Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28468 del 22/04/2016


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 28468 Anno 2016
Presidente: GRILLO RENATO
Relatore: LIBERATI GIOVANNI

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
MAZZITELLI GIUSEPPE N. IL 19/04/1980
MILANI MARCO N. IL 21/03/1983
avverso la sentenza n. 2133/2015 GIP TRIBUNALE di MILANO, del
20/10/2015
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIOVANNI LIBERATI;

Data Udienza: 22/04/2016

RITENUTO IN FATTO
Con sentenza pronunciata ex art. 444 cod. proc. pen., il Giudice per le indagini
preliminari del Tribunale di Milano ha applicato a Giuseppe Mazzitelli e Marco Milani la
pena da questi richiesta, per violazioni dell’art. 73, comma 1, d.P.R. 309/90 (per avere
detenuto a fine di spaccio chilogrammi 257 di sostanza stupefacente del tipo hashish,
pari a 2.327.940 dosi medie, il solo Mazzitelli, nonché chilogrammi 10,9 di sostanza
stupefacente del tipo marijuana, pari a 65.408 dosi medie, in concorso tra loro, e
chilogrammi 2,49 di sostanza stupefacente del tipo marijuana, pari a 13.954 dosi medie,

Avverso tale sentenza hanno proposto ricorsi congiunti entrambi gli imputati,
mediante i comuni difensori, lamentando violazione di legge in relazione al
riconoscimento della aggravante della ingente quantità nei confronti del Mazzitellí, non
essendo stato considerato il dato del principio attivo della sostanza stupefacente, pari a
grammi 111,08; hanno inoltre prospettato violazione di legge per la contestazione di più
reati, essendo i fatti stati commessi in un unico contesto di tempo e di spazio, giacché le
sostanze stupefacenti sequestrate erano state rinvenute nel corso della medesima
operazione di polizia, in parte in un camioncino ed in parte in un box; infine hanno
lamentato violazione di legge anche in relazione alla confisca dei beni sequestrati, di cui
non era stata accertata la provenienza da attività illecite.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Entrambi i ricorsi sono manifestamente infondati.
Per quanto riguarda il primo ed il secondo motivo di ricorso, mediante i quali è
stata prospettata violazione di legge in ordine al riconoscimento nei confronti del
Mazzitelli della aggravante della ingente quantità e circa la corretta qualificazione dei
fatti, dovendo gli stessi essere ricondotti ad un’unica condotta, con la conseguente
insussistenza dei presupposti per disporre gli aumenti per detta aggravante e per la
continuazione, deve anzitutto richiamarsi il costante orientamento di questa Corte,
secondo cui l’obbligo della motivazione, imposto al giudice dagli artt. 111 Cost. e 125,
comma 3, cod. proc. pen. per tutte le sentenze, non può non essere conformato alla

il solo Milani).

particolare natura giuridica della sentenza di patteggiamento, rispetto alla quale, pur non
potendo ridursi il compito del giudice a una funzione di semplice presa d’atto del patto
concluso tra le parti, lo sviluppo delle linee argomentative della decisione è
necessariamente correlato all’esistenza dell’atto negoziale con cui l’imputato dispensa
l’accusa dall’onere di provare i fatti dedotti nell’imputazione.
Tale orientamento trova applicazione anche nel caso di specie, in cui la
motivazione della sentenza circa la corretta qualificazione dei fatti e la sussistenza delle
aggravanti, appare, in ogni caso, sufficiente, perché richiama gli atti di indagine,
evidenziando la corretta qualificazione giuridica dei fatti.
1
CAÌ

Inoltre dalla lettura della imputazione emerge che il quantitativo di grammi
111,08 di principio attivo, a cui si fa riferimento nel ricorso per negare la ravvisabilità
della aggravante della ingente quantità, riguarda il campione di grammi 493,7 della
sostanza stupefacente sequestrata, e non l’intero quantitativo della stessa (pari a
chilogrammi 257): sulla base di tale analisi il quantitativo di principio attivo, sul totale
della sostanza sequestrata, dell’assai rilevante peso di chilogrammi 257, è stato ritenuto
tale da poterne ricavare 2.327.940 dosi medie singole, con la conseguente evidente
sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della aggravante della ingente quantità

Manifestamente infondato risulta anche il motivo di ricorso relativo alla errata
contestazione di più reati, essendo la pronuncia impugnata conforme al concordato di
pena perfezionato dalle parti e sottoposto al Tribunale, atteso che nel caso in cui sia
proposta, come nel caso in esame, richiesta concordata di applicazione della pena, con
riconoscimento del cumulo giuridico per effetto della continuazione tra i reati contestati, il
giudice, nell’accogliere la richiesta, non è tenuto a motivare le ragioni di fatto poste a
fondamento dell’unicità del disegno criminoso prospettato concordemente dalle parti e
circa la sussistenza di plurimi reati (cfr. Cass. sez. 5, 3/4/2007 il 20562). Una volta che
l’accordo tra le parti sia stato ratificato dal giudice con la sentenza di applicazione della
pena, non è consentito censurare il provvedimento per mancanza di motivazione o
violazione di legge su una pena concordata nella misura di fatto – poi – irrogata (Sez. 6,
n. 14563 del 02/12/2010, Manea, Rv. 250024; conf. Sez. 7, n. 23672 del 22/04/2015,
Hassni, Rv. 263796).
Manifestamente infondata, oltre che del tutto generica, in quanto completamente
svincolata dalla motivazione della sentenza impugnata, risulta anche la censura relativa
alla confisca, avendo il Tribunale spiegato logicamente ed esaurientemente le ragioni
della confisca del motociclo Honda e del furgone Fiat Fiorino (quest’ultimo utilizzato per il
trasporto della sostanza stupefacente ed il motociclo per scortare il furgone), del telefono
cellulare Blackberry (utilizzato per consentire ai correi di tenersi in contatto tra loro) e
della somma di euro 39.840,00 (ai sensi dell’art. 12 sexies I. 356/1992), con motivazione
adeguata che sfugge alle generiche censure di violazione di legge formulate dai ricorrenti.
I ricorsi, conseguentemente, devono essere dichiarati inammissibili.
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e
rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia
proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma
dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del
versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata
in € 2.000,00.

2

e la manifesta infondatezza della censura.

P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti singolarmente al pagamento
delle spese processuali e della somma di € 2.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 22 aprile 2016

Il Consigliere estensore

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