Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28495 del 05/04/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 28495 Anno 2013
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: VESSICHELLI MARIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GIACALONE FRANCESCO N. IL 29/03/1972
avverso la sentenza n. 518/2010 CORTE APPELLO di TRIESTE, del
30/04/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 05/04/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MARIA VESSICHELLI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. P.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 05/04/2013

Fatto e diritto
Propone ricorso per cassazione Giacalone Francesco avverso la sentenza della Corte d’appello di Trieste in
data 30 aprile 2012 con la quale è stata confermata quella di primo grado, di condanna in ordine ai reati di
furto di una tessera bancomat (capo A) nonché di indebito utilizzo della detta tessera ai sensi dell’articolo
55 comma nove del decreto legislativo numero 231. del 2007 (capo B)- così modifica dall’originaria
imputazione-, fatti risalenti al 6,7, 8 febbraio 2008.
All’imputato è stata contestata la recidiva reiterata, poi ritenuta anche ai fini del computo della pena.

1)

il vizio della motivazione.
Il giudice dell’appello avrebbe mancato di valutare l’eventualità di una ricostruzione alternativa a
quella accreditata dal giudice di primo grado e, conseguentemente, di dare attuazione al principio del
ragionevole dubbio.
In particolare la difesa evidenzia il nodo critico della motivazione secondo cui la responsabilità del
furto è stata attribuita all’imputato nonostante che la persona offesa si sia avveduta della mancanza
del bancomat solo 24 giorni dopo che l’imputato aveva lasciato la sua casa e dopo aver effettuato
ben sei prelievi;

2)

la violazione di legge per mancata assunzione dei testi della difesa, pure ritualmente ammessi, ma
non presentati in udienza dal momento che il giudice non ne aveva autorizzato l’accettazione.

Il ricorso è inammissibile.
La difesa lamenta la violazione del dovere di assoluzione, da parte del giudice dell’appello, nella ipotesi del
ragionevole dubbio, fondando tuttavia tale deduzione su inammissibili censure volte ad accreditare, presso
questa Corte di cassazione un’alternativa ricostruzione della vicenda e una autonoma valutazione dei
risultati di prova.
Il motivo di ricorso consiste, infatti, in una generica doglianza sulle conclusioni raggiunte dai giudici di
merito nonostante che la motivazione esibita nella sentenza impugnata sia fondata su elementi capaci di
delineare una cornice probatoria assolutamente completa e rispondente al criterio della logica.
Basta qui ricordare che l’imputato è stato ritenuto responsabile di ripetuti prelievi dell’importo di C 250
ciascuno, effettuati tra il 6 e il 7 febbraio del 2008, presso istituti di credito tra loro vicini, essendo stato
accertato che il primo di questi fu eseguito, in piena ora notturna, da parte di un soggetto ripreso dalle
telecamere dell’istituto di credito interessato e riconosciuto senza ombra di dubbio, sia dall’ufficiale di
polizia giudiziaria che dalla persona offesa, nella persona dell’imputato. Questi infatti era perfettamente
conosciuto sia del militare che dal denunciante, essendo stato, oltre tutto, ospitato da quest’ultimo per un
periodo nella propria abitazione.
La assoluta sovrapponibilità delle circostanze operative (possesso del bancomat illecitamente sottratto,
scelta di istituti di credito vicini tra loro, prelievo nelle ore notturne entro un arco temporale assai ristretto)
sono ulteriori elementi che hanno dato luogo ad una motivazione ineccepibile, sotto il profilo della
coerenza e della razionalità, in ordine alla responsabilità dell’imputato per tutti i comportamenti contestati
nel capo B).
Il secondo motivo è, d’altra parte, palesemente inammissibile dal momento che è volto a far valere la
mancata assunzione, in appello, di prove decisive, rappresentate dai testi indotti dalla difesa in primo
grado, la cui emissione è stata revocata per non avere il difensore presentato gli stessi in udienza.

Deduce

Costituisce principio pacifico in giurisprudenza, peraltro, quello secondo cui è onere della parte che deduca
la violazione dell’articolo 600 d) c.p. p., allegare le ragioni non già della mera rilevanza ma della “decisività”
della prova non assunta, al fine di consentire a questa corte di valutare il fondamento della questione.
A tanto la difesa non ha provveduto essendosi limitata semplicemente a dedurre la violazione del diritto di
difendersi provando, in una situazione nella quale è pacifico che il giudice ha revocato l’ammissione delle
prove indotte dalla difesa per avere constatato l’assenza ingiustificata dei testi in udienza.
Alla inammissibilità consegue, ex art. 616 cpp, la condanna del ricorrente al versamento, in favore della

PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed a
versare alla cassa delle ammende la somma di euro 1000.
Roma

5.

LI,

2013

Il Presidente

il Cons. est.

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cassa delle ammende, di una somma che appare equo determinare in euro 1000.

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