Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28489 del 17/04/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 28489 Anno 2014
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: CAMMINO MATILDE

SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di
LANZA Mario n. Foggia il 3 dicembre 1981
avverso l’ordinanza emessa il 12 dicembre 2013 dal Tribunale di Bari

Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Matilde Cammino;
udita la requisitoria del pubblico ministero, sost. proc. gen. dott. Luigi Riello, che ha
chiesto il rigetto del ricorso;
sentito l’avv. Franco Moretti del foro di Roma, in sostituzione del difensore avv.
Giancarlo Chiariello del foro di Bari, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
osserva:

Data Udienza: 17/04/2014

2

Considerato in fatto
1.

Con ordinanza in data 12 dicembre 2013 il Tribunale di Bari ha rigettato

l’appello proposto nell’interesse di Lanza Mario avverso l’ordinanza emessa il 24
ottobre 2013 dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bari con la quale
era stata rigettata l’istanza difensiva di retrodatazione dell’efficacia della misura
cautelare della custodia in carcere emessa in relazione al delitto previsto dall’art.416bis cod.pen. il 4 luglio 2013, ed eseguita il 16 luglio successivo, alla data di esecuzione

di altra ordinanza emessa dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bari il
3 aprile 2012 ed eseguita il 6 aprile 2012 in ordine al delitto di concorso in estorsione
continuata aggravata anche ai sensi dell’art.7 d.l. n.152/1991, con conseguente
dichiarazione di inefficacia della seconda ordinanza in ordine di tempo per decorrenza
dei termini massimi di durata della misura ex art.297, comma 3, cod.proc.pen..
2.

Il giudice per le indagini preliminari aveva ritenuto la seconda misura,

relativa al reato associativo commesso “dal 2005 all’attualità”, non riguardasse fatti
commessi anteriormente a quelli per i quali era stata emessa la prima ordinanza,
essendo gli episodi estorsivi contestati in detta ordinanza riferibili secondo la
contestazione al periodo 12 maggio-6 settembre 2009.
3.

Il Tribunale ha ritenuto infondato l’appello cautelare sul rilievo che, come

ripetutamente affermato da questa Corte, l’anteriorità dei fatti non ricorre allorché il
provvedimento cautelare successivo riguardi un reato di natura associativa e la
condotta di partecipazione all’associazione criminale si sia protratta dopo l’emissione
della prima ordinanza. Il Tribunale ha inoltre sottolineato che lo stato detentivo
sopravvenuto non comporta automaticamente e necessariamente la cessazione
dell’appartenenza al sodalizio criminoso, in mancanza di una condotta esplicita,
coerente e univoca da cui sia possibile desumere l’intervenuta dissociazione. E’ stata
disattesa la tesi difensiva contraria basata su una recente sentenza di legittimità
(Cass. sez.II n.6919 del 2013), avendo il Tribunale rilevato che il caso esaminato è
stato valutato alla luce dei ricordati principi giurisprudenziali, in una situazione che
presentava tuttavia caratteristiche tali da condurre all’accoglimento della richiesta
difensiva. Nella fattispecie in esame l’associazione criminale di appartenenza del Lanza
era una delle “batterie”,

denominata “Sinesi/Francavilla”,

costituenti articolazioni

dell’associazione mafiosa armata conosciuta come Società Foggiana, la cui esistenza
risultava da sentenze divenute irrevocabili. Per quanto riguardava il ricorrente la
cessazione della permanenza del vincolo associativo non poteva desumersi né dal

1

,

mero inoltro nel marzo 2011 dell’informativa finale, evento svincolato sia dalla
condotta del ricorrente che dall’attività del gruppo, né dal sopravvenuto stato
detentivo che aveva solo ostacolato, dopo una consolidata militanza, la realizzazione
di concrete azioni a favore dell’organizzazione criminale, mentre le risultanze
investigative comprovavano il perdurante interessamento di altri coindagati alle
vicende del sodalizio anche nel corso della detenzione. Il fatto interruttivo, anche a
voler aderire alla tesi difensiva, si sarebbe comunque verificato il 6 aprile 2012, quindi

4. Avverso la predetta ordinanza il Lanza ha proposto, tramite il difensore,
ricorso per cassazione deducendo la violazione di legge in relazione agli artt.297,
comma 3, e 303, comma 1 lett.a) cod.proc.pen. e all’art.416-bis cod.pen.; la
violazione di legge in relazione agli artt.125 e 310 cod.proc.pen.; la mancanza o la
contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione; in particolare il Tribunale
non avrebbe tenuto conto della tesi difensiva secondo la quale, in una situazione di
contestazione aperta, l’inoltro dell’informativa conclusiva in cui era cristallizzato il
quadro indiziario costituiva, in una fattispecie connotata dalla connessione qualificata
trattandosi di reati unificati dal vincolo della continuazione e collegati probatoriamente
(reato associativo e reati-fine), il momento oltre il quale non poteva più dirsi provata,
se non sulla base di una mera presunzione, la permanenza del vincolo associativo. Nel
caso del Lanza i dati investigativi circa la partecipazione al sodalizio mafioso si
fermavano all’anno 2009, quindi ad epoca antecedente ai fatti oggetto della prima
ordinanza cautelare, e mancava, al di là della contestazione aperta relativa al reato
associativo, qualsiasi elemento circa la sopravvivenza del sodalizio e la partecipazione
del Lanza oltre la data di trasmissione dell’informativa.
Ritenuto in diritto
5. Il ricorso è infondato e va rigettato.
5.1.

Si osserva preliminarmente che l’istituto della retrodatazione ex

art.297, comma 3, cod.proc.pen. -tendente ad evitare che, rispetto a una custodia
cautelare in corso, intervenga un nuovo titolo che, senza adeguata giustificazione,
determini di fatto uno spostamento in avanti del termine iniziale della misura
(sentenza n. 204 del 2012 Corte cost.)- è stato oggetto di vari interventi della Corte
costituzionale (sentenza n,408 del 2005, e n. 233 del 2011) e della Corte di
cassazione (Sez. Un., n. 21957 del 22/03/2005, Rahulia; Sez. Un., n. 14535 del

dopo l’emissione del primo titolo cautelare (3 aprile 2012).

4
19/12/2006, dep. 2007,

Librato) che ne hanno definito i principi applicativi

sintetizzati, con estreme chiarezza, dalla recente pronuncia delle Sezioni Unite

– nel caso di emissione nello stesso procedimento di più ordinanze che
dispongono nei confronti di un imputato una misura custodiate per lo stesso fatto,
diversamente circostanziato o qualificato, o per fatti diversi, legati da concorso
formale, da continuazione o da connessione teleologica, commessi anteriormente
all’emissione della prima ordinanza, la retrodatazione della decorrenza dei termini
delle misure disposte con le ordinanze successive opera automaticamente, ovvero
senza dipendere dalla possibilità di desumere dagli atti, al momento dell’emissione
della prima ordinanza, l’esistenza degli elementi idonei a giustificare le successive
misure (art. 297 c.p.p,, comma 3, prima parte);
– nel caso in cui le ordinanze cautelar’ adottate nello stesso procedimento
riguardino invece fatti diversi tra i quali non sussiste la connessione qualificata
prevista dall’art. 297 c.p.p., comma 3, la retrodatazione opera solo se al momento
dell’emissione della prima erano desumibili dagli atti elementi idonei a giustificare le
misure applicate con le ordinanze successive;
– il presupposto dell’anteriorità dei fatti oggetto della seconda ordinanza
coercitiva, rispetto all’emissione della prima, non ricorre allorché il provvedimento
successivo riguardi un reato di associazione e la condotta di partecipazione alla stessa
si sia protratta dopo l’emissione della prima ordinanza;
– quando nei confronti di un imputato sono emesse in procedimenti diversi più
ordinanze custodiali per fatti diversi in relazione ai quali esiste una connessione
qualificata, la retrodatazione prevista dall’art. 297 c.p.p., comma 3, opera per i fatti
desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio nel procedimento in cui è stata emessa
la prima ordinanza;
– nel caso in cui le ordinanze cautelar’ adottate in procedimenti diversi
riguardino invece fatti tra i quali non sussiste la suddetta connessione e gli elementi
giustificativi della seconda erano già desumibili dagli atti al momento della emissione
della prima, i termini della seconda ordinanza decorrono dal giorno in cui è stata
eseguita o notificata la prima solo se i due procedimenti sono in corso davanti alla
stessa autorità giudiziaria e la loro separazione può essere frutto di una scelta del
pubblico ministero;
– la disciplina stabilita dall’art. 297 c.p.p., comma 3, per la decorrenza dei
termini di durata della custodia cautelare, si applica anche nell’ipotesi in cui, per i fatti
contestati con la prima ordinanza, l’imputato sia stato condannato con sentenza
passata in giudicato anteriormente all’adozione della seconda misura (Corte cost.,
sent, n. 233 del 2011).
Ciò premesso, la Corte osserva che nel caso in esame le due ordinanze di
custodia cautelare in carcere sono state emesse nei confronti del Lanza in due distinti
procedimenti tra i quali, ravvisandosi la connessione qualificata, la retrodatazione
prevista dall’art. 297 c.p.p., comma 3, cod.proc.pen. opererebbe per í fatti desumibili
dagli atti prima dell’emissione del decreto di giudizio immediato nel procedimento in

