Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28470 del 22/04/2016


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 28470 Anno 2016
Presidente: GRILLO RENATO
Relatore: DI STASI ANTONELLA

Dott. LUCA RAMACCI
Dott. ALDO ACETO
Dott. GIOVANNI LIBERATI
Dott. ANTONELLA DI STASI

– Consigliere – Consigliere – Consigliere – Rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
XHIXHA PLLUMB N. IL 03/08/1984
UZUNI ADRIAN N. IL 20/08/1966
avverso la sentenza n. 6812/2015 GIUDICE UDIENZA
PRELIMINARE di TORNO, del 04/11/2015
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONELLA DI
STASI;

REGISTRO GENERALE
N. 51365/2015

Data Udienza: 22/04/2016

RITENUTO IN FATTO
1. – Con sentenza pronunciata ex art. 444 cod. proc. pen., il Tribunale di
Torino ha applicato agli imputati la pena dagli stessi richiesta, per il reato di cui
agli artt. 110 cod. pen .e 73, commi 1 d.P.R. 309/1990, per illecita detenzione a
fini di spaccio di sostanza stupefacente del tipo cocaina e di cui all’art. 455 co.
pen. per detenzione di banconote contraffatte.
2. – Avverso la sentenza, gli imputati hanno proposto ricorso per cassazione,
per il tramite del rispettivo difensore di fiducia, chiedendone l’annullamento e

dei fatti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono inammissibili perché affidati a motivo manifestamente
infondato.
2. Il Giudice, nell’applicare la pena concordata, si è da un lato adeguato a
quanto contenuto nell’accordo tra le parti, e dall’altro ha escluso che ricorressero
i presupposti dell’articolo 129 cod.proc.pen. Tale motivazione, avuto riguardo alla
speciale natura dell’accertamento in sede di applicazione della pena su richiesta
delle parti, appare pienamente adeguata ai parametri richiesti per tale genere di
decisioni, secondo la costante giurisprudenza di legittimità (v., tra le altre, SU. 27
marzo 1992, Di Benedetto; S.U. 27 settembre 1995, Serafino; S.U. 25 novembre
1998, Messina).
Si è ripetutamente affermato che, nel procedimento speciale disciplinato dagli
articoli 444 ss. c.p.p., l’applicazione della pena si fonda sull’accordo delle parti le
quali convengono sulla qualificazione giuridica del fatto, sull’applicazione e la
comparazione delle circostanze, sulla entità della pena, sulla eventuale
concessione della sospensione condizionale della stessa. L’istituto in esame trova,
dunque, il proprio fondamento primario nella convergente richiesta di pubblico
ministero e imputato sul merito dell’imputazione (responsabilità e pena
conseguente), dal momento che chi chiede la pena pattuita rinuncia ad avvalersi
della facoltà di contestare l’accusa. La concorde volontà delle parti è il presupposto
del contenuto della sentenza e diviene oggetto di determinazione da parte del
giudice, con la conseguenza che la sentenza che dispone l’applicazione della pena
su richiesta delle parti contiene un accertamento ed una affermazione impliciti
della responsabilità dell’imputato il quale non può certo prospettare con il ricorso
per cassazione censure che coinvolgono il patto dal medesimo accettato.
Va, inoltre, ricordato che, in tema di patteggiamento, la errata qualificazione
giuridica del fatto può essere fatta valere solo dinanzi ad un evidente error in
iudicando che “dissimuli un’illegale trattativa sul nomen iuris”, ma non in presenza
di una qualificazione che presenti oggettivi margini di opinabilità (tra le tante v.,
2

lamentando la carenza di motivazione circa la non corretta qualificazione giuridica

Sez. 4, 11 marzo 2010, n. 10692, P.G. in proc. Hernandez; Sez. 3, 23 ottobre
2007, n. 44278, P.G. in proc. Benha; Sez. 6, 20 novembre 2008, n. 45688, P.G.
in proc. Bastea; Sez. 6, 10 aprile 2003, n. 32004, P.G. in proc. Valetta, sez. 4^,
n. 10692 dell11.3.2010, Hemandez, rv. 246394; sez. 6^, n. 15009 del
27.11.2012 dep. il 2.4.2013, Bisignani, rv. 254865, Sez.3, n.34902
de124/06/2015, dep.17/08/2015, Rv.264153).
Nella specie, alla luce dei fatti integranti l’imputazione, la qualificazione degli
stessi non appariva ictu ocull frutto di errore manifesto.

conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato
che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia
proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a
norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché
quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende,
equitativamente fissata in C 2.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di C 2000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso in Roma,22.4.2016.

3. I ricorsi, conseguentemente, devono essere dichiarati inammissibili. Tenuto

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