Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28488 del 17/04/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 28488 Anno 2014
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: CAMMINO MATILDE

SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di
GATTA Ernesto n. Foggia il 2 giugno 1974
avverso l’ordinanza emessa il 13 gennaio 2014 dal Tribunale di Bari

Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Matilde Cammino;
udita la requisitoria del pubblico ministero, sost. proc. gen. dott. Luigi Riello, che ha
chiesto il rigetto del ricorso;
sentito il difensore, avv. Raoul Pellegrini del foro di Foggia, che ha chiesto
l’accoglimento del ricorso;
osserva:

Considerato in fatto

Data Udienza: 17/04/2014

Z
1.

Con ordinanza in data 13 gennaio 2014 il Tribunale di Bari ha rigettato

l’appello proposto nell’interesse di Gatta Ernesto avverso l’ordinanza emessa il 27
novembre 2013 dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bari con la quale
era stata rigettata l’istanza difensiva di retrodatazione dell’efficacia della misura
cautelare della custodia in carcere emessa il 5 luglio 2013 in relazione al delitto
previsto dall’art.416-bis cod.pen., ed eseguita il 16 luglio successivo, alla data di
esecuzione di altra ordinanza emessa dal giudice per le indagini preliminari del

concorso in estorsione continuata aggravata anche ai sensi dell’art.7 d.l. n.152/1991,
con conseguente dichiarazione di inefficacia dell’ultima ordinanza per decorrenza dei
termini massimi di durata della misura ex art.297, comma 3, cod.proc.pen..
2.

Il giudice per le indagini preliminari aveva ritenuto che la seconda misura,

relativa al reato associativo commesso dal 17 aprile 2009

“all’attualità”,

non

riguardasse fatti commessi anteriormente a quelli per i quali era stata emessa la
prima ordinanza, essendo gli episodi estorsivi cui si riferiva detta ordinanza commessi,
secondo la contestazione, nel periodo gennaio 2007-marzo 2008; peraltro l’ultimo
fatto storico significativo dell’appartenenza all’associazione mafiosa risaliva ad un
episodio per il quale il Gatta era stato arrestato il 3 gennaio 2012 per il quale la
valutazione della valenza indiziaria anche ai fini associativi richiedeva da parte del
pubblico ministero un ragionevole lasso temporale, mentre nel caso di specie
dovevano ritenersi insufficienti i tre mesi trascorsi rispetto alla data di emissione del
primo titolo cautelare.

3.

Il Tribunale ha ritenuto infondato l’appello cautelare sul rilievo che, come

ripetutamente affermato da questa Corte, l’anteriorità dei fatti non ricorre allorché il
provvedimento cautelare successivo riguardi un reato di natura associativa e la
condotta di partecipazione all’associazione criminale si sia protratta dopo l’emissione
della prima ordinanza. Il Tribunale ha inoltre sottolineato che lo stato detentivo
sopravvenuto non comporta automaticamente e necessariamente la cessazione
dell’appartenenza al sodalizio criminoso, in mancanza di una condotta esplicita,
coerente e univoca da cui sia possibile desumere l’intervenuta dissociazione. E’ stata
disattesa la tesi difensiva contraria basata su una recente pronuncia di legittimità
(Cass. sez.II n.6919 del 2013), avendo il Tribunale rilevato che il particolare caso
esaminato, valutato alla luce dei ricordati principi giurisprudenziali, presentava
caratteristiche tali da condurre all’accoglimento della richiesta difensiva. Nella

Tribunale di Bari il 3 aprile 2012, ed eseguita il 6 aprile 2012, in ordine al delitto di

3
fattispecie in esame, invece, l’associazione criminale di appartenenza del Gatta era
una delle

“batterie”,

denominata

“Moretti-Pellegrino”,

costituenti articolazioni

dell’associazione mafiosa armata conosciuta come Società Foggiana, la cui esistenza
risultava da sentenze divenute irrevocabili. Per quanto riguardava il ricorrente la
cessazione della permanenza del vincolo associativo non poteva desumersi né dal
mero inoltro nel marzo 2011 dell’informativa finale, evento svincolato sia dalla
condotta del ricorrente che dall’attività del gruppo, né dal sopravvenuto stato

condotta associativa veniva presa in considerazione a decorrere dal 2009 essendo già
intervenuta condanna in relazione all’appartenenza al clan Moretti Pellegrino nel
periodo maggio 2007-aprile 2009, si occupava del settore delle estorsioni e,
soprattutto, della gestione della cassa comune e del mantenimento degli associati), la
realizzazione di concrete azioni a favore dell’organizzazione criminale, mentre le
risultanze investigative comprovavano il perdurante interessamento di altri coindagati
(Francavilla Antonello, Trisciuoglio Federico) alle vicende del sodalizio anche nel corso
della detenzione. Il fatto interruttivo, anche a voler aderire alla tesi difensiva, si
sarebbe comunque verificato il 6 aprile 2012, quindi dopo l’emissione del primo titolo
cautelare (3 aprile 2012).