n.45246 del 2012 nei termini che si riportano dì seguito:

cui è stata emessa la prima ordinanza (12 giugno 2012), assumendo rilevanza la data
dell’emissione della prima misura cautelare solo quando la retrodatazione sia invocata
in assenza di rapporti di connessione qualificata tra i fatti oggetto dei distinti titoli
cautelari. La Corte rileva tuttavia che la desumibilità dagli atti non viene in questione
nella fattispecie in esame in cui, secondo la contestazione, deve escludersi l’anteriorità
del delitto associativo contestato al Lanza (“dal 2005 all’attualità”) con l’ordinanza
eseguita il 16 luglio 2013 rispetto alla data di emissione dell’ordinanza di custodia

anche nel provvedimento impugnato, secondo la quale ai fini della retrodatazione dei
termini di decorrenza della custodia cautelare ai sensi dell’art. 297, comma terzo, cod.
proc. pen., il presupposto dell’anteriorità dei fatti oggetto della seconda ordinanza
coercitiva, rispetto all’emissione della prima, non ricorre allorché il provvedimento
successivo riguardi un reato di associazione di tipo mafioso e la condotta di
partecipazione alla stessa si sia protratta dopo l’emissione della prima ordinanza
(Cass. sez.VI 24 aprile 2012 n.31441, Canzonieri; sez.I 21 aprile 2010 n.20882,
Giugliano; sez.VI 26 aprile 2007 n.37952, D’Agostino; Sez.Un. 19 dicembre 2006
n.14535, Librato), con descrizione del momento temporale di commissione mediante
una formula aperta, che faccia uso di locuzioni tali da indicare la persistente
commissione del reato pur dopo l’emissione della prima ordinanza (Cass. sez.II 16
marzo 2006 n.17575, Cardella). Nel caso di specìe, peraltro, il giudice dell’appello
cautelare -dopo aver puntualizzato che la recente pronuncia di questa sezione
richiamata dall’appellante (Cass. sez.II 31 gennaio 2013 n.6819, Fusco), lungi dal
discostarsi dal consolidato orientamento giurisprudenziale sopra ricordato, ha escluso
in concreto la permanenza del vincolo associativo in un particolare caso in cui vi era
stato uno stabile isolamento dell’imputato dal gruppo in forza di detenzione prolungata
e senza soluzione di continuità, in assenza di prova della permanenza di un contributo
oggettivamente apprezzabile alla vita ed all’organizzazione del gruppo stesso, anche
se solo a carattere morale- non si è limitato, per escludere l’anteriorità del reato
associativo, al dato formale della contestazione del

tempus commissi delicti.

Il

tribunale, infatti, ha escluso -con motivazione adeguata che non può essere censurata
quanto alle valutazioni di fatto e che si conforma alla consolidata giurisprudenza di
legittimità secondo la quale il sopravvenuto stato detentivo non determina la
necessaria ed automatica cessazione della partecipazione ai sodalizio criminoso- che la
permanenza del vincolo associativo sia cessata per effetto del sopravvenuto stato
detentivo (iniziato, peraltro, il 6 aprile 2012 e quindi in data successiva all’emissione

cautelare anteriore. E’ pressoché unanime la giurisprudenza di legittimità, richiamata

C

della prima ordinanza custodiale del 3 aprile 2012) osservando che l’appellante era
stato un componente attivo del gruppo criminoso cui aveva consapevolmente aderito,
che la mera trasmissione della notitia criminis costituiva un evento esterno svincolato
dalla condotta dell’appellante e dall’attività del sodalizio, che mancava un manifesto
recesso e che non risultavano elementi da cui desumere uno stabile allontanamento
dal gruppo per effetto della detenzione intervenuta per un lasso temporale di appena
un anno “dopo anni di appartenenza e quindi di consolidata militanza”,

che la

interessamento alle vicende del sodalizio.

6. Al rigetto del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali.
A norma dell’art. 94 co. 1 ter disp. att. c.p.p., copia del presente provvedimento
va trasmesso al Direttore dell’istituto penitenziario in cui il ricorrente è ristretto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Si provveda a norma dell’art.94 comma 1 ter disp. att. c.p.p..
Roma 17 aprile 2014

il cons. est.

condizione detentiva per altri coindagati non era risultata ostativa al perdurante

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