Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28518 del 23/04/2013


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 5 Num. 28518 Anno 2013
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: DE MARZO GIUSEPPE

SENTENZA
sul ricorso proposto da
Indraccolo Luigi, nato a Lecce il 24/11/1970
avverso la sentenza del 31/05/2012 della Corte d’appello di Lecce R.G. n. 1560/2009
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione svolta dal Consigliere Dott. Giuseppe De Marzo;
udito il Procuratore Generale, in persona del Dott. Francesco Salzano, che ha concluso per il
rigetto del ricorso
Ritenuto in fatto
1. La Corte d’appello di Lecce, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha assolto
Luigi Indraccolo dal reato di tentata estorsione, confermando l’affermazione di responsabilità
dello stesso per il delitto di furto, per avere sottratto vari beni mobili dallo studio di un
legale.
Per quanto ancora rileva, la Corte territoriale ha posto a fondamento della sua decisione: a)
la deposizione della persona offesa, che aveva riferito di avere contattato il padre
dell’imputato, il quale prima aveva risposto che avrebbe indagato e poi aveva chiesto di
poter constatare i danni, offrendo un completo risarcimento; b) la corrispondenza tra
l’impronta palmare rinvenuta sulla porta dello studio e quella dell’imputato, da valutarsi
unitamente al fatto che i rilievi descrittivi e fotografici della Polizia mostravano che
quest’ultimo, abitante in un appartamento posto sul medesimo corridoio sul quale si
affacciava lo studio legale, non aveva alcun comprensibile motivo per appoggiarsi alla porta
dello studio stesso.

Data Udienza: 23/04/2013

La Corte territoriale, pur escludendo la responsabilità dell’Indraccolo, per l’invio di un
biglietto con il quale veniva richiesta la somma di euro 500 per restituire il computer e gli
altri beni sottratti, ha comunque ritenuto configurabile l’aggravante di cui all’art. 61, n. 2,
cod. pen., perché l’imputato, in relazione alle caratteristiche della refurtiva, avrebbe potuto
ottenere un profitto apprezzabile, da solo o tramite complici, “solo vendendo la restituzione
degli oggetti rubati”.
2. Nell’interesse dell’imputato è stato proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
2.1. Con il primo articolato motivo, il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett.

pen.
In particolare si rileva: A) con riferimento al significato dell’impronta rinvenuta, che sullo
stipite della porta danneggiata erano stati trovati anche due frammenti di impronta
appartenenti a soggetti rimasti non identificati e che l’Indraccolo, che dopo pochi giorni
sarebbe stato ricoverato in una comunità terapeutica per tossicodipendenti, avrebbe ben
potuto rientrare in casa in stato confusionale, appoggiandosi anche alla porta dello studio
legale; B) con riferimento alle dichiarazioni del padre dell’imputato, che la Corte territoriale,
oltre a travisarne il contenuto (giacché si era trattato di un’autonoma proposta determinata
dal timore che il figlio fosse effettivamente responsabile), aveva comunque violato l’art. 195
cod. proc. pan., in quanto, nel percorso motivazionale, non aveva assunto rilievo la
disponibilità del genitore a risarcire il danno, ma la premessa di tale disponibilità, costituita
dall’ammissione di responsabilità del figlio.
2.2. Con il secondo motivo, si lamentano violazione di legge e vizi motivazionali, per avere la
Corte territoriale ritenuto la sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 61, n. 2, cod. pen.,
nonostante l’assoluzione dell’Indraccolo dal reato fine e sulla scorta di una massima
d’esperienza sconfessata dalla possibilità che i beni rubati fossero venduti a terzi.

Considerato in diritto
1. Il primo motivo di ricorso è infondato.
La Corte territoriale ha operato una valutazione congiunta dei due elementi rappresentati
dalle impronte digitali e dalle dichiarazioni del padre del ricorrente, talché le critiche svolte in
ricorso, quanto alla non concludenza del (mero) rinvenimento delle prime non colgono nel
segno.
Con riferimento alle affermazioni del padre dell’imputato, osserva la Corte.
Le doglianze aventi ad oggetto il dedotto travisamento del loro contenuto non sono sorrette
dalla puntuale e completa indicazione delle stesse. In ogni caso, anche nei termini riferiti in
ricorso non viene meno la logicità dell’intento ragionevole ricostruito dalla Corte territoriale,
cui il ricorrente aspira a sostituire, nella propria diversa valutazione dell’elemento probatorio,
il generico ed immotivato timore che il figlio potesse essere ritenuto responsabile.
Le censure relative alla violazione dell’art. 195 cod. proc. pan. sono infondate.

2

c), ed e), cod. proc. pen., violazione degli artt. 195, n. 3, cod. proc. pen., 624, 625, cod.

La norma citata, infatti, riguarda il caso in cui il teste si riferisca per la conoscenza dei fatti
ad altre persone e non quello delle dichiarazioni confessorie rese al teste dall’imputato.
Esclusa l’operatività dell’art. 62, cod. pen., dal momento che la previsione concerne il divieto
di testimonianza sulle dichiarazioni comunque rese dall’indagato o dall’imputato, ma nel
corso del procedimento, la confessione stragiudiziale, pertanto, ben può essere posta a base
del giudizio di colpevolezza dell’imputato ove il giudice di merito, con motivazione immune
da vizi logici, ne apprezzi favorevolmente la veridicità e la spontaneità, escludendo ogni
sospetto di intendimento autocalunniatorio e di intervenuta costrizione sul soggetto (Sez. 6,

detta fonte di prova deve essere apprezzato secondo le regole del mezzo di prova che la
introduce nel processo, nel senso che la confessione stragiudiziale riferita dal testimone è
soggetta alla regola di valutazione propria delle prove testimoniali ex art. 192, comma 1,
cod. proc. pen., comma 1, mentre per quella riferita dal chiamante in reità o in correità deve
applicarsi la regola di cui all’art. 192, comma 3, cod. proc. pen.
2. Infondato è anche il secondo motivo di ricorso.
Ai fini della sussistenza della circostanza aggravante comune della connessione teleologica,
bisogna distinguere due ipotesi. Nel caso — ricorrente nella specie – di reato commesso per
eseguirne un altro è irrilevante che il reato-fine sia stato consumato o addirittura solo
tentato, essendo sufficiente accertare che la volontà del colpevole era diretta al fine di
perpetrare quel reato; nel caso di reato commesso per occultare un altro o per assicurare a
sè o a terzi l’impunità, è necessario invece che sia stato commesso (consumato o tentato) un
reato dall’agente o da altri e che poi se ne sia perpetrato ancora un altro per occultare il
primo o per assicurare a sè o ad altri l’impunità, il prodotto, il profitto o il prezzo (Sez. 5, n.
3479 del 14/02/1984, Maggi, Rv. 163727).
Nella specie, alla luce della natura dei beni, la Corte territoriale, con motivazione che non
esibisce alcuna manifesta illogicità, ha ritenuto che l’imputato avrebbe potuto ottenere un
profitto apprezzabile, da solo o tramite complici, “solo vendendo la restituzione degli oggetti
rubati”.
3. Alla decisione di rigetto segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali,
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
Così deciso in Roma il 16/04/2013

Il Componente estensore

n. 23777 del 13/12/2011, Zedda, Rv. 253002), fermo restando che il valore probatorio della

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA