Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28499 del 10/04/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 28499 Anno 2013
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: LIGNOLA FERDINANDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CORFU’ ANGELO N. IL 14/11/1972
avverso la sentenza n. 3589/2011 CORTE APPELLO di BRESCIA, del
11/04/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 10/04/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FERDINANDO LIGNOLA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 10/04/2013

Il Procuratore generale della Corte di cassazione, dr. Gioacchino Izzo, ha concluso
chiedendo l’inammissibilità del ricorso;
per il ricorrente è presente l’avv. Carmelo Infuso, il quale chiede l’accoglimento del
ricorso e dei motivi aggiunti.
RITENUTO IN FATTO

il Tribunale di Brescia, in esito a giudizio abbreviato, per i delitti di illegale
detenzione di un fucile e ricettazione dello stesso, in quanto cosa proveniente da
reato, perchè con le canne mozzate ed il calciolo modificato.
2. La Corte di Appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza, assolveva
l’imputato dal reato di ricettazione, perché il fatto non sussiste e determinava la
pena per la residua imputazione di Illegale detenzione in anni uno di reclusione ed
Euro 300 di multa, con conferma nel resto. Essendo emerso in grado d’appello che
l’arma (perfettamente integra e senza alcuna alterazione, giusta la dichiarazione del
venditore) era stata acquistata nel 2003 dal defunto padre del Corfù per Euro 500
da tale Lussignoli e che pertanto era pervenuta all’imputato per eredità, la Corte
territoriale assolveva l’imputato dal delitto di ricettazione.
3. Ricorrevano per cassazione, avverso la confermata condanna, la difesa
dell’imputato (28/3/11) e, dal carcere, l’imputato personalmente (1/4/11), nonché
avverso l’assoluzione, il PG presso la Corte di Appello (14/4/11).
In particolare il PG deduceva violazione di legge e vizio di motivazione in relazione
alla mancata condanna per ricettazione: una volta assodato che il Corfù era venuto
nel possesso dell’arma quando questa era già stata modificata, ne derivava che nel
momento in cui egli aveva acquisito il bene per eredità, con quelle caratteristiche di
evidente manomissione, doveva rispondere anche del reato di ricettazione.
4. Con sentenza della Prima Sezione di questa Corte era accolto il ricorso della
parte pubblica ed erano rigettati quelli proposti nell’interesse dell’imputato, con
conseguente annullamento della sentenza impugnata limitatamente al reato di
ricettazione, poiché la circostanza che il fucile manomesso fosse pervenuto
all’imputato per successione ereditaria non ne scriminava la sua condotta, perché ai
fini della sussistenza dell’elemento oggettivo del reato il titolo della ricezione del
bene non aveva alcuna rilevanza.
5. In sede di rinvio la Corte di appello di Brescia, con sentenza in data 11 aprile
2012, rigettava con ordinanza l’istanza difensiva di acquisizione di documenti, di
audizioni di un teste e di espletamento di perizia e, ritenuta la responsabilità
dell’imputato anche per il delitto di ricettazione dell’arma illecitamente alterata,
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1. Corfù Angelo era condannato con sentenza dell’il giugno 2010 dal G.U.P. presso

confermava la sentenza di primo grado anche in punto di determinazione della pena
in anni 1 e mesi 8 di reclusione ed euro 500 di multa.
6. Contro la sentenza propongono ricorso per cassazione i difensori dell’imputato,
separatamente, con atti del 6 luglio 2012 (avv. Carmelo Infuso) e del 25 luglio
2012 (avv. Patrizia Scalvi).
6.1 Con il ricorso dell’avv. Scalvi viene dedotta violazione dell’articolo 606, lettera
D, c.p.p., in relazione alla mancata rinnovazione dell’istruttoria, con espletamento
non è mai stato legittimamente erede: la motivazione del diniego è basata
unicamente sulla circostanza che ci si trovava in sede di rinvio e che, avendo
trovato definizione il procedimento con rito abbreviato, il giudizio dovesse ritenersi
adeguatamente istruito. Secondo il ricorrente la perizia era indispensabile, perché
rappresentava l’unico strumento in grado di dimostrare che l’accorciamento non
aveva superato la cd. soglia di tolleranza.
6.2 Con il ricorso dell’avv. Infuso vengono dedotti quattro motivi:
I) violazione e disapplicazione dell’articolo 441, comma 5, c.p.p. da parte di
entrambe le sezioni della corte d’appello di Brescia, per non aver raccolto le istanze
difensive di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, acquisendo documenti ed
assumendo la prova testimoniale mediante l’escussione di Girasole Francesca,
madre dell’imputato, in ordine alla denuncia di possesso del fucile, presentata con
raccomandata del 18 febbraio 2009;
II) violazione dell’articolo 495, comma 2, c.p.p. per violazione del diritto alla prova
a discarico;
III)

