Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28496 del 10/04/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 28496 Anno 2013
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: LIGNOLA FERDINANDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GIARDINIERI DOMENICO N. IL 29/11/1939
avverso la sentenza n. 1396/2008 CORTE APPELLO di MESSINA, del
30/06/2010
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 10/04/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FERDINANDO LIGNOLA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 10/04/2013

Il Procuratore generale della Corte di cassazione, dr. Gioacchino Izzo, ha concluso
chiedendo l’annullamento senza rinvio per prescrizione;
per il ricorrente e presente l’avv. Filippo Cusumano, il quale si riporta al primo e
secondo motivo del ricorso e chiede l’annullamento senza rinvio per prescrizione o
l’annullamento con rinvio per rideterminazione della pena.

1. Con sentenza del 5 dicembre 2007 Giardinieri Domenica era condannato alla
pena di giustizia per i reati di calunnia e diffamazione in danno di Santo Vincenzo
Trovato, per aver accusato la persona offesa di aver commesso, nell’esercizio della
sua professione di avvocato, il reato di falsità di foglio firmato in bianco, in
relazione ad un atto di ricognizione di debito per onorari; quello di infedele
patrocinio, con riferimento all’esecuzione di un provvedimento d’urgenza ex articolo
700 c.p.c., determinando la cancellazione della causa dal ruolo; quello di
diffamazione aggravata, perché con un esposto inviato successivamente alla
Procura generale presso la Corte di appello di Messina, alla Procura della Repubblica
presso il Tribunale di Patti ed al Consiglio dell’ordine degli avvocati di Patti, definiva
la persona offesa “imputato” ed “esercente abusivo della professione”, perché
sospeso, contrariamente al vero.
A seguito di impugnazione, la Corte d’appello di Messina, in parziale riforma della
decisione, con sentenza del 30 giugno 2010, dichiarava non doversi procedere per i
reati di calunnia e di diffamazione commessi nell’anno 2000, per intervenuta
prescrizione, confermando la sola condanna per l’episodio di diffamazione di cui al
capo C, commesso nel 2002.
2. Ricorre per cassazione l’imputato, proponendo quattro motivi:
I) violazione dell’articolo 606, lettera B, c.p.p., in relazione agli articoli 595, comma
2 e 51 c.a., per avere giudici di merito apoditticamente affermato la responsabilità
dell’imputato, ignorando la sussistenza della scriminante dell’articolo 51 c.a.,
coincidendo l’invio dell’esposto con l’esercizio di un diritto dell’agente, e dovendosi
escludere l’elemento psicologico del reato, giacché l’imputato riteneva che i fatti
dedotti negli esposti fossero veritieri;
II) violazione dell’articolo 606, lettera 8, c.p.p., in relazione agli articoli 595,
comma 2, 43 e 47 c.a., per avere giudici di merito erroneamente applicato i principi
generali relativi all’elemento soggettivo del reato, in particolare ignorando l’errore
di fatto commesso dall’imputato nella distinzione tra le figure del querelato,
indagato ed imputato; l’imputato non è un esperto di diritto, per cui la confusione
tra tali termini consente di escludere la sussistenza del dolo;
2

RITENUTO IN FATTO

III) violazione dell’articolo 606, lettera E, c.p.p., in relazione agli articoli 157, 158 e
161 c.p., con riferimento al calcolo della prescrizione in relazione al capo C, già
prescritto all’epoca della sentenza;
IV) violazione dell’articolo 606, lettera E, c.p.p., in relazione all’art. 163 c.p., per
non aver pronunciato il collegio giudicante su beneficio della sospensione
condizionale della pena, pur essendo stata rideterminata la pena di due anni e sei di

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I primi due motivi di ricorso sono infondati; la Corte territoriale ha infatti rilevato
che dal contenuto degli scritti e dalle risposte fornite in sede di interrogatorio dal
Giardinieri è emersa la piena consapevolezza sia della mera qualifica di indagato del
Trovato (ne era infatti sollecitato il rinvio a giudizio), sia del mancato inizio di un
procedimento disciplinare, per cui era dimostrata la consapevolezza di utilizzare
parole ed espressioni lesive dell’altrui reputazione, laddove questi era definito
“imputato” ed “esercente la professione abusivamente”, perché sospeso;
affermazioni contrarie al vero, per cui l’intento di chiedere alle Autorità cui l’esposto
era Inviato l’adozione di provvedimenti di loro competenza non esclude il dolo.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (Sez. 5, n. 4364 del
12/12/2012, Arcadi, Rv. 254390), in tema di delitti contro l’onore, non è richiesta la
presenza di un animus iniuriandi vel diffamandi, ma appare sufficiente il dolo
generico, che può anche assumere la forma del dolo eventuale, in quanto basta che
l’agente, consapevolmente, faccia uso di parole ed espressioni socialmente
interpretabili come offensive, ossia adoperate in base al significato

