Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28491 del 17/04/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 28491 Anno 2014
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: CAMMINO MATILDE

SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di
FRANCAVILLA Emiliano n. Foggia il 16 agosto 1979
avverso l’ordinanza emessa il 12 dicembre 2013 dal Tribunale di Bari

Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Matilde Cammino;
udita la requisitoria del pubblico ministero, sost. proc. gen. Dott. Luigi Riello, che ha
chiesto il rigetto del ricorso;
sentito l’avv. Franco Moretti del foro di Roma, in sostituzione del difensore di fiducia
avv. Raffaele Quarta del foro di Bari, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
osserva:

Data Udienza: 17/04/2014

2

Considerato in fatto
1.

Con ordinanza in data 12 dicembre 2013 il Tribunale di Bari ha rigettato

l’appello proposto nell’interesse di Francavilla Emiliano avverso l’ordinanza emessa il
27 novembre 2013 dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bari con la
quale era stata parzialmente rigettata l’istanza difensiva di retrodatazione dell’efficacia
della misura cautelare della custodia in carcere emessa dal giudice per le indagini

relazione al delitto previsto dall’art.416-bis cod.pen., ai delitti di violenza privata,
danneggiamento e detenzione e porto di materiale esplodente aggravati ai sensi
dell’art.7 d.l. n.152/91 (capi C5, C6 e C7) e al delitto di estorsione continuata e
aggravata (capo E20)- alla data di esecuzione (22 giugno 2011) di altra ordinanza
emessa il 20 giugno 2011 dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bari
in ordine al delitto di favoreggiamento personale aggravato ai sensi dell’art.7 d.l.
n.152/91 e/o alla data di esecuzione (11 giugno 2012: v.nota 1 nella prima pagina
dell’ordinanza impugnata) di altra ordinanza custodiale emessa il 5 giugno 2012 in
ordine ai reati di emissione di fatture per operazioni inesistenti, estorsione e
partecipazione ad associazione mafiosa, con conseguente dichiarazione di inefficacia
della terza ordinanza in ordine di tempo per decorrenza dei termini massimi di durata
della misura ex art.297, comma 3 cod.proc.pen..
2.

Il giudice per le indagini preliminari, che accoglieva l’istanza difensiva in

ordine ai reati contestati ai capi C5, C6 e C7 dell’ultima ordinanza ritenendo
sussistente il vincolo di connessione qualificata con i reati della seconda ordinanza in
cui erano contestati fatti aggravati ai sensi dell’art.7 d.l. n.152/91 nonché l’anteriorità
e la desumibilità dagli atti, rigettava l’istanza in relazione al reato associativo
commesso “dal 2005 all’attualità” e all’estorsione (capo E20), commesso il 15-16

preliminari del Tribunale di Bari il 5 luglio 2013 ed eseguita il 16 luglio successivo -in

giugno 2011, ritenendo che il primo non riguardasse fatti commessi anteriormente a
quelli per i quali erano state emessa le altre ordinanze e che per il secondo che non
sussistesse la desumibilità degli atti alla data di emissione della seconda ordinanza in
quanto nell’aprile 2012 la polizia giudiziaria stava ancora raccogliendo elementi
necessari di valutazione i cui esiti solo 1’11 giugno 2012 erano stati comunicati al
pubblico ministero.
3.

Il Tribunale ha ritenuto infondato l’appello cautelare quanto al capo A sul

rilievo che, come ripetutamente affermato da questa Corte, l’anteriorità dei fatti non
ricorre allorché il provvedimento cautelare successivo riguardi un reato di natura

5,

associativa e la condotta di partecipazione all’associazione criminale si sia protratta
dopo l’emissione della prima ordinanza. Il Tribunale ha inoltre sottolineato che lo stato
detentivo sopravvenuto non comporta automaticamente e necessariamente la
cessazione dell’appartenenza al sodalizio criminoso, in mancanza di una condotta
esplicita, coerente e univoca da cui sia possibile desumere l’intervenuta dissociazione.
E’ stata disattesa la tesi difensiva contraria basata su una recente pronuncia di questa
sezione (n.6919 del 2013), avendo il Tribunale rilevato che la situazione esaminata è

che presentava tuttavia caratteristiche tali da condurre all’accoglimento della richiesta
difensiva. Nella fattispecie in esame l’associazione criminale di appartenenza del
Francavilla era una delle “batterie”,