violazione dell’articolo 27 della costituzione, perché avendo rinunciato

all’eredità del padre l’imputato non acquisì mai la proprietà del fucile per eredità,
ma solamente la detenzione in nome di altri;
IV) errata applicazione dell’articolo 648 c.p., per insussistenza sia del possesso del
fucile, sia dell’elemento soggettivo del dolo specifico, sia del delitto presupposto,
non essendo stata provata l’alterazione.
6.3 Con memoria del difensore avv. Carmelo Infuso, depositata il 22 marzo 2013,
vengono proposti due motivi nuovi:
I) inammissibilità del ricorso per cassazione, proposto dal Procuratore generale di
Brescia contro la prima sentenza della Corte di appello, per mancato rispetto del
termine di 15 giorni dalla comunicazione dell’avviso di deposito, dovendosi
applicare le regole prescritte dall’articolo 585, comma 2, lettera D: i termini
decorrevano dal 18 marzo 2011, sicché l’atto di impugnazione del 14 aprile 2011
doveva ritenersi tardivo. Tale inammissibilità può essere dichiarata in ogni stato e
grado del procedimento;
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di perizia e acquisizione di documenti, con i quali poteva dimostrarsi che l’imputato

inammissibilità del ricorso del Procuratore generale di Brescia, sotto altro profilo,
per mancata attestazione della data di deposito presso la cancelleria della Corte di
appello di Brescia, poiché alla data del 14 aprile 2011, indicata nel ricorso, non
corrisponde un’attestazione di deposito.
CONSIDERATO IN DIRITTO

espletamento della perizia sull’arma, è infondato.
La Corte territoriale ha rigettato l’istanza di riapertura dell’istruttoria, con
acquisizione di documenti, espletamento di testimonianza e di perizia sull’arma,
osservando che, trattandosi di giudizio di rinvio a seguito di annullamento della
Cassazione su specifico punto e avendo trovato definizione il procedimento in primo
grado tramite il rito abbreviato, il giudizio doveva ritenersi adeguatamente istruito.
Le doglianze si rivelano infondate.
1.1 Va innanzi tutto considerato che il vizio previsto dall’art. 606, lett. D, del c.p.p.,
è configurabile quando non sia stato ammesso un mezzo di prova che, in astratto,
poteva determinare una diversa valutazione da parte del giudice, inficiando il
giudizio formulato. Va però rilevato, nel caso in esame, che la costante
giurisprudenza della Corte di Cassazione esclude che la perizia possa farsi rientrare
nel concetto di prova decisiva fatto proprio dall’art. 606. La lettera D citata contiene
infatti un esplicito riferimento all’art. 495, comma 2, c.p.p. e, pertanto, si riferisce
alle prove a discarico, mentre la perizia non può essere considerata tale, stante il
suo carattere per così dire “neutro”, sottratto alla disponibilità delle parti e
sostanzialmente rimesso alla discrezionalità del giudice (Sez. 4, n. 4981 del
05/12/2003, P.G. in proc. Ligresti, Rv. 229665).
La mancata effettuazione di un accertamento peritale non può quindi essere
dedotta con la censura in esame; ferma restando la possibilità di dedurre il vizio di
motivazione ove il giudice di merito fondasse la ricostruzione dei fatti su
indimostrate affermazioni o su pareri tecnici legalmente acquisiti al processo ma
non valutati criticamente.
1.2 Più in generale va ricordato che la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale,
ex art. 603, comma secondo, c.p.p., è doverosa in caso di nuove prove
sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado, salvo il limite costituito da
richieste di prove vietate dalla legge o manifestamente superflue o irrilevanti;
diversamente, nell’ipotesi contemplata dall’art. 603, comma primo, c.p.p., la
rinnovazione è subordinata alla condizione che il giudice ritenga, nell’ambito della
propria discrezionalità, che i dati probatori già acquisiti siano incerti e che
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1. Il ricorso presentato dall’avv. Scalvi, incentrato sostanzialmente sul mancato