4. Avverso la predetta ordinanza il Gatta ha proposto, tramite il difensore,
ricorso per cassazione deducendo la violazione di legge in relazione agli artt.297,
comma 3, e 303, comma 1 lett.a), cod.proc.pen. e il difetto e l’illogicità della
motivazione; in particolare si osserva che:
a) il pubblico ministero -cui l’informativa conclusiva, nella quale era
cristallizzato il quadro indiziario, era stata trasmessa in data 1° marzo 2011- nel
richiedere la custodia cautelare in carcere in relazione ai fatti di estorsione continuata

detentivo che aveva solo ostacolato, dopo una consolidata militanza (il Gatta, la cui

aggravata anche ai sensi dell’art.7 d.l. n.152/1991 (ordinanza eseguita il 6 aprile
2012) già aveva a disposizione gli elementi per contestare il reato di associazione
mafiosa oggetto della seconda ordinanza cautelare eseguita il 15 luglio 2013, di cui
era stata richiesta l’applicazione nel gennaio 2013; gli indizi relativi alla partecipazione
del Gatta all’associazione mafiosa ex art.416-bis cod. pen., comunque, erano da parte
del pubblico ministero, la stessa persona fisica, desumibili dagli atti alla data in cui
venne disposto il giudizio per i fatti della prima ordinanza (12 giugno 2012); al
momento dell’esecuzione della seconda ordinanza (luglio 2013) era già decorso il
termine massimo di custodia cautelare di un anno, essendo l’applicazione dell’istituto

i,

della retrodatazione ex art.297 co.3 cod.proc.pen. giustificata nel caso in esame dalla
connessione qualificata tra gli addebiti riconosciuta nella stessa ordinanza custodiale
del 5 luglio 2013 (f.578 ss.) in cui sostanzialmente si affermava che i fatti estorsivi
oggetto della prima ordinanza rilevavano quali indizi in ordine alla partecipazione
all’associazione mafiosa;
b) quanto alla sussistenza del requisito dell’anteriorità, nonostante la

richiesta dell’ordinanza custodiale (12 gennaio 2013) il Gatta era detenuto da nove
mesi (dall’aprile 2012) e non vi era la prova del permanere del vincolo associativo,
anzi vi era la prova contraria perché al Gatta il 13 giugno 2013 in relazione ai fatti
oggetto della prima ordinanza dal Tribunale di Foggia erano stati concessi gli arresti
domiciliari con la motivazione che “l’intraneità mafiosa accertata in altra sede a carico
del Gatta si ferma (stando alla contestazione) al 17 aprile 2009”; del resto la misura
cautelare meno afflittiva non avrebbe potuto essere applicata ove fossero stati ritenuti
sussistenti gli indizi di permanenza del vincolo associativo mafioso; la Corte di
cassazione ha comunque affermato la necessità, in caso di detenzione, della prova di
un contributo anche solo morale alla vita e all’organizzazione del gruppo (Cass. sez.VI
n.6262 del 17 gennaio 2003 n.227710); l’arresto del Gatta in data 3 gennaio 2012
riguarderebbe, invece, un fatto estraneo ad un contesto di criminalità organizzata; il
Gatta, cui il reato associativo con la seconda ordinanza era stato contestato con
decorrenza dal 17 aprile 2009, era stato detenuto dal 30 novembre 2009 al 3 ottobre
2011 e dal 6 aprile 2012 in poi e, quanto al periodo precedente al 17 aprile 2009, non
era stato condannato per associazione mafiosa in via definitiva essendo stata la
sentenza di condanna annullata con rinvio dalla Corte di cassazione.

Ritenuto in diritto
5. Il ricorso è infondato e va rigettato.
5.1.

