Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28483 del 24/06/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 28483 Anno 2014
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: GALLO DOMENICO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da
Failla Vito, nato a Carini il 27/2/1966
Di Maria Giuseppe, nato a Palermo il 1/3/1954
avverso la sentenza 2/5/2013 della Corte d’appello di Palermo, IV sezione
penale;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Domenico Gallo;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale,
Massimo Galli, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso di Failla ed il
rigetto del ricorso di Di Maria;
udito per le parti civili Associazione industriali Provincia di Palermo, per il
Consorzio ASI Provincia di Palermo e per il Centro studi Pio La Torre, l’avv.
Ettore Barcellona;
udito per Di Maria Giuseppe, l’avv. Marco Clementi, che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

I

Data Udienza: 24/06/2014

1.

Con sentenza in data 2/5/2013, la Corte di appello di Palermo, in

parziale riforma della sentenza del Gup presso il Tribunale di Palermo, in
data 26/3/2012, assolveva Lo Duca Giacomo dall’imputazione ascrittagli per
non aver commesso il fatto e diversamente qualificato il fatto di cui al capo
2), limitatamente alla condotta di utilizzazione di mezzi pesanti riconducibili
alla famiglia di Carini, ai sensi degli artt. 610 cod. pen. e 7 L. 203/91,
nonché quello di cui al capo 3), ai sensi dell’art. 371 bis cod. pen., riduceva

multa; confermava la pena di mesi 9 di reclusione inflitta dal primo giudice a
Di Maria Giuseppe.

2.

Failla Vito era stato tratto a giudizio per rispondere del delitto di

tentata estorsione aggravata e continuata in concorso con Passalacqua
Calogero e Lo Duca Giacomo (capo 1), nonché di estorsione aggravata e
continuata in concorso con Lo Duca Giacomo (capo2) in danno
dell’imprenditore Di Maria Giuseppe, a sua volta tratto a giudizio per
favoreggiamento (capo 3).

2.

All’esito di giudizio abbreviato, il Gup aveva assolto Failla, Lo Duce e

Passalacqua per il reato di cui al capo 1) perchè il fatto non sussiste; aveva
dichiarato Failla e Lo Duca colpevoli del reato di cui al capo 2), nonché Di
Maria del reato di cui al capo 3), condannandoli alle pene di giustizia.

3.

La Corte territoriale assolveva Lo Duca e riqualificava come violenza

privata, anziché estorsione, un segmento della condotta contestata a Fata
Vito nell’ambito dell’imputazione di cui al capo 2) e per l’effetto riduceva la
pena; riqualificava come false informazioni al Pubblico Ministero, il fatto
contestato a Di Maria Giuseppe come favoreggiamento, confermando la
pena a quest’ultimo irrogata dal primo giudice.

3.

Avverso tale sentenza propongono ricorso entrambi gli imputati per

mezzo dei rispettivi difensori di fiducia.
4.

Failla Vito sollevando tre motivi di gravame.

4.1

Con il primo motivo deduce violazione di legge, travisamento del

fatto, contraddittorietà ed illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta
sussistenza del reato e della colpevolezza del ricorrente.

2

la pena inflitta a Failla Vito ad anni 4, mesi 8 di reclusione ed €.600,00 di

Al riguardo eccepisce che, essendo stata esclusa l’appartenenza del Failla
all’associazione criminosa, non sarebbe configurabile l’estorsione poiché la
condotta minacciosa contestata consisteva nell’appartenenza alla
consorteria denominata Cosa Nostra e nell’utilizzazione della forza di
intimidazione di cui questa è capace e si duole di motivazione
contraddittoria ed apparente sul punto.
Si duole, inoltre, di ingiustificata emarginazione valutativa di dati probatori

all’interpretazione di alcune conversazioni di Giuseppe Celeste, captate in
data 22/12/09, contestando le conclusioni della Corte territoriale secondo
cui il Celeste avrebbe ricevuto dal Failla soltanto C.100, provenienti dalla
somma di C.1.500 che l’imprenditore Di Maria aveva versato al prevenuto.
4.2

Con il secondo motivo si duole di violazione di legge in ordine

alla ritenuta legittimità delle dichiarazioni rese da Grigoli Vincenza in data
25/1/2011 alla polizia giudiziaria.
4.3

Con il terzo motivo si duole della ritenuta sussistenza

dell’aggravante speciale di cui all’art. 7 L. 203/91.
4.4

Successivamente Failla Vito ha fatto pervenire la propria rinuncia

al ricorso con dichiarazione in data 4 gennaio 2014.
5.

Di Maria Giuseppe solleva due motivi di ricorso con i quali deduce:

5.1

Difetto di motivazione in ordine all’elemento soggettivo del reato di

cui all’art. 371 bis cod. pen. Al riguardo eccepisce che nel corso delle
indagini preliminari il Di Maria era stato assunto a verbale in data
26/1/2011 con le modalità di cui all’art. 210 cod. proc. pen., quale persona
indagata di reato connesso, essendo lo stesso sottoposto ad indagini per il
delitto di cui all’art. 416 bis cod. pen. Date le modalità dell’assunzione
dell’interrogatorio, il prevenuto non aveva alcun obbligo di dire la verità ed
il fatto che avesse omesso di riferire circostanze utili alle indagini costituiva
espressione del suo diritto di difesa.
5.2

Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla mancata

applicazione dell’esimente di cui all’art. 384, I comma, cod. pen. dolendosi
che i giudici del merito abbiano sottovalutato la pericolosità del sodalizio
criminale denominato Cosa Nostra.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3

favorevoli all’imputato e di travisamento della prova, con riferimento

1.

A seguito dell’intervenuta dichiarazione di rinuncia il ricorso di Failla

Vito è divenuto inammissibile, ai sensi dell’art. 591, comma 1, lett. d).

2.

Per quanto riguarda il ricorso di Di Maria Giuseppe, il primo motivo è

infondato in quanto, come già rilevato dai giudici del merito, dal verbale
d’interrogatorio del 26/1/2011 risulta che al Di Maria sono stati ritualmente

rispondere alle domande, assumendo – di conseguenza – i doveri del
testimone. Deve escludersi, pertanto, che le false informazioni fornite al
Pubblico Ministero potessero rientrare nell’esercizio del proprio diritto di
difesa, dal momento che il prevenuto ben avrebbe potuto avvalersi del
diritto al silenzio. Invece egli si presentò spontaneamente dinanzi ai
rappresentanti della D.D.A. di Palermo per fornire chiarimenti in ordine a
notizia di stampa concernenti l’arresto di alcuni soggetti di Carini. Da tale
condotta emerge chiaramente l’intenzione di aiutare Failla Vito e Lo Duca
Giacomo, che nel frattempo erano stati tratti in arresto, ad eludere le
investigazioni delle autorità, fornendo informazioni false e reticenti al
Pubblico Ministero. Non può dubitarsi, pertanto, della sussistenza
dell’elemento soggettivo in testa all’agente e dell’inapplicabilità al caso di
specie della scriminante di cui all’art. 384, comma 2, cod. proc. pen.

3.

Per quanto riguarda il secondo motivo, relativo all’applicabilità della

scriminante speciale di cui al 10 comma dell’art. 384 cod. pen., la censura è
infondata in quanto, secondo l’insegnamento di questa Corte, in tema di
falsa testimonianza, la causa di esclusione della punibilità dello stato di
necessità non opera nell’ipotesi in cui il testimone abbia deposto il falso, pur
essendo stato avvertito della facoltà di astenersi e avendovi rinunciato
(Cass. Sez. 6, Sentenza n. 42818 del 14/05/2013 Ud. (dep. 18/10/2013 )
Rv. 257147). Del resto, quanto al merito dell’eccezione, l’esistenza di un
grave pericolo, idoneo a costringere l’agente ad un comportamento
antigiuridico, è una mera questione di fatto. Lo stato di necessità non può
essere presunto, ma deve essere rigorosamente provato da chi lo invoca.
Nel caso di specie la Corte territoriale ha preso in esame la relativa
doglianza dell’appellante e l’ha esclusa con motivazione priva di vizi logico
giuridici, né il ricorrente è stato in grado di indicare elementi specifici di
rischio non presi in considerazione dal giudice dell’appello.

4

rivolti gli avvisi previsti dall’art. 64 cod. proc. pen. e che egli ha inteso

4.

Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che

rigetta il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al
pagamento delle spese del procedimento, nonché in caso di inammissibilità,
la parte che lo ha proposto deve essere condannata – al pagamento a
favore della Cassa delle ammende di una somma che, alla luce del dictum
della Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000, si stima equo

5.

Il Failla deve essere condannato, inoltre, alla rifusione delle spese in

favore delle parti civili Associazione industriali Provincia di Palermo,l
Consorzio ASI Provincia di Palermo e Centro studi Pio La Torre, che si
liquidano in complessivi €.3.000,00, oltre accessori come per legge. Tale
liquidazione ridotta tiene conto del fatto che il Failla ha rinunciato al ricorso.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso di Failla Vito che condanna al pagamento
delle spese processuali e della somma di €.500,00 alla Cassa della
ammende, nonché alla rifusione delle spese processuali sostenute in questo
grado dalle costituite parti civili che liquida in complessivi €.3.000,00, oltre
accessori come per legge, in favore del difensore avv. Ettore Barcellona,
dichiaratosi antistatario.
Rigetta il ricorso di Di Maria Giuseppe che condanna al pagamento delle
spese processuali.
Così deciso, il 24 giugno 2014

determinare in euro 500,00 (cinquecento/00).

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