l’incombente processuale richiesto rivesta carattere di decisività (Sez. 2, n. 31065
del 10/05/2012, Lo Bianco, Rv. 253526; Sez. 2, n. 3458 del 01/12/2005, Di Gloria,
Rv. 233391).
E la rigorosa condizione cui è subordinato l’abbandono del principio di oralità
vigente nel giudizio di appello, che è procedimento critico avente per oggetto la
sentenza di primo grado, è stata motivatamente esclusa dalla Corte territoriale, che
ha evidenziato la superfluità delle ulteriori prove richieste (Sez. 2, n. 8106 del
Recentemente si è anche osservato che mentre la rinnovazione deve essere
specificamente motivata, occorrendo dare conto dell’uso del potere discrezionale
derivante dalla acquisita consapevolezza di non potere decidere allo stato degli atti,
nel caso, viceversa, di rigetto, la relativa motivazione può essere anche implicita
nella stessa struttura argomentativa posta a base della pronuncia di merito, che
evidenzi la sussistenza di elementi sufficienti per una valutazione in senso positivo
o negativo sulla responsabilità, con la conseguente mancanza di necessità di
rinnovare il dibattimento (Sez. 5, n. 15320 del 10/12/2009, Pacini, Rv. 246859;
Sez. 3, n. 24294 del 07/04/2010, D. S. B., Rv. 247872).
1.3 Va ancora ricordato sul punto che l’imputato, presentando richiesta di rito
abbreviato, ha accettato che il procedimento si svolgesse sulla base degli elementi
istruttori acquisiti al fascicolo del Pubblico Ministero, per cui non si può dolere della
mancata assunzione di nuova prova sopravvenuta e decisiva, richiesta ex art. 603
c.p.p., comma 3 (tra le ultime, Cass., Sez. 2, n. 25659 del 18/06/2009, Rv.
244163); infatti, se è sempre possibile, da parte dell’imputato che abbia richiesto il
rito abbreviato allo stato degli atti, sollecitare il giudice di appello all’esercizio del
potere di ufficio di cui all’art. 603 c.p.p., comma 3, la non incompatibilità dei rito
speciale con le assunzioni probatorie (Cass., Sez. 6, 1 ottobre 1998 n. 397, ric.
Palomba) – in virtù del rinvio dell’art. 443 c.p.p., comma 4 all’art. 599 c.p.p. e,
quindi, al comma 3 di questo articolo, che a sua volta rinvia al successivo art. 603
c.p.p. – comporta che all’assunzione d’ufficio di nuove prove o alla riassunzione
delle prove già acquisite agli atti si proceda solo quando e nei limiti in cui il giudice
di appello lo ritenga assolutamente necessario ai fini della decisione (Cass., Sez. 6,
24 novembre 1993 n. 1944, ric. De Carolis). Pertanto deve ritenersi escluso che la
parte conservi un diritto proprio a prove, alla cui acquisizione ha rinunciato per
effetto della scelta del giudizio abbreviato, con la conseguenza che deve escludersi
che il mancato esercizio da parte del giudice d’appello dei poteri d’ufficio sollecitati
possa tradursi in un vizio deducibile mediante ricorso per cessazione (Sez. 6, n.
7485 del 16/10/2008, Monetti, Rv. 242905) e che deve ulteriormente negarsi un
obbligo per il giudice di motivare il diniego di tale richiesta (Sez. 2, n. 3609 del
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26/04/2000 – Accettola, Rv. 216532).

