Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28514 del 17/05/2016


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 28514 Anno 2016
Presidente: NOVIK ADET TONI
Relatore: BONI MONICA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
COLUCCI ANTONIO N. IL 16/11/1971
avverso la sentenza n. 5796/2013 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
25/11/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MONICA BONI;

Data Udienza: 17/05/2016

Ritenuto in fatto

1. La Corte d’Appello di Napoli con sentenza emessa il 25 novembre 2014
confermava la sentenza del Tribunale di Napoli del 2 dicembre 2011, che aveva
condannato l’imputato Antonio Colucci alla pena di mesi sei di arresto, in quanto
ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 2 L. n. 1423 del 1956, contestatogli per
avere violato la misura di prevenzione del divieto di rientro nel Comune di Napoli
prima di anni tre, di cui al provvedimento del Questore di Napoli del 27 maggio

2. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato
a mezzo del suo difensore, il quale ha dedotto:
a) mancanza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione in ordine al rigetto dei
motivi di appello, privo di argomentate deduzioni, ma frutto del richiamo “per
relationem” della sentenza di primo grado, che aveva omesso qualsiasi
considerazione in merito all’elemento psicologico del reato, commesso per effetto di
un errore nel calcolo del periodo triennale di vigenza del divieto mentre in
precedenza egli non aveva mai violato la misura di prevenzione impostagli, con ciò
dando prova di essere incorso in un errore sul fatto dovuto ad atteggiamento
colposo;
b) applicabilità dell’art. 157 cod. pen. per intervenuta prescrizione del reato sin
dalla data del 21/7/2014;
c) eccessiva severità della pena inflitta, pari al massimo edittale.

Considerato in diritto

L’impugnazione è inammissibile perché basato su motivi manifestamente
infondati.
1.11 primo motivo contesta la sufficienza e logicità argomentativa della
motivazione della sentenza impugnata quanto al giudizio di responsabilità e
sviluppa il tema della violazione colposa del divieto di rientro nel territorio del
comune di Napoli; in tal modo il ricorrente non si avvede della natura
contravvenzionale del reato contestato, punibile quindi indifferentemente a titolo di
dolo o colpa, il che rende non pertinente al caso la deduzione dell’errore di fatto nel
calcolo della durata del divieto, in cui sarebbe incorso l’imputato.
1.1 Anche l’eccepita estinzione del reato per prescrizione è frutto di non
corretta applicazione dell’istituto perché tiene conto del solo termine ordinario,
senza considerare nel relativo computo l’intervenuta interruzione per effetto della
notificazione del decreto di citazione, avvenuta l’11/7/2011, prima dunque della
maturazione del termine ordinario di quattro anni, il che induce a ritenere che

1

2007, fatto commesso il 21 luglio 2010.

quello prorogato di cinque anni non fosse ancora scaduto alla data della pronuncia
della sentenza impugnata. Inoltre, stante l’inammissibilità del ricorso per le ragioni
già esposte, non può nemmeno rilevarsi la prescrizione nella presente sede, dal
momento che il relativo termine è venuto a scadere dopo la pronuncia della
sentenza impugnata; come affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte
l’inammissibilità genetica dell’impugnazione per difetto di specificità o manifesta
infondatezza delle censure, non consentendo il formarsi di un valido rapporto

estintiva maturata nelle more della trattazione del ricorso per cassazione (Cass.
S.U. n. 32 del 22/11/2000, De Luca, rv. 217266; S.U. n. 33542 del 27/6/2001,
Cavalera, rv. 219531, S.U. n. 23428 del 22/3/2005, Bracale, rv. 231164).
1.2 Quanto infine all’entità della pena inflitta, se ne lamenta l’eccessiva
gravosità ma senza illustrare specifici profili di erronea applicazione di istituti
normativi, tanto più che la sentenza impugnata ha già rimarcato la negativa
personalità dell’imputato e la molteplicità e specificità dei precedenti penali
riportati, ossia precisi elementi negativi di valutazione, non smentiti da contrarie
deduzioni. Pertanto, la motivazione risulta effettiva, compiuta e logicamente
strutturata sulla scorta di una disamina diretta del materiale probatorio e dei motivi
di censura proposti dalla difesa, sicchè sotto ogni profilo considerato assolve
efficacemente alla sua funzione di esternare le ragioni della decisione.
Per le considerazioni svolte il ricorso risulta inammissibile; ne discende la
condanna del proponente al pagamento delle spese processuali e, in ragione dei
profili di colpa insiti nella proposizione di impugnazione di tale tenore, della somma
che si stima equo determinare in euro 1.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali ed al versamento della somma di 1.000,00 euro alla Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 17 maggio 2016.

d’impugnazione, interdice la possibilità di far valere o rilevare d’ufficio la causa

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