denominata “Sinesi/Francavilla,

costituenti

articolazioni dell’associazione mafiosa armata conosciuta come Società Foggiana, la
cui esistenza risultava da sentenze divenute irrevocabili. Per quanto riguardava il
ricorrente la cessazione della permanenza del vincolo associativo non poteva
desumersi né dal mero inoltro nel marzo 2011 dell’informativa finale, evento
svincolato sia dalla condotta del ricorrente che dall’attività del gruppo, né dal
sopravvenuto stato detentivo che aveva solo ostacolato, dopo una consolidata
militanza (associato dal 2005, con il ruolo di organizzatore), la realizzazione di
concrete azioni a favore dell’organizzazione, mentre le risultanze investigative
comprovavano il perdurante interessamento dello stesso Francavilla e di altri
coindagati alle vicende del sodalizio anche nel corso della detenzione.
Quanto al capo E20, il Tribunale ha rilevato che correttamente il giudice per le
indagini preliminari aveva escluso la sussistenza del vincolo della continuazione ai fini
dell’invocata retrodatazione tra i fatti di cui alle prime due ordinanze di custodia
cautelare e quelli contestati con la terza ordinanza per l’inesistenza di un unitario

stata valutato alla luce dei ricordati principi giurisprudenziali, in un particolare caso

disegno criminoso, rilevando peraltro che l’estorsione contestata al capo E20 della
terza ordinanza si riferiva ad un’estorsione consumata in ambito familiare ai danni
della moglie separata del Francavilla; quanto alla desumibilità dagli atti degli elementi
indiziari (denuncia delle persone offese e intercettazioni telefoniche) già nel giugno
2011, il Tribunale ha osservato che ciò in ipotesi può valere per il punto a)
dell’imputazione, ma non anche per il punto b) relativo al forzato rilascio da parte
della moglie separata del Francavilla di due procure a vendere in favore della suocera
rilasciate il 20 gennaio 2012, fatto rispetto al quale era stata determinante
l’assunzione di informazioni dal notaio Simonetti cui la polizia giudiziaria aveva
proceduto nell’aprile 2012 riferendone al pubblico ministero solo 1’11 giugno 2012, e

k,‹,

.1quindi in data prossima all’emissione della seconda ordinanza di custodia cautelare
senza che lo stesso pubblico ministero avesse avuto il tempo di valutarne la portata
indiziaria ai fini della richiesta di misura cautelare.

4. Avverso la predetta ordinanza il Francavilla ha proposto, tramite il
difensore, ricorso per cassazione deducendo la violazione di legge in relazione agli
artt.297, comma 3, 303, comma 1 lett.a) cod.proc.pen. e il difetto e illogicità della
il Tribunale non avrebbe tenuto conto della tesi difensiva

secondo la quale, in una situazione di contestazione aperta, l’inoltro dell’informativa
conclusiva in cui era cristallizzato il quadro indiziario costituiva, in una fattispecie
connotata dalla connessione qualificata trattandosi di reati unificati dal vincolo della
continuazione e collegati probatoriamente (reato associativo e reati-fine), il momento
oltre il quale non poteva più dirsi provata, se non sulla base di una mera presunzione,
la permanenza del vincolo associativo. Nel caso del Francavilla i dati investigativi circa
la partecipazione al sodalizio mafioso si fermavano all’anno 2009, quindi ad epoca
antecedente ai fatti oggetto della prima ordinanza cautelare, e mancava, al di là della
contestazione aperta relativa al reato associativo, qualsiasi elemento circa la
sopravvivenza del sodalizio e la partecipazione del Francavilla oltre la data di
trasmissione dell’informativa.
In particolare la difesa fa rilevare che in ordine alla prima ordinanza (proc.
Bauer) il Tribunale di Bari in sede di riesame con ordinanza in data 15 luglio 2013
aveva sostituito la misura custodiale in carcere con gli arresti domiciliari e che in
ordine alla seconda ordinanza (proc. Baccus) il Francavilla era stato condannato in
primo grado, previa esclusione dell’aggravante prevista dall’art.7 d.l. n.152/91, e
aveva ottenuto gli arresti domiciliari; tra i fatti oggetto delle due prime ordinanze e
quelli oggetto della terza vi era un’evidente connessione qualificata riconosciuta anche
nell’ultima ordinanza custodiale (f.553) e, inoltre, alla data del rinvio a giudizio (o
dell’ammissione del giudizio abbreviato) nei due precedenti provvedimenti i fatti di cui
all’ultima ordinanza custodiale erano già desumibili dagli atti avendo il pubblico
ministero (stessa persona fisica) a disposizione (tranne che per l’estorsione al capo
E20) tutti gli elementi per richiedere la misura cautelare per il reato associativo
essendogli stata trasmessa l’informativa dei ROS sin dal 10 marzo 2011.
Quanto al capo A l’ininterrotta detenzione del Francavilla dal 22 giugno 2011 e
l’assenza di alcun serio indizio sul protrarsi della sua partecipazione al sodalizio non
consentiva di ritenere la permanenza del vincolo associativo (con la conseguente

