Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28497 del 24/06/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 28497 Anno 2014
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: GALLO DOMENICO

SENTENZA
Sul ricorso proposto da
Sciaudone Antonio, nato a Formia il 25/10/1987
avverso la ordinanza 22/1/2014 del Tribunale per il riesame di Napoli;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Domenico Gallo;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale,
Massimo Galli, che ha concluso chiedendo il rigetto;
udito per l’imputato, l’avv. Camillo Irare, in sostituzione dell’avv. Luigi
Iannettone, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1.

Con ordinanza in data 22/1/2014, Il Tribunale di Napoli, a seguito di

istanza di riesame avanzata nell’interesse di Sciaudone Antonio, indagato per
il reato di tentata estorsione e porto illegale di pistola in concorso,
confermava l’ordinanza del Gip di Santa Maria Capua Vetere, emessa in data
10/1/2014, con la quale era stata applicata al prevenuto la misura cautelare
della custodia in carcere.

1

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Data Udienza: 24/06/2014

2.

Il Tribunale riteneva sussistente il quadro di gravità indiziaria fondato

sulle dichiarazioni della persona offesa, Merola Marco, dai familiari di costui e
dalle videoregistrazioni del sistema di sorveglianza. Escludeva che nella
fattispecie il fatto potesse essere qualificato come esercizio arbitrario delle
proprie ragioni, in ordine ad un preteso credito vantato dal concorrente nel
reato, Verde Antimo, nei confronti del Merola. Quanto alle esigenze cautelari,
il Tribunale riteneva sussistente il pericolo di reiterazione del reato, e

3.

Avverso tale ordinanza propone ricorso l’indagato, per mezzo del suo

difensore di fiducia sollevando tre motivi di ricorso.
3.1

Con il primo motivo deduce violazione di legge, in relazione alle

norme sul concorso di persona, travisamento del fatto, vizio della
motivazione. Al riguardo eccepisce che nella fattispecie non ricorrono gli
estremi del concorso di persona, avendo egli mantenuto un comportamento
meramente passivo, a fronte della minaccia con arma posta in essere dal
Verde.
3.2

Con il secondo motivo si duole della qualificazione giuridica del fatto

come estorsione tentata, anziché esercizio arbitrario delle proprie ragioni,
avendo il Verde agito per recuperare un proprio credito.
3.3

Con il terzo motivo deduce violazione di legge e vizio della

motivazione con riferimento alle esigenze cautelari ed all’adeguatezza della
sola misura inframuraria.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.

Il ricorso è infondato.

2.

È anzitutto necessario chiarire i limiti di sindacabilità da parte di

questa Corte dei provvedimenti adottati dal giudice del riesame dei
provvedimenti sulla libertà personale.
Secondo l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide,
“l’ordinamento non conferisce alla Corte di Cassazione alcun potere di
revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi
compreso lo spessore degli indizi, ne’ alcun potere di riconsiderazione delle
caratteristiche soggettive dell’indagato, ivi compreso l’apprezzamento delle
esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate, trattandosi di

2

reputava la custodia cautelare in carcere unica misura adeguata.

apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice
cui è stata chiesta l’applicazione della misura cautelare, nonché del
tribunale del riesame. Il controllo di legittimità sui punti devoluti è, perciò,
circoscritto all’esclusivo esame dell’atto impugnato al fine di verificare che il
testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e
l’altro negativo, la cui presenza rende l’atto incensurabile in sede di
legittimità:

determinato;
2) – l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni
rispetto al fine giustificativo del provvedimento”. (Cass. Sez. 6A sent. n.
2146 del 25.05.1995 dep. 16.06.1995 rv 201840).
Inoltre “Il controllo di legittimità sulla motivazione delle ordinanze di
riesame dei provvedimenti restrittivi della libertà personale è diretto a
verificare, da un lato, la congruenza e la coordinazione logica dell’apparato
argomentativo che collega gli indizi di colpevolezza al giudizio di probabile
colpevolezza dell’indagato e, dall’altro, la valenza sintomatica degli indizi.
Tale controllo, stabilito a garanzia del provvedimento, non involge il giudizio
ricostruttivo del fatto e gli apprezzamenti del giudice di merito circa
l’attendibilità delle fonti e la rilevanza e la concludenza dei risultati del
materiale probatorio, quando la motivazione sia adeguata, coerente ed
esente da errori logici e giuridici. In particolare, il vizio di mancanza della
motivazione dell’ordinanza del riesame in ordine alla sussistenza dei gravi
indizi di colpevolezza non può essere sindacato dalla Corte di legittimità,
quando non risulti “prima facie” dal testo del provvedimento impugnato,
restando ad essa estranea la verifica della sufficienza e della razionalità
della motivazione sulle questioni di fatto”. (Cass. Sez. 1A sent. n. 1700 del
20.03.1998 dep. 04.05.1998 rv 210566).

3.

Tanto premesso, per quanto riguarda il primo motivo, in punto di

sussistenza dei presupposti del concorso di persona, occorre rilevare che il
vaglio logico e puntuale delle risultanze processuali operato dal Tribunale
per il riesame non consente a questa Corte di legittimità di muovere
critiche, ne’ tantomeno di operare diverse scelte di fatto. Le osservazioni del
ricorrente non scalfiscono l’impostazione della motivazione e non fanno
emergere profili di manifesta illogicità della stessa; nella sostanza, al di là
dei vizi formalmente denunciati, esse svolgono, sul punto dell’accertamento

3

1) – l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno

del concorso morale del prevenuto, considerazioni in fatto insuscettibili di
valutazione in sede di legittimità, risultando intese a provocare un
intervento in sovrapposizione di questa Corte rispetto ai contenuti della
decisione adottata dal Giudice del merito.

4.

Per quanto riguarda il secondo motivo di ricorso, in punto di

qualificazione giuridica del fatto, le censure del ricorrente non sono fondate

relativa all’esercizio di un preteso diritto da parte del coimputato Verde.

5.

Al riguardo va ribadito il principio di diritto affermato da questa

Sezione con la sentenza 29 maggio 2014 n. 24292 (imp. Ciminna):
«in tutti i casi in cui, a fronte di una imputazione di estorsione, venga
eccepito dalla difesa dell’imputato di aver agito al fine di esercitare un
preteso diritto, il Giudice non può determinare l’esatta qualificazione
giuridica della condotta se preliminarmente non procede all’esame della
pretesa vantata dall’agente per verificare se abbia i requisiti dell’effettività e
della concretezza, tali da renderla idonea ad essere azionata in giudizio;
solo dopo aver svolto tale accertamento, il giudice può procedere all’esame
dell’elemento psicologico per verificare se l’imputato abbia agito nella
convinzione ragionevole, anche se infondata, di esercitare un suo diritto,
ovvero abbia agito per perseguire il conseguimento di un profitto nella
consapevolezza della sua ingiustizia.»
6.

Nel caso di specie il Tribunale, con una valutazione in fatto che non

può essere oggetto di rivalutazione in questa sede, ha ritenuto non provato
il preteso diritto allegato dalla difesa del prevenuto, conseguentemente non
può essere contestata la qualificazione giuridica del fatto ai sensi dell’art.
629 cod. pen., non ricorrendo i presupposti di fatto e diritto per configurare
l’ipotesi dell’esercizio arbitrario della proprie ragioni.
7.

Infine sono infondate le censure in punto di esigenze cautelari,

avendo il Tribunale adeguatamente motivato in ordine al pericolo di
reiterazione del reato ed alla adeguatezza della sola misura inframuraria.
8.

Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che

rigetta il ricorso, la parte che lo ha proposto deve essere condannata al
pagamento delle spese del procedimento.

in quanto il Tribunale ha ritenuto priva di supporto probatorio la deduzione

9.

Poiché dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà

del ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’articolo 94, comma 1 ter, delle
disposizioni di attuazione del codice di procedura penale – che copia della
stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui l’indagato
trovasi ristretto perché provveda a quanto stabilito dal comma

1 bis del

citato articolo 94.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del
giudizio.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 Disp. Att. Cod.
proc. pen.
Così deciso, il 24 giugno 2014

P.Q.M.

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