Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28505 del 17/05/2016


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 28505 Anno 2016
Presidente: NOVIK ADET TONI
Relatore: BONI MONICA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
CERVA MONICA N. IL 18/07/1975
avverso la sentenza n. 42/2014 GIP TRIBUNALE di PAVIA, del
07/01/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MONICA BONI;

Data Udienza: 17/05/2016

Ritenuto in fatto

1.Con sentenza resa il 7 gennaio 2014 il G.i.p. del Tribunale di Pavia applicava
a richiesta delle parti all’imputata Monica Cerva la pena di anni due e mesi otto di
reclusione ed euro 100.000,00 di multa in relazione ai reati di cui agli artt. 416 cod.
pen. e 12, commi 3 e 3-bis D.Lgs. n. 286/98, unificati tra loro per continuazione.
2. Avverso l’indicata sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputata a
mezzo del difensore, il quale ne ha chiesto l’annullamento per inosservanza ed

all’art. 129 cod. proc. pen.: nel pronunciare la sentenza il G.i.p. non ha esaminato
tutte le ragioni che avrebbero dovuto condurre al proscioglimento dell’imputata, che
ha escluso in modo generico e privo di reali contenuti, tanto da non soddisfare
quanto preteso dalla prescrizione di cui all’art. 129 cod. proc. pen..

Considerato in diritto

L’impugnazione è inammissibile in quanto basata su motivo manifestamente
infondato.
1.Va premesso che l’applicazione della pena su richiesta delle parti costituisce
istituto processuale, in virtù del quale l’imputato ed il pubblico ministero si
accordano sulla qualificazione giuridica della condotta contestata, sulla concorrenza
di circostanze, sulla comparazione fra le stesse e sull’entità della pena. Da parte
sua il giudice ha il potere-dovere di controllare l’esattezza dei menzionati aspetti
giuridici e la congruità della pena richiesta e di applicarla, una volta verificata
l’evidente insussistenza di una delle cause di non punibilità previste dall’art. 129
cod. proc. pen..
1.1 Ne consegue che, ottenuta l’applicazione di una determinata pena ai sensi
dell’art. 444 cod. proc. pen., all’imputato non è consentito rimettere in discussione
profili oggettivi o soggettivi della fattispecie con riferimento all’entità della pena,
tranne che la stessa sia illegale, od alla configurabilità di aggravanti o attenuanti,
non considerate o contemplate nell’accordo pattizio (ex multis: Cass., sez. 3, n.
30.11.1995, Canna, rv. 203284; sez. 6, n. 38943 del 18/9/2003, P.G. in proc.
Cacciatori, rv. 227718; sez. 2, n. 40519 del 12/10/2005, P.M. in proc. Scafidi, rv.
232844; sez. 6, n. 32004 del 10/04/2003, P.G. in proc. Valetta, rv. 228405; sez. 3,
n. 10286 del 13/02/2013, Matteliano, rv. 254980)
2. Nel caso in esame, il Tribunale, seppur con motivazione di estrema sintesi,
ha ritenuto di dover condividere la qualificazione giuridica dei fatti come indicati
nelle imputazioni ed insussistente qualsiasi ragione per disporre il proscioglimento
dello imputata ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen. e ha puntualmente rispettato il

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erronea applicazione della legge penale e mancanza di motivazione in riferimento

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contenuto dell’istanza rivoltagli dalle parti; non è dunque consentito rimettere in
discussione con il ricorso per cassazione la decisione sulla base di una contestazione
generica su eventuali, ma del tutto imprecisate cause di proscioglimento, non
applicate dal Decidente. La motivazione, per quanto molto stringata, ha dato atto
che questi ha compiuto le verifiche pretese dal sistema processuale e tanto è
sufficiente per ritenere assolto all’obbligo giustificativo, tipico dell’istituto
processuale prescelto dalle parti.

della ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi
atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte
Cost. sent. n. 186 del 2000), al versamento a favore della Cassa delle ammende di
una sanzione pecuniaria, che pare congruo determinare in euro rnillecinquecento.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali ed al versamento della somma di 1.500,00 euro alla Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 17 maggio 2016.

Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna

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