Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28486 del 24/06/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 28486 Anno 2014
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: GALLO DOMENICO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da
D’Ecclesiis Giuno, nato a Napoli il 13/9/1954
avverso la sentenza 23/5/2013 della Corte d’appello di Napoli, I sezione
penale;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Domenico Gallo;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale,
Massimo Galli, che ha concluso per l’annullamento con rinvio limitatamente
al giudizio comparativo delle circostanze ed al diniego di sostituzione della
pena detentiva con la pena pecuniaria;
udito per l’imputato, l’avv. Sinnon Pietro Ciotti in sostituzione dell’avv.
Domenico Ciruzzi, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso ed
eccepisce la prescrizione;

RITENUTO IN FATTO

1.

Con sentenza in data 23/5/2013, la Corte di appello di Napoli, in

parziale riforma della sentenza del Tribunale di Napoli, in data 9/2/2009,

1

Data Udienza: 24/06/2014

riduceva la pena inflitta a D’Ecclesiis Giuno, per i reati di falso in certificati e
tentata truffa, ridetermindola in mesi due di reclusione ed €. 100,00 di
multa e disponendo la non menzione.

3.

Avverso tale sentenza propone ricorso l’imputato per mezzo del suo

difensore di fiducia, sollevando quattro motivi di gravame con i quali
deduce:
Violazione del divieto di

reformatio in peius,

avendo la Corte

applicato le generiche con criterio di equivalenza, mentre il primo giudice le
aveva ritenute prevalenti;
3.2

Contraddittorietà della motivazione in relazione al rigetto della

richiesta di conversione della pena detentiva in pena pecuniaria;
3.3

Violazione di legge in relazione agli artt. 56 640 e 477-482 cod. pen

3.4

Vizio della motivazione in relazione ai reati di cui sopra.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.

Il ricorso è inammissibile.

2.

Per quanto riguarda il primo motivo di ricorso con cui l’imputato si

duole di violazione del divieto di “reformatio in peius” della sentenza
impugnata, la censura è inammissibile per carenza d’interesse. E’ vero che
nel caso di specie, la Corte, attraverso un’erronea lettura della sentenza di
primo grado ha reputato di confermare il giudizio di equivalenza fra le
generiche ed aggravante del capo b), sebbene il primo giudice le avesse
calcolate come prevalenti, ma a tale errore è stata indotta dall’appellante
che ha chiesto di dichiarare prevalenti le generiche. Osserva infatti la Corte:
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