Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28506 del 17/05/2016


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 28506 Anno 2016
Presidente: NOVIK ADET TONI
Relatore: BONI MONICA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
DI ARESTE PIETRO N. IL 25/07/1985
avverso l’ordinanza n. 2940/2015 TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA,
del 03/06/2015
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MONICA BONI;

Data Udienza: 17/05/2016

Ritenuto in fatto

1.Con ordinanza resa il 3 giugno 2015 il Tribunale di sorveglianza di Roma
rigettava l’istanza, avanzata dal condannato Pietro Di Areste, di differimento
dell’esecuzione della pena per grave infermità, ritenendo che le sue precarie condizioni
di salute, pur compromesse, non fossero incompatibili con il regime penitenziario per
l’adeguato trattamento in atto ed il rifiuto opposto dal condannato di assumere la
terapia prescrittagli con un atteggiamento non collaborativo, ma strumentale ad

che era stato desunto dai suoi numerosi precedenti penali e dallo stato di
tossicodipendenza. Ha quindi ritenuto impossibile ammetterlo alla detenzione
domiciliare per l’assenza di un domicilio e di persone in grado di dargli assistenza.
2. Avverso tale provvedimento propone ricorso per cassazione l’interessato
personalmente, il quale assume la violazione di norme processuali per non essere
stata disposta la sua partecipazione all’udienza mediante video collegamento
nonostante esplicita richiesta in tal senso e l’omessa notificazione dell’avviso di
fissazione dell’udienza camerale al proprio difensore di fiducia.

Considerato in diritto

Il ricorso è basato su motivi manifestamente infondati.
1.Dagli atti del fascicolo, cui questa Corte ha accesso diretto stante la natura
processuale delle eccezioni sollevate dal ricorrente, emerge che in data 2 maggio 2015
il ricorrente detenuto ha ricevuto rituale notificazione dell’avviso di fissazione
dell’udienza e ha espresso il proprio consenso a prendere parte all’udienza mediante
collegamento in videoconferenza dall’istituto penitenziario. Ciò nonostante, dal verbale
dell’udienza camerale innanzi al tribunale di sorveglianza non emerge che il
collegamento sia stato effettivamente attivato col detenuto interessato al
procedimento.
1.1 Si ricorda che nel procedimento di sorveglianza, la partecipazione
all’udienza o l’audizione dell’interessato, se ristretto in luogo esterno al circondario del
Tribunale di sorveglianza adito, costituisce adempimento indispensabile per la validità
degli atti con la conseguente configurabilità di una nullità di ordine generale, ex art.
178 cod.proc.pen., comma 1, lett. c), sottoposta a regime intermedio per quanto
attiene alla sua deducibilità e rilevabilità, nel caso in cui non si dia seguito all’istanza
(Cass., sez. 1, n. 2865 del 13/12/2012, Mennai, rv. 254701; sez. 1, n. 28557 del
18/06/2008, Ribisi, rv. 240784; sez. 5, n. 24376 del 11/05/2004, Barbaro, rv.
229653; sez. 4, n. 10771 del 10/12/2002, Asole, rv. 223931), ma a condizione che lo
stesso si attivi nel richiedere di presenziare o di essere sentito mediante esplicita
istanza. Nel caso specifico, la nullità si è verificata, ma è stata sanata, in quanto
1

ottenere benefici penitenziari, sconsigliati dal giudizio di marcata pericolosità sociale,

all’udienza il difensore di fiducia presente non risulta avere sollevato alcuna
contestazione in ordine alla mancata audizione o traduzione in aula del detenuto,
avendo soltanto insistito per l’accoglimento della domanda.
2.Altrettanto infondato è il secondo motivo di ricorso: agli atti vi è prova
documentale all’avvenuta notificazione al difensore, avv.to Francesca Fogli, in data 6
maggio 2015 dell’avviso di fissazione dell’udienza ed il predetto legale risulta avere
anche presenziato all’udienza stessa, senza che i diritti difensivi siano stati lesi sotto
alcun profilo.

proponente al pagamento delle spese processuali e, in ragione dei profili di colpa insiti
nella proposizione di impugnazione di tale tenore, della somma che si stima equa di
euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali ed al versamento della somma di 1.000,00 euro alla Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 17 maggio 2016.

Pertanto, il ricorso va dichiarato inammissibile con la conseguente condanna del

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