Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28502 del 11/04/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 28502 Anno 2013
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: LIGNOLA FERDINANDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FREGNI FRANCO N. IL 07/03/1964
GIANNINI MARIA N. IL 03/01/1942
PIERANTOZZI EPIFANIO N. IL 22/08/1952
avverso la sentenza n. 1549/2009 CORTE APPELLO di PERUGIA, del
13/04/2010
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 11/04/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FERDINANDO LIGNOLA

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Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 11/04/2013

Il Procuratore generale della Corte di cassazione, dr. Vito D’Ambrosio, ha concluso
chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del Tribunale di Perugia del 16 aprile 2008 gli imputati erano
condannati alla pena di giustizia per diffamazione a mezzo stampa in danno del
relazione agli articoli del 24 aprile 2002 (intitolato” C. R. L , tre se ne vanno via”),
25 aprile 2002 (intitolato “C. R. I. , il vero problema è la presidenza”) e 19 maggio
2002 (intitolato “La C. R. I. ha denunciato i tre ispettori”). In particolare Fregni
Franco era ritenuto responsabile per l’omesso controllo, a norma dell’articolo 57 c.
p., nella qualità di direttore responsabile de “La voce di Romagna” per tutti e tre gli
articoli; Giannini Maria quale redattrice del primo articolo e Pierantozzi Epifanio
quale relatore del terzo articolo.
La Corte d’appello di Perugia, con sentenza del 13 aprile 2010, dichiarava non
doversi procedere per intervenuta prescrizione dei reati, ma confermava
l’impugnata sentenza relativamente alle statuizioni civili.
Ricorrono per cassazione gli imputati, con unico ricorso del proprio difensore
Francesco Falcinelli, affidato a due motivi.
Con il primo motivo sono articolate quattro censure:
al) violazione dell’articolo 606 c.p.p., lettera B, in relazione agli artt. 129 e 530
c.p.p., perché la sentenza, in ossequio alla giurisprudenza formatasi in ordine
all’art. 578 c.p.p. (Sez. Un. 35490/2009, ric. Tettamanti) avrebbe dovuto applicare
la formula assolutoria nel merito, anche per contraddittorietà o insufficienza della
prova, che prevale sulla dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione;
a2) violazione dell’articolo 606 c.p.p., lettera 8, in relazione agli artt. 51, 595, 596
bis c.p., poiché nel caso di specie ricorrevano i presupposti del legittimo esercizio
del diritto di cronaca, quali la veridicità della notizia, l’interesse pubblico alla
diffusione e la continenza delle espressioni utilizzate;
a3) violazione dell’articolo 606 c.p.p., lettera E, in relazione alla carenza e/o
manifesta illogicità della motivazione posta a fondamento del giudizio di
responsabilità penale del ricorrente, poiché la motivazione da una parte rilevava
che l’opinione riportata negli articoli proveniva da fonte autorevole e notoria (i tre
ispettori dimessisi), ma dall’altra in maniera del tutto apodittica, escludeva la
sussistenza della scriminante, poiché i tre dimissionari si trovavano in una posizione
di parità rispetto alle parti civili e non di supremazia, sicchè i giornalisti avrebbero
dovuto verificarne la verità. Viene richiamata la nota decisione di questa Corte a
Sezioni Unite (Sez. U, n. 37140 del 30/05/2001, Galiero, Rv. 219651), secondo la

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presidente e dei membri del comitato provinciale della Croce Rossa Italiana in

