Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28515 del 17/05/2016


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 28515 Anno 2016
Presidente: NOVIK ADET TONI
Relatore: BONI MONICA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
MATTERA FRANCESCO N. IL 17/09/1983
avverso la sentenza n. 4185/2014 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
02/10/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MONICA BONI;

Data Udienza: 17/05/2016

Ritenuto in fatto

1.Con sentenza resa il 2 ottobre 2014 la Corte di appello di Napoli
riformava parzialmente la sentenza del Tribunale di Napoli del 19 luglio 2013 e
riduceva a mesi due di arresto ed euro 150,00 di ammenda, convertita nella
corrispondente pena di euro 15.150,00 di ammenda, la pena inflitta a Francesco
Mattera, in quanto ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 4 comma terzo
della L. n. 110/1975, contestatogli perché, senza giustificato motivo, portava
abusivamente in luogo pubblico una mazza da baseball lunga 50 cm..
2. Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione l’imputato
personalmente, il quale deduce:

dell’art. 4 I. n. 110/75 per avere la Corte distrettuale ritenuto che l’arnese
sequestrato fosse idoneo all’offesa alla persona senza considerare che la mazza
era detenuta nel cofano dell’autovettura e non è stata rinvenuta in una situazione
di pericolo;
b) omessa applicazione dell’ipotesi di lieve entità, esclusa in base ad una massima
giurisprudenziale inconferente, posto che la circostanza attenuante si applica a
tutte le armi e non solo agli oggetti atti ad offendere strettamente intesi;
c) disapplicazione erronea degli artt. 62-bis e 133 cod. pen.;
d) inosservanza di norme processuali stabilite a pena di inutilizzabilità,nullità,
inammissibilità e decadenza in relazione alle disposizioni di cui all’art. 603 cod.
proc. pen., per avere il giudice di primo grado utilizzato soltanto i dati
documentali senza ammettere prove dichiarative indicate dall’accusa, ritenute
superflue, mentre le stesse avrebbero potuto riferire sulle modalità di
conservazione della mazza da baseball, sulla presenza di altra attrezzatura
sportiva e sull’atteggiamento dell’imputato; in tal modo si è violato il diritto alla
prova in riferimento ad attività istruttoria necessaria;
e) vizio di motivazione in ordine alla sussistenza del reato in ordine all’assenza di
giustificato motivo, desunta per effetto di travisamento della prova, ed alla
valutazione della gravità del fatto, dedotta dalla dicitura “difesa personale”,
presente sull’oggetto in sequestro, punti sui quali la sentenza presenta
motivazione apparente e non risolve in modo logico e coerente il ragionevole
dubbio sulla responsabilità del ricorrente.
3.Con memoria pervenuta in data 10 febbraio 2016 la difesa ha ribadito
l’ammissibilità del ricorso in quanto, proprio il possesso di altre due mazze da
baseball presso l’abitazione del ricorrente avvalorava la tesi della loro
destinazione ad attività sportiva ed il fatto avrebbe dovuto qualificarsi come di

a) inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione al disposto

lieve entità, stante l’applicabilità dell’attenuante di cui all’art. 4, comma 3, I. n.
110/75 a tutte le armi e non soltanto agli oggetti atti ad offendere strettamente
intesi. Ha dunque chiesto trasmettersi il ricorso alla sezione tabellarmente
competente per l’esame nel merito.

Considerato in diritto

Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza.
1.Per ragioni di ordine logico, prima ancora che giuridico, va esaminato il
quarto motivo di ricorso, che soffre di confusa e generica formulazione; la difesa