motivazione; in particolare

5

esclusione del requisito dell’anteriorità) e anzi la sostituzione della custodia in carcere
con gli arresti domiciliari in relazione ai reati, pur aggravati ai sensi dell’art.7
d.I.152/91, contestati con le due prime ordinanze cautelari deponeva in senso
contrario; inoltre il Francavilla alla data della richiesta di applicazione della misura
cautelare della custodia in carcere (12 gennaio 2013) era già detenuto da circa
diciotto mesi; il Tribunale aveva fatto riferimento ad una consolidata militanza ma solo

mafiosa risalivano all’anno 2009 né poteva considerarsi significativo il sequestro,
emerso in un processo in cui il reato contestato al Francavilla era risultato estraneo
all’associazione mafiosa, di una missiva trasmessa dal ricorrente ad un sodale tramite
un altro detenuto sarebbe).
Quanto al capo E20 la difesa ritiene indiscutibile la connessione qualificata e
ritiene sussistente la desumibilità degli indizi relativi a detta estorsione dagli atti prima
dell’ordinanza eseguita nel giugno 2012 e, in particolare, fin dalla denuncia della
persona offesa e dalle intercettazioni del giugno 2011, essendo gli ulteriori
accertamenti investigativi meramente accessori; il Tribunale arbitrariamente avrebbe
ritenuto una svista nell’indicazione della data del commesso reato, commesso il 15 e
16 giugno 2011, riferendosi alle ultime procure a vendere rilasciate nel gennaio 2012
come riferito in data 20 aprile 2012 dal notaio Simonetti.
Ritenuto in diritto
5.

Il ricorso è infondato e va rigettato.

5.1.

Si osserva preliminarmente che l’istituto della retrodatazione ex

art.297, comma 3, cod.proc.pen. -tendente ad evitare che, rispetto a una custodia
cautelare in corso, intervenga un nuovo titolo che, senza adeguata giustificazione,
determini di fatto uno spostamento in avanti del termine iniziale della misura
(sentenza n. 204 del 2012 Corte cost.)- è stato oggetto di vari interventi della Corte
costituzionale (sentenza n.408 del 2005, e n. 233 del 2011) e della Corte di
cassazione (Sez. Un., n. 21957 del 22/03/2005, Rahulia; Sez. Un., n. 14535 del
19/12/2006, dep. 2007, Librato) che ne hanno definito i principi applicativi
sintetizzati, con estreme chiarezza, dalla recente pronuncia delle Sezioni Unite
n.45246 del 2012 nei termini che si riportano di seguito:
– nel caso di emissione nello stesso procedimento di più ordinanze che
dispongono nei confronti di un imputato una misura custodiale per lo stesso fatto,
diversamente circostanziato o qualificato, o per fatti diversi, legati da concorso

assertivamente in quanto gli indizi più recenti circa l’appartenenza all’associazione