Si osserva preliminarmente che l’istituto della retrodatazione ex

art.297, comma 3, cod.proc.pen. -tendente ad evitare che, rispetto a una custodia
cautelare in corso, intervenga un nuovo titolo che, senza adeguata giustificazione,
determini di fatto uno spostamento in avanti del termine iniziale della misura
(sentenza n. 204 del 2012 Corte cost.)- è stato oggetto di vari interventi della Corte
costituzionale (sentenza n.408 del 2005, e n. 233 del 2011) e della Corte di
cassazione (Sez. Un., n. 21957 del 22/03/2005, Rahulia; Sez. Un., n. 14535 del

contestazione aperta con una mera clausola di stile (“fino all’attualità”), alla data della

19/12/2006, dep. 2007, Librato) che ne hanno definito i principi applicativi
sintetizzati, con estreme chiarezza, dalla recente pronuncia delle Sezioni Unite

– nel caso di emissione nello stesso procedimento di più ordinanze che
dispongono nei confronti di un imputato una misura custodiale per lo stesso fatto,
diversamente circostanziato o qualificato, o per fatti diversi, legati da concorso
formale, da continuazione o da connessione teleologica, commessi anteriormente
all’emissione della prima ordinanza, la retrodatazione della decorrenza dei termini
delle misure disposte con le ordinanze successive opera automaticamente, ovvero
senza dipendere dalla possibilità di desumere dagli atti, al momento dell’emissione
della prima ordinanza, l’esistenza degli elementi idonei a giustificare le successive
misure (art. 297 c.p.p., comma 3, prima parte);
– nel caso in cui le ordinanze caute/ari adottate nello stesso procedimento
riguardino invece fatti diversi tra i quali non sussiste la connessione qualificata
prevista dall’art. 297 c.p.p., comma 3, la retrodatazione opera solo se al momento
dell’emissione della prima erano desumibili dagli atti elementi idonei a giustificare le
misure applicate con le ordinanze successive;
– il presupposto dell’anteriorità dei fatti oggetto della seconda ordinanza
coercitiva, rispetto all’emissione della prima, non ricorre allorché il provvedimento
successivo riguardi un reato di associazione e la condotta di partecipazione alla stessa
si sia protratta dopo l’emissione della prima ordinanza;
– quando nei confronti di un imputato sono emesse in procedimenti diversi più
ordinanze custodiali per fatti diversi in relazione ai quali esiste una connessione
qualificata, la retrodatazione prevista dall’art. 297 c.p.p., comma 3, opera per i fatti
desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio nel procedimento in cui è stata emessa
la prima ordinanza;
– nel caso in cui le ordinanze caute/ari adottate in procedimenti diversi
riguardino invece fatti tra i quali non sussiste la suddetta connessione e gli elementi
giustificativi della seconda erano già desumibili dagli atti al momento della emissione
della prima, i termini della seconda ordinanza decorrono dal giorno in cui è stata
eseguita o notificata la prima solo se i due procedimenti sono in corso davanti alla
stessa autorità giudiziaria e la loro separazione può essere frutto di una scelta del
pubblico ministero;
– la disciplina stabilita dall’art. 297 c.p.p., comma 3, per la decorrenza dei
termini di durata della custodia cautelare, si applica anche nell’ipotesi in cui, per i fatti
contestati con la prima ordinanza, l’imputato sia stato condannato con sentenza
passata in giudicato anteriormente all’adozione della seconda misura (Corte cost.,
sent, n. 233 del 2011).
Ciò premesso, la Corte osserva che nel caso in esame le due ordinanze di
custodia cautelare in carcere sono state emesse nei confronti del Gatta in due distinti
procedimenti tra i quali, ove si ravvisasse la connessione qualificata (ma sul punto
deve rilevarsi che il ricorrente si limita ad evidenziare genericamente che
nell’ordinanza per il reato associativo contestato a partire dal 17 aprile 2009 la

n.45246 del 2012 nei termini che sì riportano dì seguito:

”scheda personale” del Gatta fa riferimento ai fatti estorsivi di cui al procedimento
penale n.3320/10 R.G.NR commessi tra gennaio 2007 e marzo 2008, oggetto della
precedente ordinanza di custodia cautelare), la retrodatazione prevista dall’art. 297
c.p.p., comma 3, cod.proc.pen. opererebbe per ì fatti desumibili dagli atti prima del
rinvio a giudizio nel procedimento in cui è stata emessa la prima ordinanza (12 giugno
2012), assumendo rilevanza la data dell’emissione della prima misura cautelare solo
quando la retrodatazione sia invocata in assenza di rapporti di connessione qualificata

