Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28494 del 05/04/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 28494 Anno 2013
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: VESSICHELLI MARIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DI ROSA PASQUALE N. IL 24/06/1985
LA GATTA TERESA N. IL 21/10/1980
avverso la sentenza n. 2294/2006 CORTE APPELLO di L’AQUILA,
del 11/05/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 05/04/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MARIA VESSICHELLI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. f. paC
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 05/04/2013

FATTO E DIRITTO
Propongono ricorso per cassazione La Gatta Teresa e Di Rosa Pasquale avverso la sentenza della Corte
d’appello di L’Aquila in data 11 maggio 2011 con la quale è stata confermata quella di primo grado, emessa
all’esito di giudizio abbreviato, di condanna in ordine al reato tentato di spendita continuata, presso due
esercizi commerciali, di banconote contraffatte, fatto commesso il 21 aprile 2006.
Deduce il difensore
la nullità del processo di primo grado, già dedotta inutilmente in appello.
Tale nullità dipenderebbe dalla scelta del rito direttissimo a seguito di un arresto erroneamente
ritenuto in “quasi flagranza”.
In realtà gli imputati erano stati rintracciati nel primo pomeriggio del 21 aprile 2006 nel centro di
Pratola Peligna; di qui trasferiti in un albergo per la perquisizione ed infine nella caserma dei
carabinieri ove erano stati trattenuti sino alle 22, 30 della sera, quando era stato formalizzato
l’arresto.
Prosegue il difensore rilevando che erroneamente il giudice di primo grado aveva confermato lo
stato di quasi-flagranza, senza nemmeno riuscire a spiegare quale fosse lo status degli imputati nel
pomeriggio del 21 aprile del 2006 e, successivamente, aveva commesso il secondo errore consistito
nella mancata restituzione degli atti al pubblico ministero;
2)

il vizio di motivazione con riferimento al giudizio di responsabilità.
Questo era stato fondato- evidentemente nella sentenza di primo grado-sul rilievo del gran numero
di banconote e di pacchetti di gomme americane trovati in possesso di La Gatta e ritenuti
sintomatici della commissione del reato: contesta, in particolare, il difensore che la responsabilità
sia stata fondata sul parametro della probabilità.
Ulteriore vizio della motivazione viene ravvisato con riferimento alla affermata falsità delle
banconote oggetto della condotta contestata.
In realtà tali banconote erano state rinvenute non già in possesso degli imputati ma all’interno di
un bagno ove si riteneva fossero state depositate dal La Gatta.
Ad ogni buon conto, la falsità era stata affermata dal giudice di prime cure senza procedere a
perizia e senza che risultasse la modalità alternativa con la quale tale condizione poteva essere
stata ravvisata: invero, l’operazione di sottoporre le banconote al controllo del macchinario in
possesso presso la Banca del credito cooperativo di Pratola Peligna non risultava registrato in alcun
verbale di dichiarazioni rese dal dipendente bancario (Tarantelli).
La difesa cita poi la giurisprudenza di legittimità (sentenza cassazione numero 24 90 del 1991) che
ha ritenuto come la perizia nummaria possa e debba essere eseguita, ai sensi dell’articolo 21disp.
att. c.p.p.1930, unicamente da personale specializzato ivi indicato;

3)

l’erronea applicazione dell’articolo 56 c.p.
Erroneamente non era stato riconosciuto il tentativo, con le necessarie conseguenze sulla pena.

I ricorsi sono infondati e devono essere rigettati.
In ordine al- primo motivo deve in primo luogo premettersi che, come già sostenuto dalla
giurisprudenza di questa Corte, l’irrituale instaurazione del giudizio direttissimo di per sè (“da sola”)

1)

