Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28555 del 14/04/2016


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 28555 Anno 2016
Presidente: BLAIOTTA ROCCO MARCO
Relatore: DOVERE SALVATORE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
RIZZO ENRICO N. IL 06/07/1982
avverso la sentenza n. 242/2012 CORTE APPELLO di MESSINA, del
27/02/2015
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 14/04/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. SALVATORE DOVERE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. T-ilott ,e-t~ ìf,
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che ha concluso per auk.u.,-2120~9 Luy ,
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Udito, per la prte civile, l’Avv
Udit i difeis6r Avv.

Data Udienza: 14/04/2016

RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Messina ha
confermato la pronuncia emessa dal Giudice per le indagini preliminari del
Tribunale di Patti, che ha condannato alla pena ritenuta equa Rizzo Enrico,
giudicato responsabile del reato di falso continuato nella dichiarazione rilasciata
in uno all’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato (art. 95 d.p.r.
n. 115/2002) nell’ambito di tre distinti procedimenti penali.
La Corte distrettuale, in particolare, ha ritenuto di alcun rilievo il fatto che le

complessivo inferiore al limite di legge per l’accesso al beneficio e, sul versante
dell’elemento soggettivo del reato, ha affermato l’assenza di incidenza che con
la falsità si intendesse conseguire o meno una qualche utilità. Infine la corte
territoriale ha anche confermato il diniego del riconoscimento delle attenuanti
generiche.

2.

Avverso tale decisione ricorre per cessazione l’imputato, con atto

sottoscritto personalmente, deducendo in primo luogo che la Corte di Appello
non si é pronunciata in ordine alla richiesta di proscioglimento avanzata dalla
difesa sul presupposto di un bis in idem. Censura, poi, il vizio motivazionale della
sentenza impugnata perché il reddito di 2.945,00 euro attribuitogli dai giudici di
merito é stato determinato sulla scorta di quanto accertato dalla G.d.F. tramite
interrogazione dell’anagrafe tributaria nella quale sono inseriti dati provenienti
dal datore di lavoro; ma ciò non é sufficiente a dimostrare che il Rizzo avesse
realmente percepito tale somma, che infatti non venne ricevuta, tanto che egli
dovette abbandonare il posto di lavoro proprio perché non gli veniva corrisposto
lo stipendio.
Stante la piena compatibilità del reddito che si assume non dichiarato con il
beneficio richiesto risulta altresì che il ricorrente non aveva motivo alcuno per
dichiarare il falso.
In ogni caso si versa in ipotesi di falso innocuo.
Infine il Rizzo ravvisa nella fattispecie gli estremi della tenuità del fatto,
come disciplinato dall’art. 131-bis cod. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è fondato, nei termini di seguito precisati.
3.1. Il primo motivo é manifestamente infondato. La violazione del divieto di
bis in idem é stata prospettata con riferimento ad altra condotta rispetto a quelle
oggetto del presente giudizio. Giova rammentare che il reato di cui all’art. 95
d.p.r. n. 115/2002 si consuma con la presentazione o la omissione delle
dichiarazioni o delle comunicazioni per l’attestazione di reddito necessarie per

2

somme non dichiarate costituenti reddito per l’anno 2008 fossero di ammontare

l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato o il mantenimento del beneficio.
Nel caso di una pluralità di istanze e di omissioni risultano integrati più reati. La
manifesta infondatezza del motivo di appello rende la correlata censura che
lamenta il motivazionale non sostenuta da idoneo interesse (cfr. ex multis, Sez.
2, n. 10173 del 16/12/2014 – dep. 11/03/2015, Bianchetti, Rv. 263157).
3.2. Va anche escluso che nella fattispecie ricorra un’ipotesi di ‘falso
innocuo’. Con tale locuzione la giurisprudenza di legittimità allude a quella
infedele attestazione (nel falso ideologico) o compiuta alterazione (nel falso

suo valore probatorio e, pertanto, non esplicano effetti sulla sua funzione
documentale (con la conseguenza, si aggiunge, che l’innocuità deve essere
valutata non con riferimento all’uso che dell’atto falso venga fatto, ma avendo
riguardo all’idoneità dello stesso ad ingannare comunque la fede pubblica) (tra le
molte, Sez. 5, n. 47601 del 26/05/2014 – dep. 18/11/2014, Lamberti, Rv.
261812). E’ del tutto evidente che nel caso di una falsa indicazione del reddito
rilevante per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato la innocuità della
stessa non può essere valutata, come vorrebbe il ricorrente, in relazione
all’entità del reddito non dichiarato: come si dirà subito appresso, le Sezioni
unite hanno identificato il bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice
nell’attività del giudice preposto alla verifica del diritto al beneficio.
3.3. Con riferimento al secondo motivo, giova prendere le mosse dalla
considerazione proprio dalla ancor recente decisione con la quale le Sezioni Unite
hanno statuito che integrano il delitto di cui all’art. 95 d.P.R. n. 115 del 2002 le
false indicazioni o le omissioni anche parziali dei dati di fatto riportati nella
dichiarazione sostitutiva di certificazione o in ogni altra dichiarazione prevista per
l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, indipendentemente dalla effettiva
sussistenza delle condizioni di reddito per l’ammissione al beneficio (Sez. U, n.
6591 del 27/11/2008 – dep. 16/02/2009, Infanti, Rv. 242152).
Tanto conduce a giudicare irrilevante, sul piano della oggettiva sussistenza
della falsità, l’eventuale inidoneità del dato alterato a fare da elemento di
discrimine tra ammissione ed esclusione dal beneficio, giacché il bene giuridico
tutelato – per come identificato dal S.C. – non é l’interesse patrimoniale dello
Stato ma (lo si é già scritto) l’attività del giudice preposto alla verifica del diritto
al beneficio.
Volgendo lo sguardo al versante soggettivo, se é vero che il reato del quale
ci si occupa richiede il dolo generico, e quindi la mera consapevolezza e volontà
della falsità, senza che assuma rilievo la finalità di conseguire un beneficio che
non compete, é pur sempre da tener presente che il dolo generico non può
essere considerato in “re ipsa” ma deve essere rigorosamente provato,