che esse

vengono oggettivamente ad assumere, senza un diretto riferimento alle intenzioni
dell’agente.
2. Con riferimento specifico alla sussistenza della scriminante dell’esercizio di un
diritto, poi, va sottolineato che essa opera se il fatto offensivo è vero. Quando viene
attribuito un reato, ciò che scrimina non è soltanto la verità dell’incolpazione, sub
specie di “nome iuris” del fatto, ma anche la verità del solo dato oggettivo che è
rappresentativo, di per sè, secondo la diligenza dell’uomo medio, del corrispondente
reato. La verità del fatto, in tal senso inteso, deve essere apprezzata, nella serietà
della prospettazione e, ai fini dell’accertamento del dolo e dell’esimente, con
riferimento al momento in cui viene posto in essere l’atto diffamatorio e alle
circostanze e ai comportamenti che, in quel tempo, fanno ritenere fondata la
propalazione.

3

reclusione in quella di quattro mesi di reclusione .

Nel caso di specie la decisione impugnata dà atto che l’imputato sapeva che le
condotte illecite di cui era accusato non erano state commesse dal Trovato, per cui
correttamente è stata esclusa l’esimente, anche solo sotto il profilo putativo.
3. Passando all’esame del terzo motivo, con il quale il ricorrente sostiene che
all’epoca della decisione di appello il reato era già prescritto, deve rilevarsi
l’erroneità del calcolo dei termini proposto dall’imputato.
Ed invero, avuto riguardo alla pena edittale massima prevista dall’art. 595 commi 1
anni e sei mesi, per effetto degli atti interruttivi, aveva la sua naturale scadenza al
15 ottobre 2009 (il fatto è stato commesso, secondo quanto accertato in primo
grado, 11 15 aprile 2002); a tale termine il ricorrente aggiunge le sospensioni della
prescrizione disposte espressamente dal giudice di primo grado il 19.11.2003 (a
norma della legge 134/2003), il 30.11.2005 ed il 30.11.2006 (entrambe per
concomitante impegno professionale del difensore), per un totale di 6 mesi e 29
giorni, che portano il termine finale al 14 maggio 2010, data anteriore alla
pronuncia della sentenza di appello, intervenuta il 30 giugno 2010.
Il computo corretto dei periodi di sospensione, però, deve tener conto anche dei
rinvii disposti il 26 ottobre 2004, il 7 marzo 2007 ed il 4 luglio 2007, i primi due per
impedimento del difensore di un coimputato, il terzo per astensione dalle udienze
dei difensori; sicchè il termine di prescrizione viene a maturare il 7 gennaio 2011.
Con riferimento ai primi due rinvii occorre ricordare che la sospensione del corso
della prescrizione si estende a tutti i coimputati del medesimo processo, allorchè
costoro, ove non abbiano dato causa essi stessi al differimento, non si siano opposti
al rinvio del dibattimento ovvero non abbiano sollecitato (se praticabile) l’eventuale
separazione degli atti a ciascuno di essi riferibili (Sez. F, n. 34896 del 11/09/2007,
Laganà, Rv. 237586) e senza che alcuna rilevanza abbia il dato del tutto eventuale
della contestuale valutazione procedimentale (Sez. 6, n. 3977 del 14/01/2010,
Licciardello, Rv. 245857) e della formale dichiarazione (Sez. 6, n. 12497 del
08/01/2010, Romano, Rv. 246724); nel caso di specie non risulta alcuna
opposizione o richiesta di separazione da parte della difesa dell’imputato.
4. Verificata dunque, alla stregua di quanto suesposto, la conformità a legge
dell’affermazione di responsabilità dell’imputato, corre comunque l’obbligo di
rilevare l’intervenuta estinzione del reato per effetto di prescrizione, nel frattempo
maturata (il 7 gennaio 2011).
Ciò comporta l’assorbimento del quarto motivo di ricorso, riguardante il trattamento
sanzionatorio.
4.1. S’impone, dunque, l’annullamento senza rinvio agli effetti penali per la ragione
anzidetta, non sussistendo altri motivi di proscioglimento che possano prevalere su
di essa, ex art. 129 c.p.p., comma 2.

e 2 c.p., (due anni di reclusione), il termine fissato dall’art. 157 c.p. pari a sette

5. Restano, invece, ferme le statuizioni civili conseguenti al riconoscimento di
colpevolezza, stante la rilevata infondatezza delle censure mosse al riguardo.

P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata senza rinvio per essere il reato estinto per
prescrizione; rigetta il ricorso agli effetti civili.

Il Presidente

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Così deciso in Roma, il 10 aprile 2013

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