C

– nel caso in cui le ordinanze cautelari adottate nello stesso procedimento
riguardino invece fatti diversi tra i quali non sussiste la connessione qualificata
prevista dall’art. 297 c.p.p., comma 3, la retrodatazione opera solo se al momento
dell’emissione della prima erano desumibili dagli atti elementi idonei a giustificare le
misure applicate con le ordinanze successive;
– il presupposto dell’anteriorità dei fatti oggetto della seconda ordinanza
coercitiva, rispetto all’emissione della prima, non ricorre allorché il provvedimento
successivo riguardi un reato di associazione e la condotta di partecipazione alla stessa
si sia protratta dopo l’emissione della prima ordinanza;
– quando nei confronti di un imputato sono emesse in procedimenti diversi più
ordinanze custodiali per fatti diversi in relazione ai quali esiste una connessione
qualificata, la retrodatazione prevista dall’art. 297 c.p.p., comma 3, opera per i fatti
desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio nel procedimento in cui è stata emessa
la prima ordinanza;
– nel caso in cui le ordinanze caute/ari adottate in procedimenti diversi
riguardino invece fatti tra i quali non sussiste la suddetta connessione e gli elementi
giustificativi della seconda erano già desumibili dagli atti al momento della emissione
della prima, i termini della seconda ordinanza decorrono dal giorno in cui è stata
eseguita o notificata la prima solo se i due procedimenti sono in corso davanti alla
stessa autorità giudiziaria e la loro separazione può essere frutto di una scelta del
pubblico ministero;
– la disciplina stabilita dall’art. 297 c.p.p., Gomma 3, per la decorrenza dei
termini di durata della custodia cautelare, si applica anche nell’ipotesi in cui, per i fatti
contestati con la prima ordinanza, l’imputato sia stato condannato con sentenza
passata in giudicato anteriormente all’adozione della seconda misura (Corte cost.,
sent, n. 233 del 2011).
Ciò premesso, la Corte osserva che nel caso in esame le tre ordinanze di
custodia cautelare in carcere sono state emesse nei confronti del Francavilla in tre
distinti procedimenti tra i quali, ove si ravvisasse la connessione qualificata, la
retrodatazione prevista dall’art. 297 c.p.p., comma 3, cod.proc.pen. opererebbe per i
fatti desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio nei procedimenti in cui sono state
emesse la prima e la seconda ordinanza, assumendo rilevanza la data dell’emissione
della prima misura cautelare solo quando la retrodatazione sia invocata in assenza di
rapporti di connessione qualificata tra i fatti oggetto dei distinti titoli cautelar’. La
Corte rileva tuttavia che la desumibilità dagli atti non viene in questione nella
fattispecie in esame quanto al delitto associativo contestato al Francavilla,
nell’ordinanza eseguita il 16 luglio 2013, con riferimento al periodo

“dal 2005

formale, da continuazione o da connessione teleologica, commessi anteriormente
all’emissione della prima ordinanza, la retrodatazione della decorrenza dei termini
delle misure disposte con le ordinanze successive opera automaticamente, ovvero
senza dipendere dalla possibilità dì desumere dagli atti, al momento dell’emissione
della prima ordinanza, l’esistenza degli elementi idonei a giustificare le successive
misure (art. 297 c.p.p., Gomma 3, prima parte);

all’attualità”, dovendo escludersi l’anteriorità del reato in questione rispetto alla data
di emissione delle due precedenti ordinanze di custodia cautelare. E’ pressoché
unanime la giurisprudenza di legittimità, richiamata anche nel provvedimento
impugnato, secondo la quale ai fini della retrodatazione dei termini di decorrenza della
custodia cautelare ai sensi dell’art. 297, comma terzo, cod. proc. pen., il presupposto
dell’anteriorità dei fatti oggetto della seconda ordinanza coercitiva, rispetto
all’emissione della prima, non ricorre allorché il provvedimento successivo riguardi un

protratta dopo l’emissione della prima ordinanza (Cass. sez.VI 24 aprile 2012
n.31441, Canzonieri; sez.I 21 aprile 2010 n.20882, Giugliano; sez.VI 26 aprile 2007
n.37952, D’Agostino; Sez.Un. 19 dicembre 2006 n.14535, Librato), con descrizione
del momento temporale di commissione mediante una formula aperta, che faccia uso
di locuzioni tali da indicare la persistente commissione del reato pur dopo l’emissione
della prima ordinanza (Cass. sez.II 16 marzo 2006 n.17575, Cardella). Nel caso di
specie, peraltro, il giudice dell’appello cautelare -dopo aver puntualizzato che la
recente pronuncia di questa sezione richiamata dall’appellante (Cass. sez.II 31
gennaio 2013 n.6819, Fusco), lungi dal discostarsi dal consolidato orientamento
giurisprudenziale sopra ricordato, ha escluso in concreto la permanenza del vincolo
associativo in un particolare caso in cui vi era stato uno stabile isolamento
dell’imputato dal gruppo in forza di detenzione prolungata e senza soluzione di
continuità, in assenza di prova della permanenza dì un contributo oggettivamente
apprezzabile alla vita ed all’organizzazione del gruppo stesso, anche se solo a
carattere morale- non si è limitato, per escludere l’anteriorità del reato associativo, al
dato formale della contestazione del tempus commissi delicti. Il Tribunale, infatti, ha
escluso -con motivazione adeguata che non può essere censurata quanto alle
valutazioni di fatto e che si conforma alla consolidata giurisprudenza di legittimità