indicate dal pubblico ministero nella propria lista poiché tali testimoni “avrebbero
potuto arricchire il materiale in possesso del giudicante” a fronte di insufficienza
ed inconcludenza delle prove già agli atti.
1.1 In tal modo il ricorrente non illustra specifiche ragioni dimostrative della
necessità di assumere prove già ritenute superflue e che non erano state indicate
dal proprio legale, ma dalla pubblica accusa, rispetto alla cui mancata ammissione
non può quindi lamentare la compressione delle facoltà deduttive e difensive. Del
resto, se effettivamente interessato a dar prova della dedizione al gioco del
baseball egli avrebbe avuto la possibilità di articolare prove in tal senso senza
doversi affidare a quanto percepito dai verbalizzanti al momento del controllo. Per
contro, la sentenza impugnata, non soltanto ha valorizzato la dicitura presente
sull’oggetto sequestrato, “difesa personale”, indicativa di un suo impiego per scopi
diversi da quelli sportivi, ma anche la circostanza, ignorata in ricorso, della
detenzione presso l’abitazione del Mattera di altre due mazze analoghe, occultate
al di sotto di un materasso e dell’assenza di altro materiale denotante la pratica
del baseball, né nell’autovettura, né nell’abitazione. Ha quindi evidenziato che il
contesto di commissione della condotta non era affatto rassicurante, dal momento
che all’atto del controllo egli era stato rinvenuto in possesso di sostanza
stupefacente, di mannite, -utilizzata quale sostanza da taglio- e di un orologio
Rolex nascosto nella biancheria intima, circostanze indicative di un atteggiamento
ben diverso dall’allegata buona fede e che l’impugnazione non affronta e non
smentisce, risultando anche aspecifica sul punto. Né miglior sorte può riservarsi
agli argomenti della memoria difensiva, nella quale si richiama il possesso di altre
due mazze presso l’abitazione senza affrontare in chiave confutativa il rilievo,
formulato dai giudici di appello, sull’occultamento di almeno una di esse con
modalità insolite e chiaramente indicative della destinazione ad uso illecito.
1.2 La sentenza impugnata ha fondato il giudizio di reità sulle risultanze del
controllo operato dalla polizia giudiziaria nei confronti dell’imputato e sul dato
oggettivo del rinvenimento della mazza da baseball all’interno del bagagliaio della
sua autovettura; ha rilevato come in quel contesto l’oggetto fosse stato
riconosciuto come proprio dall’imputato, fosse idoneo per struttura e
caratteristiche ad arrecare offesa alla persona, anche se riposto nel bagagliaio del
veicolo perché facilmente recuperabile e non ne fosse giustificato il porto in quel

si duole della mancata ammissione delle prove dichiarative che erano state

frangente ed in luogo pubblico. In tali considerazioni non è dato rinvenire alcun
profilo di illegalità o contraddittorietà nella motivazione, posto che i giudici di
merito hanno offerto corretta applicazione di consolidati principi espressi dalla
giurisprudenza di legittimità, secondo la quale “Il “giustificato motivo” del porto
degli oggetti di cui all’art. 4, comma secondo, L. 18 aprile 1975 n. 110, ricorre
solo quando particolari esigenze dell’agente siano perfettamente corrispondenti a
regole comportamentali lecite relazionate alla natura dell’oggetto, alle modalità di

dell’accadimento, alla normale funzione dell’oggetto” (Cass. sez. 1, n. 4498 del
14/01/2008, Genepro, Rv. 238946; sez. 1, n. 41098 del 23/9/2004, Caruso, rv.
230630; sez. 1, n. 580 del 5/12/1995, Paterni, rv. 203466).
Del pari la richiesta di riconoscimento del fatto di lieve entità è stata respinta
per il giudizio negativo sulla personalità dell’imputato, soggetto pregiudicato per
reati seri quali rapina, sequestro di persona e lesioni e per la potenziale elevata
lesività dell’oggetto nell’ambito di una ampia valutazione di tutti gli elementi
oggettivi e soggettivi della fattispecie, che rispetta puntualmente l’indirizzo
interpretativo espresso da questa Corte, citato in sentenza in modo pertinente e
corretto.
1.3 Infine, i giudici di appello hanno escluso di poter ravvisare elementi
positivi di considerazione tali da indurli ad applicare le circostanze attenuanti
generiche, tanto più che l’appello aveva esaurito la propria critica deduttiva nel
richiamo a considerazioni di valenza generale, inidonei a convincere della
meritevolezza dell’imputato di un trattamento punitivo meno severo, che, infine,
era stato inflitto in ragione dei diversi limiti edittali di pena applicabili al caso
“ratione temporis”.
La sentenza impugnata, tenuto conto dei dati fattuali acquisiti, resiste alle
censure che le sono state mosse, rivelatesi prive di qualsiasi fondamento; tali
rilievi non consentono di trasmettere il procedimento alla sezione tabellarmente
competente, diversamente da quanto richiesto con la memoria difensiva.
Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile con la conseguente condanna
del proponente al pagamento delle spese processuali e, in relazione ai profili di
colpa insiti nella proposizione di siffatta impugnazione, ad una somma di denaro
da versare alla Cassa delle ammende, che si reputa equo determinare in euro
1.000,00.

3

verificazione del fatto, alle condizioni soggettive del portatore, ai luoghi

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali ed al versamento della somma di 1.000,00 euro alla Cassa delle
ammende.

Così deciso in Roma, il 17 maggio 2016.

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