comporta non una nullità di origine generale ma soltanto una irregolarità, che viene eliminata a norma
dell’art. 452, primo comma, cod. proc. pen„
Tale norma statuisce che “se il giudizio direttissimo risulta promosso fuori dei casi previsti dall’art. 449,
il giudice dispone con ordinanza la restituzione degli atti al P.M.”, ma soltanto nel giudizio di primo
grado, o anche successivamente purché sia stata sollevata – e riproposta in sede di impugnazione eccezione ai sensi e nei termini dell’art. 491, comma primo, cod. proc. pen., dovendosi ritenere che la
irritualità dell’instaurazione del processo vada equiparata a nullità relativa ai sensi dell’art. 181 del
detto codice. Non può infatti ritenersi “violata” l’iniziativa del P.M. nell’esercizio dell’azione penale – art.
178 lett. b), cod. proc. pen. – per il solo fatto che questi abbia scelto il rito direttissimo invece che quello
indicati dalla lett. c) del succitato art. 178, salvo che la erronea scelta del rito abbia comportato anche
la mancanza di un decreto di citazione o di termini a difesa (Rv. 191494; conforme Sez. 5, Sentenza n.
43232 del 04/11/2008 Ud. (dep. 19/11/2008) Rv. 241943).
Nel caso di specie, va evidenziato che la irritualità dell’arresto in quasi flagranza- non fatta valere, per
quanto esposto a questa Corte, con apposito ed autonomo mezzo di gravame e comunque esclusa dal
giudice della cognizione sulla base del principio- riferito nel ricorso- dell’essere stati, gli indagati, subito
dopo il reato, inseguiti dalla polizia giudiziaria- viene dedotta nel ricorso per cassazione sulla base di
considerazioni di puro fatto, pertanto non ricevibili nella presente sede.
In più, vi è da considerare che, come evidenziato anche dalla difesa, per la irritualità della adozione del
rito speciale direttissimo l’ordinamento prevede, al comma due dell’articolo 449 c.p.p., il rimedio del
consenso dell’imputato e del pubblico ministero.
E non sembra dubitabile che la scelta, da parte del primo, del giudizio abbreviato quale trasformazione
del rito direttissimo, ai sensi dell’articolo 452 comma due cpp, costituisca un implicito consenso alla
prosecuzione del giudizio, pur in presenza di dubbi sulla sussistenza della flagranza.
Il secondo motivo di ricorso, come sopra riportato, è in parte inammissibile e in parte infondato.
La inammissibilità attiene a tutte le censure che sono state formulate senza aggredire specificamente la
motivazione della sentenza impugnata ma semplicemente ripetendo doglianze attinenti alla sentenza
di primo grado (della quale sono evocate le pagine 5 e 6) e già affrontate e risolte, con motivazione
plausibile, da parte della corte d’appello.
Questa ha posto in evidenza una serie di indizi convergenti e gravi, rappresentati, quanto alla identità
dei soggetti resisi responsabili della condotta in contestazione, dalla descrizione effettuata dai due
commercianti sia relativamente a coloro che avevano tentato la spendita delle monete false, sia alle
modalità operative, sia al modello e alla targa dell’auto utilizzata per allontanarsi.
Ancora, in ordine alla falsità delle banconote, si è fatto riferimento all’accertamento eseguito dai
carabinieri presso un Istituto bancario in possesso del macchinario rivelatore delle contraffazioni.
Rispetto a tali emergenze, ricavabili dagli atti delle indagini preliminari tutti utilizzabili in ragione della
scelta del rito, le censure della difesa si atteggiano come critiche in fatto , miranti ad ottenere dalla
cassazione un autonomo, quanto inammissibile, giudizio sui risultati di prova.
Oltre a ciò, appare del tutto generica la denuncia della mancanza di un verbale di sommarie
informazioni testimoniali concernente l’operatore bancario che avrebbe effettuato l’indagine sulle
banconote: una critica che non tiene conto del fatto ch l’atto di indagine a stato compiuto dai militari
appartenenti alla polizia giudiziaria, sicché non risulta indicata la rilevanza della questione sulle
dichiarazioni del dipendente dell’istituto di credito.

ordinario e, dall’altro, che non può parlarsi neppure di violazione dei diritti della difesa, nei termini

Del tutto inconferente è, infine, la censura sulla pretesa violazione dell’articolo 21 disp att. cpp 1930,
tenuto conto che non solo tale norma ha lasciato il passo all’articolo 73 delle disposizioni di attuazione
del codice di rito vigente ma, quel che più conta, la giurisprudenza ha successivamente escluso che il
precetto vada interpretato nel senso del dovere di scelta, da parte del pubblico ministero, di uno dei
tecnici previsti da tale norma (Rv. 197272).
Per quanto concerne, infine, l’ultimo motivo di ricorso non può non rilevarsi la genericità della relativ&
formulazione alla luce del rilievo secondo cui, tenuto conto anche dell’attestazione contenuta a pagina
due della sentenza impugnata, risulta che il giudice dell’appello, al pari del giudice di primo grado, ha
Non risulta, in senso contrario, che ai fini del computo della pena i giudici non abbiano tenuto conto
della diminuzione ex articolo 56 c.p. e non risulta neppure che una questione specifica, su tale punto,
sia stata formulata al giudice dell’appello.

-PQM

rigetta

‘d/O a/f4

al pagamento, ciascuno, delle spese del procedimento.
4 ricorsi) e condannarorrentil
i

Roma 5 aprile

2013
il Consigliere estensore

il Presidente

(licuatt AAL

Verki-LA-1-3L

Depositata in Cancelleria
Roma, lì

considerato il reato in contestazione nella forma tentata.

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