reato di associazione di tipo mafioso e la condotta di partecipazione alla stessa si sia

secondo la quale il sopravvenuto stato detentivo non determina la necessaria ed
automatica cessazione della partecipazione ai sodalizio criminoso- che la permanenza
del vincolo associativo sia cessata per effetto del sopravvenuto stato detentivo
(iniziato il 22 giugno 2011) osservando che l’appellante era stato un “soggetto che
figura tra gli attuali organizzatori, associato dal 2005 e appartenente ad una delle
famiglie a capo di una delle batterie storicamente presenti nella città di Foggia”, che la
mera trasmissione della notitia criminis costituiva un evento esterno svincolato dalla
condotta dell’appellante e dall’attività del sodalizio, che mancava un manifesto recesso
e che non risultavano elementi da cui desumere uno stabile allontanamento dal

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gruppo per effetto della detenzione intervenuta per un breve lasso temporale “dopo
anni di appartenenza e quindi di consolidata militanza”, che la condizione detentiva
per altri coindagatì non era risultata ostativa al perdurante interessamento alle
vicende del sodalizio. In particolare nel provvedimento impugnato si evidenzia
l’episodio del sequestro di una missiva del Francavilla diretta ad un sodale attraverso
l’aiuto di un altro detenuto, episodio che “pur prescindendo…da ogni considerazione in

inviare disposizioni e direttive per mettere in atto tentativi di condizionamento di un
testimone in altro procedimento)”

rendeva

“palese l’inidoneità della condizione

carceraria ad evitare forme di comunicazione con il resto della popolazione carceraria
o con l’esterno e, potenzialmente, di attiva partecipazione alla vita
dell’organizzazione”.
Quanto al reato di estorsione contestato al capo E20 nell’ultima ordinanza di
custodia cautelare, la Corte rileva che motivatamente nel provvedimento impugnato si
è esclusa l’esistenza di una connessione qualificata (vincolo della continuazione, in
particolare) tra detto reato, inquadrabile in una contrastata vicenda di separazione
coniugale, e i fatti oggetto delle precedenti ordinanze di custodia cautelare. Si è
pertanto, coerentemente, in assenza di rapporti di connessione qualificata tra i fatti
oggetto dei distinti titoli cautelari, tenuto conto delle date di emissione delle
precedenti misure custodiali come riferimento per verificare se sussistessero elementi
per ritenere, a quelle date, la desumibilità dagli atti di un quadro indiziarb
sufficientemente compiuto da giustificare la richiesta e l’adozione di una misura
cautelare. A questo riguardo correttamente nel provvedimento impugnato sì fa
rilevare che quanto alle due procure a vendere indicate sub a) nel capo d’imputazione
la sottoscrizione delle due procure risultava avvenuta in data 16 giugno 2011 e che le
prime risultanze investigative (denuncia della persona offesa e intercettazioni
telefoniche) dessero contezza dell’avvenuta consumazione dell’estorsione, ma si rileva
per contro che sub b) risultava contestato in fatto il rilascio da parte della moglie
separata del Francavilla di altre procure che la donna era stata costretta a rilasciare in
favore della suocera e che le procure in questione, come era risultato solo dal
prosieguo delle indagini e in particolare dalle informazioni assunte il 20 aprile 2012 dal
notaio Paolo Simonetti, erano state sottoscritte dalla persona offesa il 20 gennaio
2012. Gli esiti di tale attività di indagine erano stati comunicati al pubblico ministero
con informativa dell’Il giugno 2012 e il Tribunale, con argomentazione logica e
documentata, è correttamente pervenuto alla conclusione di escludere che a quella

ordine al contenuto della missiva (intesa dall’organo inquirente come strumento per

5
data (o a quella del 13 giugno 2012, come sostenuto dalla difesa) “potessero ritenersi

desumibili per l’Ufficio del P.M. gli elementi su cui fondare la richiesta di misura
cautelare per i fatti di cui al presente procedimento (capo E20)”.
6. Al rigetto del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali.

va trasmesso al Direttore dell’istituto penitenziario in cui il ricorrente è ristretto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Si provveda a norma dell’art.94 comma 1 ter disp. att. c.p.p..
Roma 17 aprile 2014

il cons. est.

A norma dell’art. 94 co. 1 ter disp. att. c.p.p., copia del presente provvedimento

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