materiale) che risultano del tutto irrilevanti ai fini del significato dell’atto e del

dovendosi escludere il reato quando risulti che il falso deriva da una semplice
leggerezza ovvero da una negligenza dell’agente, poiché il sistema vigente non
incrimina il falso documentale colposo (cfr. Sez. 3, n. 30862 del 14/05/2015 dep. 16/07/2015, Di Stasi e altri, Rv. 264328; Sez. 5, n. 29764 del 03/06/2010
– dep. 28/07/2010, Zago, Rv. 248264).
In questa prospettiva deve essere rimarcato che concreta errore sulla legge
penale, come tale inescusabile, sia quello che cade sulla struttura del reato, sia
quello che incide su norme, nozioni e termini propri di altre branche del diritto,

dovendosi intendere per «legge diversa dalla legge penale» ai sensi dell’art.
47 cod. pen. quella destinata in origine a regolare rapporti giuridici di carattere
non penale e non esplicitamente incorporata in una norma penale, o da questa
non richiamata anche implicitamente (Sez. 4, n. 14011 del 12/02/2015 – dep.
02/04/2015, Bucca, Rv. 263013, proprio in tema di falso nella dichiarazione
concernente istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato).
Pertanto, nel caso in cui si erri in ordine alla nozione di reddito valevole ai
fini dell’applicazione della disciplina del patrocinio a spese dello Stato (come
quando non dovendosi tener conto del reddito percepito ai fini della tassazione lo
si reputa non rilevante ai fini delle condizioni per l’ammissione al beneficio) si
versa in ipotesi di errore inescusabile.
Tuttavia, non può ritenersi l’assoluta irrilevanza della inidoneità della falsa
dichiarazione a determinare effetti favorevoli al dichiarante, perché essa può
rappresentare, in via astratta, segno di una condotta colposa, come tale
estranea al dolo. La necessità del dolo generico esclude che si possa rispondere
per un difetto di controllo, che in termini giuridici assume necessariamente le
fattezze della condotta colposa, salva l’emersione di un dolo eventuale. Dolo
eventuale che tuttavia non può essere evocato alla stregua di una formula ‘di
chiusura’, per sottrarsi al puntuale accertamento giudiziario. Al contrario, esso
deve essere compiutamente dimostrato, non ignorando le prescrizioni
metodologiche impartite dalle Sezioni Unite, per le quali, per la configurabilità
del dolo eventuale, anche ai fini della distinzione rispetto alla colpa cosciente,
occorre la rigorosa dimostrazione che l’agente si sia confrontato con la specifica
categoria di evento (che in casi come quello in esame assume la connotazione di
evento in senso giuridico) che si è verificata nella fattispecie concreta aderendo
psicologicamente ad essa. Con gli ovvi adattamenti richiesti dalla specificità della
vicenda all’esame, deve farsi applicazione delle indicazioni metodologiche
provenienti dal S.C., per il quale l’indagine giudiziaria, volta a ricostruire l'”iter” e
l’esito del processo decisionale, può fondarsi su una serie di indicatori, tra i quali
– non può sfuggire – si pongono anche il fine della condotta e la compatibilità con

introdotte nella norma penale ad integrazione della fattispecie criminosa,

esso delle conseguenze collaterali (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014 – dep.
18/09/2014, P.G., R.C., Espenhahn e altri, Rv. 261105).
Nel caso di specie l’indagine in ordine alla sussistenza del dolo generico é del
tutto mancata, perché la Corte di Appello si é limitata a constatare l’esistenza
oggettiva della falsità. Con l’atto di appello, per contro, non si rappresentava che
il reddito accertato dal primo giudice fosse in realtà inesistente, perché
individuato sulla scorta di dichiarazioni del datore di lavoro del Rizzo che non
trovavano corrispondenza nell’effettivo pagamento dello stipendio. Si rimarcava,

della falsità, stante un reddito comunque compatibile con l’ammissione al
beneficio.
Ed allora, l’indagine sul dolo in ipotesi in cui non é di immediata evidenza
l’utilità che sostiene l’azione/omissione tipica richiede una compiuta analisi delle
circostanze di fatto. Analisi del tutto assente nella sentenza impugnata.

4. Assorbito il motivo concernente la applicabilità della causa di non
punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen. (essa presuppone l’integrazione del
reato tanto nella componente oggettiva che in quella soggettiva), deve pertanto
essere disposto l’annullamento del provvedimento impugnato, con rinvio alla
Corte di Appello di Messina per nuovo esame.

P.Q.M.
annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Messina.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 14/4/2016.

invece, unicamente l’assenza del dolo, come dimostrato dall’assenza di utilità

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