.I.P. del Tribunale di Genova dispose il
sequestro preventivo di beni, danaro o altra utilità che rientrino nella
disponibilità del Di Lauro Felice per un ammontare complessivo di €
152.000,00.
Avverso tale provvedimento Di Lauro Felice — indagato per il reato di
riciclaggio (art. 648 bis c.p.) – propose istanza di riesame, ma il Tribunale di
sequestro preventivo del G.I.P. del 20/07/2012.
Ricorre per cassazione il difensore del Di Lauro Felice deducendo la
mancanza di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dei presupposti
di legge che legittimano il sequestro preventivo per equivalenza. In
particolare evidenzia: il contributo minimo dell’indagato al fatto; che il Di
Lauro Felice ignorava la reale natura dei beni oggetto delle spedizione (nelle
bolle doganali si indicava in un caso masserizie i ed effetti personali; in un
altro veicoli usati, masserizie

e- ed effetti personali; nell’ultimo

elettrodomestici e mobilio usato; nei container la Polizia spagnola rinveniva
auto di provenienza furtiva con destinazione Africa; nds); la mancanza di
elementi indizianti la sussistenza del dolo. Denuncia, inoltre, la violazione del
principio di proporzionalità; infatti i giudici di merito nel determinare la somma
richiamano un calcolo della P.G. (contenuto nell’annotazione del 27.06.2012)
che individua il presunto valore delle auto nel nostro paese che eccede
evidentemente il risultato economico che il trasferimento nel paese africano
poteva comportare.
La difesa del ricorrente conclude, quindi, per l’annullamento
dell’impugnato provvedimento.
Motivi della decisione

Il primo motivo di ricorso — avente per oggetto la sussistenza del fumus
commissi delicti – è manifestamente infondato e va, quindi, dichiarato
inammissibile. Si deve, infatti, tener ben presente che in tema di riesame
delle misure cautelari reali, nella nozione di “violazione dì legge” per cui
soltanto può essere proposto ricorso per cassazione a norma dell’art. 325,
comma primo, cod. proc. pen., rientrano la totale mancanza di motivazione o

Genova, con ordinanza del 26/09/2012, la respinse confermando il decreto di

la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate
all’inosservanza di precise norme processuali, ma non l’illogicità o la
incompletezza di motivazione le quali non possono denunciarsi nel giudizio di
legittimità nemmeno tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui
alla lett. e) dell’art. 606 stesso codice, posto che questo richiede la
“mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità” della motivazione (Sez. 5,
Sentenza n. 8434 del 11/01/2007 Cc. – dep. 28/02/2007 – Rv. 236255; Sez.

U, Sentenza n. 25932 del 29/05/2008 Cc. – dep. 26/06/2008 – Rv. 239692).
La motivazione dell’ordinanza impugnata non solo non presenta alcun vizio
che possa far ritenere sussistente la “violazione di legge” di cui all’articolo
325 del c.p.p., ma è così esaustiva, logica e non contraddittoria che
porterebbe alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso anche se non
operasse il limite di cui all’articolo 325 del codice di procedura penale. Infatti
il Tribunale evidenzia correttamente perché ravvisa la sussistenza del fumus
commissi delicti e del dolo (si veda l’ampia e corretta motivazione — con
richiamo di pertinenti e condivisi principi fissati da questa Corte — nella
pagina 1 – ove si ricostruisce la storia del procedimento e gli elementi
acquisiti a carico del ricorrente — e nelle pagine 2 e 3 ove si giustifica la
conferma dell’impugnato provvedimento del G.I.P.).
A fronte di quanto sopra il ricorrente contesta l’interpretazione data dal
Tribunale ai fatti e fornisce una sua diversa prospettazione. Orbene, quanto
sopra porterebbe alla dichiarazione di inammissibilità anche se si fosse in
presenza di un ricorso per Cassazione nel quale poter proporre tutti i motivi
previsti dall’articolo 606 del codice di procedura penale. Infatti, nel momento
del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve stabilire se la
decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile
ricostruzione dei fatti né deve condividerne la giustificazione, ma deve
limitarsi a verificare se questa giustificazione sia, come nel caso di specie,
compatibile con il senso comune e con “i limiti di una plausibile opinabilità di
apprezzamento”, secondo una formula giurisprudenziale ricorrente. Restano