quale “In tema di diffamazione a mezzo stampa, la condotta del giornalista che,
pubblicando il testo di un’intervista, vi riporti, anche se “alla lettera”, dichiarazioni
del soggetto intervistato di contenuto oggettivamente lesivo dell’altrui reputazione,
non è scriminata dall’esercizio del diritto di cronaca, in quanto al giornalista stesso
incombe pur sempre il dovere di controllare veridicità delle circostanze e continenza
delle espressioni riferite. Tuttavia, essa è da ritenere penalmente lecita, quando il
fatto in sè dell’intervista, in relazione alla qualità dei soggetti coinvolti, alla materia
profili di interesse pubblico all’informazione tali da prevalere sulla posizione
soggettiva del singolo e da giustificare l’esercizio del diritto di cronaca,
l’individuazione dei cui presupposti è riservata alla valutazione del giudice di merito
che, se sorretta da adeguata e logica motivazione sfugge al sindacato di
legittimità”.
a4) violazione dell’articolo 21 Cost. e 10 C.E.D.U., con riferimento al diritto della
collettività a ricevere informazioni.
Con il secondo motivo è dedotta violazione dell’articolo 606 c.p.p., lettera B, in
relazione agli artt. 43 cooma 3, 57 e 595 c.p. e violazione dell’articolo 606 c.p.p.,
lettera E, in relazione alla carenza e/o manifesta illogicità della motivazione posta a
fondamento del giudizio di responsabilità penale del Fregni, direttore del giornale,
poiché la colpa, richiesta dall’ad, 57 c.p., è presunta, essendone affermata la
sussistenza dalla circostanza che all’omesso controllo è seguita la verificazione dei
fatti diffamatori. Di fatto la responsabilità del direttore è fondata solo sulla qualifica
apicale ricoperta.
CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso è fondato, con conseguente assorbimento del secondo.
1.1 Non è qui in discussione l’offensività del tenore di articoli, quali quelli oggetto
del processo, in cui si presenti un soggetto, diventato presidente di un Comitato
provinciale della Croce Rossa Italiana, come responsabile di un “totale sfacelo”,
perché promotore di “una gestione basata su interessi personali”. La difesa dei
ricorrenti e gli odierni motivi di ricorso si sono infatti dispiegati esclusivamente sulla
operatività delle cause di giustificazione le quali, come anche una parte della
dottrina riconosce, presuppongono l’accertamento di una o più condotte
antigiuridiche quali sono risultate essere – senza doglianza al riguardo negli atti di
gravame – quelle contestate agli imputati, a titolo di diffamazione e di omesso
controllo.
Orbene, in tema di esimenti del diritto di critica e di cronaca la giurisprudenza di
questa Corte si esprime ormai in termini consolidati nell’individuare i requisiti
caratterizzanti nei requisiti dell’interesse sociale, della continenza del linguaggio e

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in discussione e al più generale contesto in cui le dichiarazioni sono rese, presenti

della verità del fatto narrato e in tale ottica ha evocato il parametro della attualità
della notizia: nel senso cioè che una delle ragioni fondanti della esclusione della
antigiuridicità della condotta lesiva della altrui reputazione è vista nell’interesse
generale alla conoscenza del fatto ossia nella attitudine della notizia a contribuire
alla formazione della pubblica opinione, in modo che ognuno possa fare liberamente
le proprie scelte, nel campo della formazione culturale e scientifica.
Con riferimento al tema dell’intervista giornalistica, richiamato dai ricorrenti in
dai tre ispettori dimissionari a più redazioni di giornale, si registra un importamte
arresto giurisprudenziale (Sez. U, n. 37140 del 30/05/2001, Galiero, Rv. 219651),
con il quale è stato abbandonato l’indirizzo giurisprudenziale piuttosto rigoroso, fino
a quel momento prevalente, secondo il quale la pubblicazione di un intervista, dal
contenuto diffamatorio, rilasciato da un terzo al giornalista, non solleva quest’ultimo
dalla responsabilità per il delitto di diffamazione quando non siano stati rispettati i
requisiti della verità, dell’interesse sociale della notizia e della continenza; si è
infatti osservato che la casistica offre esempi eclatanti in cui uno dei tre requisiti
suddetti, e cioè l’interesse sociale della notizia, può acquistare un’importanza tale
da importare anche la prevalenza – nel controllo della sussistenza della scriminante
del diritto di cronaca – sugli altri due.
Ciò può verificarsi – hanno osservato le Sezioni Unite – quando un personaggio, che
occupa una posizione di alto rilievo nell’ambito della vita politica, sociale,
economica, scientifica, culturale, rilasci dichiarazioni, pure in sè diffamatorie, nei
confronti di altro personaggio, la cui posizione sia altrettanto rilevante negli ambiti
sopra indicati. In tal caso è la dichiarazione rilasciata dal personaggio intervistato
che crea di per sé la notizia, indipendentemente dalla veridicità di quanto affermato
e dalla continenza formale delle parole usate. Notizia che, se anche lesiva della
reputazione altrui, merita di essere pubblicata perché soddisfa quell’interesse della
collettività all’informazione che deve ritenersi indirettamente protetto dall’art. 21
della Costituzione. Ciò perchè la notizia è costituita dal fatto in sé della dichiarazioni
del personaggio altamente qualificato, risultando l’interesse del pubblico ad
apprenderla del tutto indipendente dalla corrispondenza al vero del suo contenuto e
dalla continenza del linguaggio adottato: pretendere che il giornalista intervistatore
controlli la verità storica del contenuto dell’intervista potrebbe comportare una
grave limitazione alla libertà di stampa; pretendere che il pubblicista si astenga dal
pubblicare l’intervista perché contenente espressioni offensive ai danni di altro
personaggio noto, significherebbe comprimere il diritto-dovere di informare
l’opinione pubblica su tale evento, non potendo, tra l’altro attribuirsi al giornalista il
compito di purgare il contenuto dell’intervista dalle espressioni offensive, sia perché
gli verrebbe attribuito un potere di censura che non gli compete, sia perché la
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quanto in due degli articoli si faceva riferimento ad un comunicato stampa inviato