18/01/2011, Sermone, Rv. 249161).
1.4 Deve ancora escludersi, per concludere su questo motivo, la denunciata
violazione dell’art. 627, comma 2, c.p.p., che disciplina la rinnovazione
dell’istruzione dibattimentale nel giudizio di rinvio: la giurisprudenza di questa Corte
ha più volte affermato che il giudice di appello, in sede di rinvio, non è tenuto a
disporre la rinnovazione del dibattimento ogni volta che le parti ne facciano
richiesta, in quanto i suoi poteri, anche in ordine alla rinnovazione stessa – sempre
aveva il giudice la cui sentenza è stata annullata, con l’ulteriore limite che la prova
da assumersi nella eccezionale ipotesi di nuova istruttoria dibattimentale, oltre a
dover essere indispensabile per la decisione, ai sensi dell’art. 603 c.p.p., deve
essere anche rilevante, come prescritto dal comma secondo, ultima parte, dell’art.
627 c.p.p. (Sez. 4, n. 30422 del 21/06/2005, Poggi, Rv. 232020).
È ben vero d’altra parte, che il giudizio di rinvio presenta, rispetto all’ordinario
giudizio di appello, la indubbia particolarità derivante dalla pronuncia rescindente,
che costituisce, ad un tempo, la fonte di investitura per il giudice e la
“perimetrazione” dell’area del devoluto: cosicché, è solo con riferimento all’oggetto
di tale devoluzione che possono in concreto misurarsi le attribuzioni (ed i vincoli)
del giudice del rinvio. Ma è pur sempre vero che, dovendosi i poteri di quel giudice
conformare a quelli ordinariamente attribuiti al giudice la cui sentenza è stata
annullata (è infatti “quel” giudizio a dover essere rinnovato a seguito
dell’annullamento), la previsione di un incondizionato potere probatorio delle parti
in caso di “regressione” in appello, risulterebbe davvero eccentrica, tanto sul piano
del sistema (il giudizio di rinvio, infatti, si configurerebbe sempre, agli effetti del
diritto alla prova, come se fosse un giudizio di primo grado), che sul versante degli
equilibri processuali (qualsiasi decadenza dalla prova sarebbe inspiegabilmente
rimossa). D’altra parte, ed In chiave non poco restrittiva, la giurisprudenza di
questa Corte ha anche avuto modo di affermare che l’obbligo del giudice del rinvio
di attenersi alle direttive impartite dalla Cassazione riguarda esclusivamente il
principio di diritto enunciato, con la conseguenza che quando l’annullamento è stato
determinato dalla omessa valutazione di una richiesta di assunzione di prova
reputata decisiva, il giudice del rinvio non è vincolato nelle modalità di assunzione
della prova, comunque rimesse alla sua piena discrezionalità. Principio, questo,
affermato con riferimento ad una ipotesi nella quale la Corte di Cassazione ha
rilevato che, essendo la richiesta di parte finalizzata all’espletamento

di una

indagine peritale, il giudice di rinvio conserva piena autonomia nella individuazione
dei dati utili per la ricostruzione del fatto, potendoli desumere anche aliunde ed

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che il rinvio non sia stato disposto proprio a tal fine – risultano identici a quelli che

escludendosi che l’indagine peritale rientrasse nel novero delle prove in senso
proprio (Sez. 2, n. 35616 del 13/07/2007, Acampora, Rv. 237165).
2. Anche il ricorso presentato dall’avv. Infuso è infondato e, per molti aspetti,
inammissibile.
2.1 In ordine ai primi due motivi, relativi alla mancata rinnovazione dell’istruttoria
dibattimentale ed alla violazione del diritto alla prova a discarico, ci si richiama a
quanto già affermato in ordine al ricorso firmato dall’avv. Scavi, poiché le censure
2.2 Il terzo e quarto motivo sono invece inammissibili, poiché attinenti a
circostanze di fatto (il possesso del fucile da parte dell’imputato e l’avvenuta
alterazione dell’arma), adeguatamente motivate dal giudice di appello ed
incensurabili in questa sede.
2.3 Con riferimento al primo aspetto non ci possono essere dubbi in ordine alla
piena disponibilità del fucile da parte dell’imputato, atteso che lo stesso fu
rinvenuto in un comodino nella sua abitazione, ove abitava egli esclusivamente; che
fu rinvenuto anche il fodero originale del fucile, di dimensione pari a quella delle
canne originarie (prima dell’accorciamento); che aveva reso una dichiarazione in
cui sl diceva consapevole della presenza dell’arma nella propria abitazione; che
risultava documentalmente che la madre risiedeva in altra regione (in Sicilia, a
Gela) da tempo. Del resto in ordine alla condanna per la detenzione illegale
dell’arma (capo A dell’originaria imputazione) si è formato il giudicato, poiché non vi
è stato annullamento della Prima Sezione di questa Corte sul punto, per cui in
questa sede non è ulteriormente contestabile l’elemento materiale del delitto di
ricettazione.
Deve rilevarsi, a riguardo, che ai fini della sussistenza del delitto di ricettazione,
l’azione della ricezione, che ne costituisce l’elemento materiale, è comprensiva di
qualsiasi conseguimento di possesso della cosa proveniente da delitto, anche a
mero titolo di compiacenza (Sez. 2, n. 2534 del 27/02/1997, Della Ciana, Rv.
207304), posto che la lesione del bene protetto (tutela del patrimonio) è dal
legislatore espressamente ritenuta non solo per effetto dell’acquisto ma anche in
conseguenza della semplice ricezione delle cose provenienti da delitto (Sez. 2, n.
17718 del 07/04/2011, Conte, Rv. 250156) e sussiste l’elemento materiale del
reato a prescindere dal luogo di rinvenimento della cosa, essendo sufficiente che
essa sia stata riposta in luogo in disponibilità immediata ed esclusiva dell’imputato
(Sez. 2, n. 10695 del 01/03/1986, Delfino, Rv. 173906). Il possesso di un’arma
clandestina, in mancanza di elementi che possano indurre a ritenere il possessore
autore del reato di cui l’arma è oggetto, è fatto poi di per sè idoneo a costituire

