Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28474 del 10/04/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 28474 Anno 2014
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: VERGA GIOVANNA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
REITANO FRANCESCO N. IL 26/05/1979
REITANO ROSARIO N. IL 22/07/1949
avverso la sentenza n. 844/2006 CORTE APPELLO di CATANIA, del
30/11/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 10/04/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIOVANNA VERGA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Fo.olonort)
che ha concluso per
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Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

• G-C4t..

Data Udienza: 10/04/2014

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con sentenza in data 30.11.2012 la corte d’appello di Catania in parziale riforma della
sentenza emessa dal locale Tribunale in data 4 ottobre 2005 riduceva la pena a Reitano
Francesco e a Reitano Rosario condannati in concorso per ricettazione.
Ricorrono per cassazione,a mezzo del loro difensore, gli imputati deducendo che la sentenza
impugnata è incorsa in:
1. violazione di legge e vizio della motivazione con riguardo alla sussistenza del reato di

illecita dei beni acquistati o comunque ricevuti;
2. vizio di motivazione per travisamento delle prove in ordine alla responsabilità di
entrambi gli imputati;
3. violazione di legge vizio della motivazione in ordine alla omessa applicazione
dell’articolo 712 codice penale

Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, giacché i motivi in esso dedotti sono
manifestamente infondati e ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal
giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare, per di più, non specifici. La mancanza di
specificità del motivo, invero, dev’essere apprezzata non solo per la sua genericità, come
indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla
decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo
ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità,
conducente a mente dell’art. 591 cod. proc. pen., comma primo, lett. c), all’inammissibilità.
Sono manifestamente insussistenti, del resto, i vizi di motivazione pur genericamente
denunciati, perché la Corte territoriale ha compiutamente esaminato le doglianze difensive ed
ha dato conto del proprio convincimento sulla base di tutti gli elementi a sua disposizione,
esaurientemente argomentando circa la pronuncia di responsabilità.
Nell’esame operato dai giudici del merito le acquisizioni probatorie risultano interpretate nel
pieno rispetto dei canoni legali di valutazione e risultano applicate con esattezza le regole della

ricettazione per mancanza della prova dell’elemento materiale, ossia della provenienza

logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la conferma delle conclusioni
di colpevolezza. Come correttamente affermato dai giudici di merito l’affermazione della
responsabilità per il delitto di ricettazione non richiede l’accertamento giudiziale della
commissione del delitto presupposto, nè dei suoi autori, nè dell’esatta tipologia del reato,
potendo il giudice affermarne l’esistenza attraverso prove logiche, come avvenuto nel caso di
specie.
La Corte di appello ha chiarito le ragioni che giustificano la condanna dei ricorrenti in ordine al
delitto di ricettazione a loro attribuito.
In via di principio si rammenta che le SU di questa Corte con sentenza n. 12433/2010 hanno
affermato che :”premesso che la ricettazione può essere sorretta anche da un dolo eventuale
1

,/

resta da stabilire come debba avvenire il suo accertamento e quali debbano essere le sue
caratteristiche, posto che lo stesso non può desumersi da semplici motivi di sospetto e non può
consistere in un mero sospetto, se è vero che questo non è incompatibile con l’incauto
acquisto(art. 712 c.p )

Occorrono per la ricettazione circostanze più consistenti di

quelle che danno semplicemente motivo di sospettare che la cosa provenga da delitto, sicché
un ragionevole convincimento che l’agente ha consapevolmente accettato il rischio della
provenienza delittuosa può trarsi solo dalla presenza di dati di fatto inequivoci, che rendano
palese la concreta possibilità di una tale provenienza. In termini soggettivi ciò vuol dire che il

il livello della certezza, si colloca su un gradino immediatamente più alto di quello del mero
sospetto, configurandosi in termini di rappresentazione da parte dell’agente della concreta
possibilità della provenienza della cosa da delitto. Insomma perché possa ravvisarsi il dolo
eventuale si richiede più di un semplice motivo di sospetto, rispetto al quale l’agente potrebbe
avere un atteggiamento psicologico di disattenzione, di noncuranza o di mero disinteresse; è
necessaria una situazione fattuale di significato inequivoco, che impone all’agente una scelta
consapevole tra l’agire, accettando l’eventualità di commettere una ricettazione…”
Ciò premesso, occorre osservare che la Corte di appello ha individuato specifici elementi di
fatto, non censurabili in questa sede, dai quali ha tratto il ragionevole convincimento che gli
imputati avevano consapevolezza della provenienza delittuosa del bene.
I ricorrenti attraverso la reiterazione di motivi d’appello tendono unicamente a prospettare
una diversa ed alternativa lettura dei fatti di causa, che non può trovare ingresso in questa
sede di legittimità a fronte di una sentenza, come quella impugnata che appare congruamente
e coerentemente motivata proprio in punto di qualificazione del fatto e responsabilità dei
prevenuti
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna dei ricorrenti al pagamento delle
spese processuali e ciascuno della somma di C 1000,00 da versare alla Cassa delle Ammende.
Il reato non è prescritto perché nel caso di specie trova applicazione la disciplina ante Novella
(anni 15). Le Sezioni Unite di questa Corte hanno stabilito, con sentenza n. 47008/2010, che,
ai fini dell’applicazione della disciplina transitoria ex art. 10 L. n. 251 del 5 dicembre 2005,
disposizione ostativa all’applicazione delle norme più favorevoli in tema di prescrizione, il
processo deve considerarsi pendente in grado d’appello subito dopo la pronuncia della
sentenza di condanna di primo grado . Nel caso in esame la sentenza di primo grado è stata
pronunciata il 4.10.2005 e quindi il processo deve ritenersi pendente in appello in data
anteriore all’entrata in vigore dei nuovi e più favorevoli termini di prescrizione.

P.Q.M.
2

il

dolo eventuale nella ricettazione richiede un atteggiamento psicologico che, pur non attingendo

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, e
ciascuno al versamento della somma di 1.000,00 euro in favore della Cassa delle ammende

Così deliberato in Roma il 10.4.2014

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