Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28472 del 23/04/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 28472 Anno 2013
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: LOCATELLI GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ZAVETTIERI ANNUNZIATO N. IL 20/12/1970
avverso l’ordinanza n. 2/2011 CORTE APPELLO di REGGIO
CALABRIA, del 08/05/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIUSEPPE
LOCATELLI;
lette/sertfite_le conclusioni del PG Dott.

RA-43

Uditi difensor Avv.;

(v1

Data Udienza: 23/04/2013

t

RITENUTO IN FATTO
Zavettieri Annunziato proponeva incidente di esecuzione avverso il
provvedimento di cumulo pene concorrenti emesso il 6.12.2010 dal
Procuratore generale della Repubblica di Reggio Calabria con
determinazione del fine pena al 14.9.2030.
Con ordinanza del 8.5.2012 la Corte di appello di Reggio Calabria, in
funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava l’incidente di esecuzione.

deducendo che essa è illegittima ed immotivata per le seguenti ragioni:1)
l’inserimento nel nuovo provvedimento di cumulo della sentenza di
condanna n.3 del 18.1.2007 (processo “Sisma”), alla pena di anni 1 di
reclusione, non avrebbe dovuto determinare alcuna conseguenza
sfavorevole poiché sulla predetta pena era stato applicato l’indulto ai
sensi della legge n.241 del 2006; 2) in relazione alla sentenza 4.5.2004
della Corte di appello di Reggio Calabria ( processo “Armonia”) indicata
al punto 4 del provvedimento di cumulo, non è stato computato il
presofferto e la relativa liberazione anticipata, e sul punto l’ordinanza
impugnata è carente di motivazione; 3) erronea indicazione della data di
cessazione della permanenza del reato associativo di cui alla sentenza
“Armonia” 4.5.2004 della Corte di appello di Reggio Calabria indicata al
n.4 del provvedimento di cumulo: nell’ordinanza impugnata si afferma
che il reato associativo sia cessato con la pronuncia della sentenza di
primo grado, omettendo di esaminare la motivazione della sentenza di
appello dalla quale risulta che essa ha avuto ad oggetto solo l’attività
della cosca nel 1998; il giudice dell’esecuzione avrebbe dovuto utilizzare
quale criterio di individuazione della cessazione della permanenza del
reato associativo la coercizione diretta del sodale avvenuta con
l’ordinanza custodiale del 18.3.2000, mentre ha preteso una prova da
parte del ricorrente circa la mancata protrazione della condotta illecita
dopo la detenzione; 4) erronea indicazione nella sentenza, indicata al n.2
del provvedimento di cumulo, della sussistenza della circostanza
aggravante prevista dall’art.7 legge n.203 del 1991.
Successivamente il difensore depositava “memoria di replica e motivi
nuovi”, contenente controdeduzioni alla requisitoria del Procuratore
generale; in data odierna depositava “brevi note d’udienza”.

Il difensore propone ricorso per cassazione avverso l’ordinanza

•7.7,

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è parzialmente fondato nei termini di seguito indicati.
1. La Corte di appello di Reggio Calabria ha espressamente
esaminato la censura dell’imputato secondo cui l’aggiunta, al precedente
provvedimento di cumulo del Procuratore generale di Messina, della
sentenza di condanna indicata al punto 3 del nuovo provvedimento di
cumulo del Procuratore generale di Reggio Calabria, non avrebbe dovuto
produrre effetti sfavorevoli, trattandosi di pena alla quale era stato
applicato il beneficio dell’indulto. La contraria conclusione del giudice
dell’esecuzione è conforme alla costante giurisprudenza di questa Corte
secondo cui la previsione di cui all’art. 174 comma 2 cod. pen., circa
l’applicabilità del beneficio una sola volta sul cumulo materiale delle pene,
comporta che da esso il giudice dell’esecuzione deve prima detrarre in
un’unica soluzione la diminuzione per l’indulto, e soltanto
successivamente può applicare il criterio moderatore di cui all’art. 178
cod. pen. (Sez. F, n. 32955 del 29/07/2008, Marra, Rv. 240610). Tale
regola è stata osservata nel provvedimento di cumulo pene concorrenti
oggetto di incidente di esecuzione, in cui la detrazione della pena estinta
per indulto è avvenuta sul cumulo materiale delle pene pari ad anni 38 e
mesi 2 di reclusione.
2.Con riguardo al motivo di ricorso relativo al mancato computo del
presofferto e della liberazione anticipata, la Corte di appello di Reggio
Calbria ha osservato che il provvedimento di cumulo ha operato la
detrazione del presofferto per anni 3 di reclusione ( dal 22.4.1999 al
22.4.2002) sul cumulo materiale delle pene risultanti dalle sentenze
indicati ai n.1,2 e 3, previa riduzione ad anni 30 di reclusione in
applicazione del criterio moderatore previsto dall’art.78 cod.pen.; ha
inoltre operato la detrazione per la corrispondente liberazione anticipata
per giorni 270, nonché di giorni 275 di liberazione anticipata concessi
per la carcerazione successiva al 22.4.2002 ed ulteriori giorni 45 di
liberazione anticipata concessi dal Magistrato di sorveglianza di Santa
Maria Capua Vetere. Le considerazioni contenute nell’ordinanza
impugnata sono aderenti ai dati risultanti dal provvedimento di cumulo.
3. In riferimento al presofferto subito in relazione alla sentenza di
condanna per il delitto associativo indicato al n.4 del cumulo, la Corte di

2

appello ha ritenuto che il periodo decorrente dalla data di arresto del
18.3.2000 sino alla data di cessazione della permanenza per il delitto
associativo di cui alla sentenza n.2, individuato, in presenza di
contestazione “aperta”, nella data della pronuncia della sentenza di primo
grado del 22.4.2002, non potesse essere computato ostandovi il disposto
dell’art.657 comma 4 cod.proc.pen. che vieta di computare i periodi di
presofferto antecedenti alla data di commissione del reato per il quale

cessazione della permanenza, in relazione al delitto associativo di cui alla
condanna indicata al n.2, fosse effettivamente avvenuta alla data della
pronuncia della sentenza di primo grado (22.4.2002) perché “la
permanenza non è elisa dallo stato di detenzione, soprattutto quando il
detenuto è a capo della associazione in argomento” e perché “nessuna
prova in tal senso è stata fornita dalla difesa”.
I passaggi argomentativi con i quali il giudice dell’esecuzione ha
affermato la permanenza del delitto associativo sino alla data di
pronuncia della sentenza di primo grado non sono giuridicamente corretti.
Questa Corte ha affermato il principio che, in presenza di contestazione
effettuata nella forma cosiddetta “aperta” (ovvero senza indicazione della
data di cessazione della condotta illecita), qualora in sede esecutiva
debba farsi dipendere un qualsiasi effetto giuridico dalla data di
cessazione della permanenza, spetta al giudice dell’esecuzione verificare
in concreto se il giudice della cognizione abbia, o non abbia, ritenuto
provato il protrarsi della condotta criminosa fino alla data della sentenza
di primo grado (Sez. 1, n. 33053 del 12/07/2011, Caliendo, Rv. 250828).
Secondo tale principio il compito spettante al giudice dell’esecuzione è di
tipo meramente ricognitivo ed esegetico, dovendo egli verificare, in base
alla motivazione delle sentenze di merito, quale sia il termine di
cessazione della condotta associativa individuata dal giudice della
cognizione, essendo viceversa precluso al giudice dell’esecuzione
sostituire la propria valutazione a quella espressa dal competente giudice
del merito, e non sussistendo in tale materia un onere probatorio a carico
del condannato.
Pertanto l’ordinanza impugnata deve essere annullata sul punto, con
rinvio per nuovo esame al giudice dell’esecuzione affinché, in base al

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deve essere determinata la pena da eseguire. Quindi ha ritenuto che la

contenuto delle sentenze emesse dal giudice della cognizione, verifichi
quale sia il momento di cessazione della permanenza del delitto
associativo individuato da esso giudice della cognizione, fermo restando
che il periodo di presofferto in questione (dal 18.3.2000 al al 22.4.2002)
deve essere computato una sola volta nell’ambito del provvedimento di
cumulo del Procuratore generale di Reggio Calabria.
4.Con riguardo alle circostanze aggravanti menzionate nella sentenza

correttamente osservato che la concessione di attenuanti generiche
ritenute equivalenti alle contestate aggravanti di cui al capo A (art.416
bis) non equivale alla loro esclusione; con riguardo alla circostanza
aggravante prevista dall’art.7 legge n.203 del 1991, ogni questione
relativa alla sussistenza di essa è preclusa dalla irrevocabilità della
pronuncia del giudice della cognizione che non l’ha espressamente
esclusa; peraltro la esatta indicazione del titolo giuridico delle sentenze di
condanna inserite nel provvedimento di cumulo è ininfluente rispetto al
fine di sommare le pene concorrenti alle quali è preordinato il
provvedimento adottato dal pubblico ministero ai sensi dell’art.663
cod.proc.pen.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame alla Corte
di appello di Reggio Calabria.
Così deciso in Roma il 23.4.2013.

indicata al punto 2 del provvedimento di cumulo, la Corte di appello ha

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