dagli atti non viene in questione nella fattispecie in esame in cui, secondo la
contestazione, deve escludersi l’anteriorità del delitto associativo contestato al Gatta
(“dal 17 aprile 2009 all’attualità”) con l’ordinanza eseguita il 16 luglio 2013 rispetto
alla data di emissione dell’ordinanza di custodia cautelare anteriore. E’ pressoché
unanime la giurisprudenza di legittimità, richiamata anche nel provvedimento
impugnato, secondo la quale ai fini della retrodatazione dei termini di decorrenza della
custodia cautelare ai sensi dell’art. 297, comma terzo, cod. proc. pen., il presupposto
dell’anteriorità dei fatti oggetto della seconda ordinanza coercitiva, rìspetto
all’emissione della prima, non ricorre allorché il provvedimento successivo riguardi un
reato di associazione di tipo mafioso e la condotta di partecipazione alla stessa si sia
protratta dopo l’emissione della prima ordinanza (Cass. sez.VI 24 aprile 2012
n.31441, Canzonieri; sez.I 21 aprile 2010 n.20882, Giugliano; sez.VI 26 aprile 2007
n.37952, D’Agostino; Sez.Un. 19 dicembre 2006 n.14535, [Arato), con descrizione
del momento temporale di commissione mediante una formula aperta, che faccia uso
di locuzioni tali da indicare la persistente commissione del reato pur dopo l’emissione
della prima ordinanza (Cass. sez.II 16 marzo 2006 n.17575, Cardella). Nel caso di
specie, peraltro, il giudice dell’appello cautelare -dopo aver puntualizzato che la
recente pronuncia di questa sezione richiamata dall’appellante (Cass. sez.II 31
gennaio 2013 n.6819, Fusco), lungi dal discostarsi dal consolidato orientamento
giurisprudenziale sopra ricordato, ha escluso in concreto la permanenza del vincolo
associativo in un particolare caso in cui vi era stato uno stabile isolamento
dell’imputato dal gruppo in forza dì detenzione prolungata e senza soluzione di
continuità, in assenza di prova della permanenza di un contributo oggettivamente
apprezzabile alla vita ed all’organizzazione del gruppo stesso, anche se solo a
carattere morale- non si è limitato, per escludere l’anteriorità del reato associativo, al
dato formale della contestazione del tempus commissi delitti, Il Tribunale, infatti, ha
escluso -con motivazione adeguata che non può essere censurata quanto alle

tra i fatti oggetto dei distinti titoli cautelarí. La Corte rileva tuttavia che la desumibilità

valutazioni di fatto e che si conforma alla consolidata giurisprudenza di legittimità
secondo la quale il sopravvenuto stato detentivo non determina la necessaria ed
automatica cessazione della partecipazione ai sodalizio criminoso- che la permanenza
del vincolo associativo sia cessata per effetto del sopravvenuto stato detentivo
(iniziato, peraltro, il 6 aprile 2012 e quindi in data successiva all’emissione della prima
ordinanza custodiale del 3 aprile 2012) osservando che l’appellante era “storicamente

città di Foggia” (quanto meno dal 17 aprile 2009, dovendosi prendere atto della non
definitività della sentenza di condanna per il reato associativo riguardante il periodo
precedente), che mancava un manifesto recesso e che non risultavano elementi da cui
desumere uno stabile allontanamento dal gruppo per effetto della detenzione
intervenuta, discontinuamente e per periodi non lunghi, “dopo anni di appartenenza e
quindi di consolidata militanza”, che la condizione detentiva per altri coindagati non
era risultata ostativa al perdurante interessamento alle vicende del sodalizio. Quanto
alla sostituzione della misura custodiale applicata in relazione ai fatti estorsivi
contestati con l’ordinanza eseguita il 6 aprile 2012 con la meno afflittiva misura degli
arresti domiciliari, il riferimento nell’ordinanza del 13 giugno 2013 alla cessazione
dell’intraneità mafiosa accertata “in altra sede a carico del Gatta” alla data del 17
aprile 2009, “stando alla contestazione”, costituisce una mera constatazione basata
sulla ricognizione della situazione processuale dell’imputato all’epoca conosciuta dal
giudice e non un positivo accertamento di fatto.

6. Al rigetto del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali.
A norma dell’art. 94 co. 1 ter disp. att. c.p.p., copia del presente provvedimento
va trasmesso al Direttore dell’istituto penitenziario in cui il ricorrente è ristretto.

contiguo ad una delle famiglie a capo di una delle batterie storicamente presenti nella

P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Si provveda a norma dell’art.94 comma 1 ter disp. att. c.p.p..
Roma 17 aprile 2014

il cons. est.

DEPOSITATO IN CANCELLERIA

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