notizia, costituita appunto dal giudizio non lusinghiero, espresso con parole forti da
un personaggio noto all’indirizzo di altro personaggio noto, verrebbe ad essere
svuotata del suo reale significato.
In casi del genere, allora, il problema che si pone attiene alla qualificazione da dare
al personaggio che rilascia l’intervista, al fine di accertare se effettivamente trattasi
di personaggio noto e affidabile, le cui dichiarazioni siano comunque meritevoli di
essere pubblicate, poichè in caso di posizione di rilievo dell’intervistato vi è
forma oggetto dell’intervista medesima, e si potrà dunque ritenere operante la
scriminante. Detta valutazione è ovviamente demandata al giudice del merito, il
quale dovrà tener conto, in primo luogo, dell’effettivo grado di rilevanza pubblica
dell’evento dichiarazione, considerando poi – al fine di verificare se davvero il
giornalista si sia limitato a riferire l’evento piuttosto che a divenire strumento della
diffamazione – in quale contesto valutativo e descrittivo siano riportate le
dichiarazioni altrui, quale sia la plausibilità e l’occasione di tali dichiarazioni, infine
dovrà accertare, attraverso una puntuale interpretazione dell’articolo, se il
giornalista abbia assunto una posizione imparziale, limitandosi a riportare alla
lettera le dichiarazioni del soggetto intervistato, sempre però che il fatto “in sé”
dell’intervista, in relazione alla qualità dei soggetti coinvolti, alla materia in
discussione e al più generale contesto dell’intervista presenti profili di interesse
pubblico all’informazione, tali da prevalere sulla posizione soggettiva del singolo;
diversamente, in mancanza di tutte queste condizioni, il giornalista diventa un
dissimulato coautore della dichiarazione diffamatoria e trova applicazione la
normativa sul concorso delle persone nel reato di cui all’art. 110 c.p..
Orbene, applicando questi principi alla fattispecie concreta, emerge l’erronea
applicazione dell’art. 51 c.p. e la manifesta illogicità della motivazione della
sentenza impugnata in ordine alla sussistenza della scriminante. Da una parte,
infatti, la sentenza riconosce che il contenuto dei primi due articoli fosse
sostanzialmente corrispondente al testo del comunicato stampa e che “il contenuto
delle pubblicazioni risulta riportare una serie di giudizi formulati ai danni delle parti
civili da persone che operavano nella C.R.I., e quindi senz’altro note ed autorevoli
in tale contesto lavorativo”; dall’altra, però, esclude che possano applicarsi i principi

della decisione delle Sezioni Unite Galiero, “perché gli articoli riportavano le opinioni
espresse dai tre dimissionari, che si trovavano su un piano paritario rispetto a
quello su cui si muovevano le parti civili”.

La motivazione riprende analoga affermazione della decisione di primo grado, che
parimenti esclude la scriminante, “dovendosi invece ravvisare una posizione almeno
paritaria tra dichiaranti e soggetti lesi dalle dichiarazioni, tale per cui sarebbe stato
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l’interesse della collettività ad essere informata del suo pensiero sull’argomento che

onere del giornalista svolgere un’attenta verifica sia sul fatto sia sul linguaggio
usato”.
In tal modo la decisione ha introdotto un ulteriore elemento (la posizione
sovraordinata dell’intervistato) del tutto illogico, poiché invece proprio la paritaria
posizione delle parti interessate rileva ai fini dell’interesse pubblico all’informazione.
In altri termini, anche la notorietà della persona offesa, al pari di quella del
dichiarante, è posta a fondamento del diritto-dovere di informare l’opinione

Poiché la decisione della Corte di appello di Perugia, in punto di fatto, riconosce la
sussistenza dei presupposti della scriminante, individuati nell’importanza per la
comunità locale delle dichiarazioni riportate negli articoli di stampa e nella
corrispondenza del testo degli articoli di stampa con il comunicato emesso dai tre
ispettori dimissionari, è possibile per questa Corte, a norma dell’art. 620 lettera L
c.p.p., procedere ad annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, perché i
fatti addebitati non costituiscono reato.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata senza

rinvio perché i fatti addebitati non

costituiscono reato.
Così deciso in Roma, il 11 aprile 2013
Il Presidente

Il Consigliere estensore

pubblica sul contenuto delle dichiarazioni offensive.

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