escluse da tale controllo sia l’interpretazione degli elementi a disposizione
del Giudice di merito sia le eventuali incongruenze logiche che non siano
manifeste, ossia macroscopiche, eclatanti, assolutamente incompatibili con
altri passaggi argomentativi risultanti dal testo del provvedimento impugnato.
3

Ne consegue che non possono trovare ingresso in sede di legittimità i motivi
di ricorso fondati su una diversa prospettazione dei fatti nè su altre
spiegazioni, per quanto plausibili o logicamente sostenibili, formulate dal
ricorrente. (Sez. 6, Sentenza n. 1762 del 15/05/1998 Cc. – dep. 01/06/1998 Rv. 210923; si vedano anche Cass. Sez. 4 sent. n. 47891 del 28.09.2004
dep. 10.12.2004 rv 230568; Cass. Sez. 5 sent. n. 1004 del 30.11.1999 dep.
25.2.1994, rv 196955). L’inammissibilità del ricorso è ancor più evidente nel
caso di specie, perché, come si è già rilevato, l’unico motivo di ricorso
ammesso, ex articolo 325 c.p.p., è quello della violazione di legge.
Anche il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato. Infatti, il
Tribunale del riesame ha correttamente evidenziato che il G.I.P., nel suo
provvedimento, ha determinato la somma sino a concorrenza della quale il
sequestro deve essere eseguito (si veda pag. 2 dell’impugnato
provvedimento). Somma (€ 152.000,00) che corrisponde al valore delle
autovetture oggetto di riciclaggio così come determinato dalla P.G. (si veda
in proposito pagina 6 del ricorso). Il difensore del ricorrente contesta tale
quantificazione sostenendo che il valore delle auto determinata dalla P.G.
potrebbe essere valido per l’Italia, ma non per l’Africa ove erano destinate le
autovetture oggetto del riciclaggio. Orbene si deve, innanzi tutto, rilevare che
dalla sintesi — non contestata nel ricorso – dei motivi di riesame (a pagina 2
del provvedimento impugnato) non si rileva che tale doglianza sia stata
proposta al Tribunale del riesame. In ogni caso, si deve sottolineare
l’assoluta genericità della doglianza. Infatti, si contesta il valore delle
autovetture determinato dalla P.G. solo con un’affermazione apodittica senza
addurre alcun elemento oggettivo a sostegno di tale affermazione. Si deve,
in proposito, ricordare che il Giudice del riesame non può compiere
accertamenti, ma può, eventualmente, integrare e correggere il
provvedimento impugnato (nella specie: decreto di sequestro preventivo)
sulla scorta dei documenti in suo possesso (Sez. 2, Sentenza n. 3103 del
18/12/2007 Cc. – dep. 21/01/2008 – Rv. 239267). Orbene l’unico documento
in possesso del Tribunale è la nota della P.G. nella quale si fissa il valore
delle auto oggetto di riciclaggio, mentre, come si è già detto, nulla ha
prodotto sul punto la difesa del ricorrente.

31.1.2000 rv 215745; Cass., Sez. 2 sent. n. 2436 del 21.12.1993 dep.

In definitiva le censure proposte incorrono tutte nella sanzione di
inammissibilità, non essendo riconducibili alla tipologia di quelle consentite
ex art. 325 c.p.p., o risultando, comunque, manifestamente infondate.
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che
dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve
essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché —
inammissibilità — al pagamento a favore della Cassa delle ammende della
somma di mille euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi
dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle ammende.

Così deliberato in camera di consiglio, il 26/03/2013.

ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA