Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28471 del 22/04/2016


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 28471 Anno 2016
Presidente: GRILLO RENATO
Relatore: LIBERATI GIOVANNI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
RENATO GRILLO
Dott.
LUCA RAMACCI
Dott.
ALDO ACETO
Dott.
GIOVANNI LIBERATI
Dott.
Dott. ANTONELLA DI STASI

N.

9-62
REGISTRO GENERALE
Consigliere – N. 51385/2015

– Presidente –

– Consigliere – Rel. Consigliere – Consigliere –

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
ARBIETO VALENCIA MARCO ANTONIO N. IL 30/06/1975
avverso la sentenza n. 9417/2015 TRIBUNALE di MILANO, del
18/09/2015
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIOVANNI LIBERATI;

Data Udienza: 22/04/2016

RITENUTO IN FATTO
Con sentenza pronunciata ex art. 444 cod. proc. pen., il Tribunale di Milano ha
applicato ad Arbieto Valencia Marco Antonio la pena dallo stesso richiesta per i reati di cui
agli artt. 110 cod. pen. e 73 d.P.R. 309/90 (per aver detenuto a fini di spaccio grammi
990,00 di sostanza stupefacente del tipo cocaina).
Avverso la sentenza, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, tramite il suo
difensore, chiedendone l’annullamento, lamentando vizio della motivazione in ordine alla

insussistenza di cause di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen., per avere il
Tribunale omesso di considerare quanto dichiarato dal coimputato Portillo Utani Juan
Carlos circa l’estraneità del ricorrente ai fatti (mancando, tra l’altro, nel fascicolo del
Pubblico Ministero una pagina dell’interrogatorio del coimputato) ed anche di motivare
circa il contributo causale del ricorrente ai fatti.
Il ricorrente ha anche depositato memoria, in data 12 aprile 2016, ribadendo la
specificità dei motivi posti a sostegno della sua impugnazione, evidenziando di aver
indicato le norme violate dalla sentenza impugnata, i vizi della relativa motivazione e, in
particolare, l’omesso esame delle dichiarazioni rese il 3 aprile 2015 dal coimputato
Portili° Utani Juan Carlos.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Il ricorrente si limita, infatti, a lamentare che il giudice non avrebbe fornito
sufficiente motivazione circa gli elementi della sua responsabilità, omettendo di
esaminare le dichiarazioni scagionanti del coimputato Portillo Utani, e l’insussistenza di
cause di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen.
Deve, peraltro, richiamarsi il costante orientamento di questa Corte, secondo cui
l’obbligo della motivazione, imposto al giudice dagli artt. 111 Cost. e 125, comma 3, cod.
proc. pen. per tutte le sentenze, non può non essere conformato alla particolare natura
giuridica della sentenza di patteggiamento, rispetto alla quale, pur non potendo ridursi il
compito del giudice a una funzione di semplice presa d’atto del patto concluso tra le
parti, lo sviluppo delle linee argomentative della decisione è necessariamente correlato
all’esistenza dell’atto negoziale con cui l’imputato dispensa l’accusa dall’onere di provare i
fatti dedotti nell’imputazione. Ne consegue che il giudizio negativo circa la ricorrenza di
una delle ipotesi di cui all’art. 129 cod. proc. pen. deve essere accompagnato da una
specifica motivazione soltanto nel caso in cui dagli atti o dalle deduzioni delle parti
emergano concreti elementi circa la possibile applicazione di cause di non punibilità,
dovendo, invece, ritenersi sufficiente, in caso contrario, una motivazione consistente
nell’enunciazione – anche implicita – che è stata compiuta la verifica richiesta dalle leggi
e che non ricorrono le condizioni per la pronuncia di proscioglimento ex art. 129 cod.
1
4

proc. pen. (ex plurimis, Sez. 3, 29 maggio 2012, n. 36610; Sez. 3, 22 settembre 1997,
n. 2932; Sez. un. 27 settembre 1995, n. 10372; Sez. un., 27 marzo 1992, n. 5777).
Tale orientamento trova applicazione anche nel caso di specie, in cui la
motivazione della sentenza circa l’insussistenza di cause di proscioglimento ex art. 129
cod. proc. pen., appare, in ogni caso, sufficiente, perché richiama gli atti di indagine e, in
particolare, i verbale di ispezione, perquisizione e sequestro ed il verbale d’arresto, in tal
modo dando atto, sia pure implicitamente, ma con motivazione sufficiente alla stregua
dei principi ricordati, di aver esaminato gli atti di indagine, comprese le dichiarazioni del

possa trarsi una causa di proscioglimento.
Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile.
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e
rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia
proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma
dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del
versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata
in € 2.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di € 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 22 aprile 2016
Il Consigliere estensore

coimputato, escludendo che da essi (dunque anche dalle dichiarazioni del coimputato)

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