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son sovrapponibili.

elemento probatorio del delitto di ricettazione (Sez. 2, n. 39648 del 23/03/2004,
Divano, Rv. 230051).
2.4 Quanto al reato presupposto, questo è stato correttamente individuato in quello
previsto dall’art. 3 della legge 110 del 1975, che sussiste in caso di trasformazione
di un’arma lunga in arma corta, anche solo mediante la sostituzione
dell’impugnatura, dando luogo ad una rilevante alterazione delle caratteristiche
strutturali e delle dimensioni originarie dell’arma denunziata, idonea a renderne più
Rv. 244065). Nel caso di specie, oltre all’evidente taglio delle canne, va considerata
la modifica del calciolo, che appunto rendeva l’arma di più agevole porto.
Non assume alcun rilievo, poi, la libera e legale reperibilità sul mercato delle armi
comuni da sparo del tipo di arma corta, che sia frutto dell’eseguita alterazione,
laddove il possesso della stessa, come modificata, non sia oggetto di specifica
denunzia all’autorità di p.s. competente per il controllo delle armi sul relativo
territorio, come nel caso di specie.
3. Per concludere occorre prendere in esame i motivi nuovi, depositati con memoria
del 22 marzo 2013 dalla difesa dell’imputato. Con entrambi i motivi si deduce
l’inammissibilità dell’originario ricorso per Cassazione presentato dal Procuratore
generale di Brescia, per vizi formali (omessa attestazione della data di deposito) e
per tardività.
3.1 Ebbene, entrambe le censure sono inammissibili, atteso il chiaro disposto
dell’art. 627 comma 4 c.p.p., per il quale “non possono rilevarsi nel giudizio di
rinvio nullità, anche assolute, o inammissibilità, verificatesi nei precedenti giudizi o
nel corso delle indagini preliminari”, disposizione che riguarda anche l’ipotesi in cui

nel giudizio di rinvio si eccepisca l’inammissibilità, per intempestiva proposizione,
del ricorso in sede di legittimità, a seguito del quale sia stato disposto
l’annullamento con rinvio (Sez. 5, n. 48265 del 21/10/2003, Vetrano, Rv. 227574).
La regola preclusiva è una conseguenza della inoppugnabilità delle sentenze della
Corte di cassazione, che coprono il dedotto ed il deducibile e, quindi, dell’implicita
decisione negativa sulla sussistenza della nullità o dell’inammissibilità. A dire il vero
il principio della inoppugnabilità non è stato consacrato espressamente in una
disposizione ‘ad hoc’ del tipo di quella dell’art. 552 c.p.p. abr.; ma ciò è accaduto in
quanto esso si ricava comunque dal sistema. Ha perspicuamente rilevato in
proposito il giudice delle leggi che “è connaturale al sistema delle impugnazioni
ordinarie che vi sia una pronuncia terminale – identificabile positivamente in quella
della Cassazione per il ruolo di supremo giudice di legittimità ad essa affidato dalla
stessa Costituzione (art. III, c.7) – la quale definisca, nei limiti del giudicato, ogni
questione dedotta o deducibile al fine di dare certezza alle situazioni giuridiche

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agevole il porto, l’uso e l’occultamento» (Sez. 1, n. 19345 del 28/04/2009, Tonetta,

controverse e che, quindi, non sia suscettibile di ulteriore sindacato ad opera di un
giudice diverso” (C. cost., ord. 17 novembre 2000, n. 501).
4. In conclusione i ricorsi dell’imputato vanno rigettati, con conseguente condanna
al pagamento delle spese processuali, a norma dell’art. 616 c.p.p..

P.Q.M.

Così deciso in Roma, il 10 aprile 2013
Il Pr idente

Il Consigliere estensore

Rigetta i ricorsi e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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