Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28498 del 10/04/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 28498 Anno 2013
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: LIGNOLA FERDINANDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CARRIERI DOMENICO N. IL 21/10/1964
CARRIER’ GIANNI N. IL 15/02/1970
STEFANO DONATO N. IL 20/05/1948
avverso la sentenza n. 1650/2010 CORTE APPELLO di LECCE, del
08/06/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 10/04/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FERDINANDO LIGNOLA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 10/04/2013

Il Procuratore generale della Corte di cassazione, dr. Gioacchino Izzo, ha concluso
chiedendo dichiararsi l’inammissibilità dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

Con sentenza dell’8 aprile 2010 il Tribunale di Brindisi, sezione distaccata di
di giustizia per il delitto di lesioni personali in danno di Miglietta Luigi e Miglietta
Pietro, decisione confermata dalla Corte di appello di Lecce, con sentenza dell’8
giugno 2011.
Propongono ricorso i tre imputati, con atto del proprio difensore, Biagio Palama,
affidato ad un unico motivo, relativo a violazione dell’articolo 606, lettera B ed E,
c.p.p., in relazione all’acquisizione della documentazione sanitaria da parte del
giudice monocratico, su richiesta del pubblico ministero, da ritenersi inutilizzabile
poiché acquisita dal magistrato inquirente dopo l’emissione e la notifica dell’avviso
di chiusura delle indagini preliminari ex art. 415 bis c.p.p., lamentando altresì
inesistenza della motivazione con riferimento ai motivi di impugnazione avverso
l’ordinanza di rigetto dell’opposizione, proposta contestualmente ai motivi di
appello.
CONSIDERATO IN DIRITTO

I ricorsi degli imputati sono infondati e, pertanto, vanno rigettati.
I ricorrenti ripropongono la questione, già fatta oggetto di eccezione in primo
grado, relativa alla documentazione medica prodotta dal pubblico ministero in
dibattimento ed acquisita agli atti del fascicolo d’accusa in epoca successiva alla
emissione dell’avviso di chiusura delle indagini preliminari, con conseguente
modifica dell’imputazione (per il reato di lesioni, dagli originari 20 giorni, la
prognosi di guarigione è passata ad oltre 40 giorni).
Il giudice di primo grado, all’udienza del 24 febbraio 2009, ha affermato che le
certificazioni sanitarie, in quanto documenti formati al di fuori del procedimento,
sono producibili ai sensi dell’art. 234 c.p.p..
L’assunto è pienamente condivisibile e può essere ulteriormente precisato.
Osserva la Corte che il divieto, previsto dall’art. 407 c.p.p., comma 3, di
utilizzazione degli atti di indagine eseguiti dopo la scadenza del termine di durata
delle stesse, stabilito dall’art. 405 c.p.p., comma 2, o di quello eventualmente
prorogato, riguarda solo gli atti di indagine compiuti dal P.M., e, quindi, non è
riferibile ad elementi di prova la cui acquisizione sia avvenuta per fatti di terzi,
2

Mesagne, condannava Carrieri Domenico, Carrieri Gianni, Stefano Donato alla pena

indipendentemente da qualsiasi impulso della pubblica accusa (Sez. 3, n. 8732 del
21/01/2010, D., Rv. 246214; Sez. 1, n. 2666 del 10/01/2005, Burzotta; Rv.
230869). Nel caso di specie lo stesso ricorrente, nell’atto di appello, faceva
presente che il certificato medico era stato portato all’attenzione del pubblico
ministero dalla persona offesa, dopo l’emissione dell’avviso di chiusura delle
Indagini preliminari, per cui legittimamente esso è stato prima inserito nel fascicolo
d’accusa e poi prodotto in dibattimento dalla pubblica accusa.
attesa la sua manifesta infondatezza, non ha determinato alcuna nullità della
sentenza (Sez. 5, n. 3952 del 18/02/1992, Cremonini, Rv. 189818). L’obbligo per il
giudice di fornire una risposta a tutte le questioni che vengono sollevate dalle parti
nei motivi di impugnazione, infatti, incontra un limite che è poi desumibile dal
concetto stesso di “completezza” (che è uno dei requisiti della motivazione): il
limite, cioè, rappresentato dalla constatazione della manifesta infondatezza del
motivo, elemento suscettibile poi di apprezzamento nella sede in cui ha luogo il
controllo di legittimità dell’avvenuto rispetto del requisito in questione (Sez. 1, n.
3150 del 05/03/1991, Calò, Rv. 186972
In conclusione il ricorso dell’imputato va rigettato; al rigetto consegue la condanna
al pagamento delle spese processuali, ai sensi dell’art. 616 c.p.p..

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma, il 10 aprile 2013
Il Pr

ente

Il Consigliere estensore

L’omesso specifico esame del motivo di appello da parte della Corte di appello,

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