Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28462 del 23/04/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 28462 Anno 2013
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: BARBARISI MAURIZIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Chen Suju

n. Il 21 luglio 1979

avverso
la sentenza 11 gennaio 2012 — Corte di Appello di Bologna;
sentita la relazione svolta dal Consigliere dott. Maurizio Barbarisi;
udite le conclusioni del rappresentante del Pubblico Ministero, in persona del dr.

Francesco Mauro lacoviello, sostituto Procuratore Generale della Corte di Cessazione, che ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso con condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma alla
Cassa delle Ammende;

Data Udienza: 23/04/2013

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE – Prima Sezione penale

Svolgimento del processo
1. — Con sentenza deliberata in data 11 gennaio 2012, depositata in cancelleria
il 25 gennaio 2012, la Corte di Appello di Bologna, confermava la sentenza 14 giugno 2008 del Tribunale di Forlì che l’aveva dichiarato responsabile del reato di cui
all’art. 12 comma quinto D. L.vo 286/98 condannandola, in esito a giudizio abbreviato, alla pena di mesi otto di reclusione, oltre al pagamento delle spese proces-

1.1. — Secondo la ricostruzione del fatto operata nella sentenza gravata, i locali
Carabinieri, in occasione di un accesso presso un laboratorio di maglieria di cui
Chen Suju è titolare, accertavano che il cittadino extracomunitario Lin Zhensi era
intento a un macchinario in lavorazione; veniva altresì accertato che gli effetti personali del predetto si trovavano in uno stanzino attrezzato a dormitorio attiguo al
laboratorio.
1.2. — Il giudice di merito richiamava, onde pervenire alla formulazione del giudizio di responsabilità, il dato probatorio consistito dagli esiti delle indagini dei militi
procedenti oltre al fatto che non risultava rispondere al vero la versione fornita
dall’imputata che Un Zhensi era stato ospitato per una notte soltanto atteso che
egli si era rivelato esperto nell’utilizzo del macchinario cui era addetto, era stato
trovato in possesso di uno scontrino di acquisto risalente ad alcuni giorni precedenti
e che, nello stanzino dormitorio attiguo al laboratorio, erano rinvenuti i suoi effetti
personali. La valutazione complessiva degli elementi di prova acquisiti portava pertanto a concludere, secondo il giudice del merito, che l’imputata aveva instaurato
con il connazionale un rapporto di lavoro (di fatto) che le permetteva di sfruttarne
la condizione di clandestinità e degrado.
2. — Avverso il citato provvedimento, tramite il proprio difensore avv. Antonio
Glacomini, ha interposto tempestivo ricorso per cassazione Chen Suju chiedendone
l’annullamento per violazione di legge e vizi motivazionali.
In particolare, con l’unico motivo di doglianza, veniva chiesta l’assoluzione perché il fatto non sussiste o perché il fatto non costituisce reato al sensi dell’art. 530
comma primo cod. proc. pen., e, in subordine, ai sensi del comma secondo cod.
proc. pen., con conseguente annullamento della sentenza gravata senza rinvio; in
ulteriore subordine veniva richiesto di riconoscere la fattispecie contravvenzionale
di cui all’art. 22 comma dodicesimo D. Lvo 286/98, posto che non risultava essere

Pubblica udienza: 26 febbraio 2013 — Chen Suju RG: 39739/12, RU: 11;

suali del giudizio e di quelle relative alla custodia cautelare in carcere.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE – Prima Sezione penale

stato provato il reato contestato; peraltro, dalla lettura del capo di imputazione,
veniva rilevato che non vi era correlazione tra il reato contestato e la motivazione
della sentenza, dal momento che era stato ascritto alla prevenuta il non aver regolarIzzato la posizione lavorativa del clandestino sottraendosi al pagamento dei contributi ed oneri assistenziali e previdenziali, fatto diverso da quello ritenuto in sentenza di aver sfruttato le condizioni abltative del connazionale al fine di trarne pro-

Motivi della decisione
3. — Il ricorso è manifestamente infondato e deve essere dichiarato inammissibile con ogni dovuta conseguenza di legge.
Deve innanzitutto premettersi che, nella verifica della consistenza dei rilievi critici mossi dal ricorrente, la sentenza della Corte territoriale non può essere valutata
isolatamente ma deve essere esaminata In stretta ed essenziale correlazione con la
sentenza di primo grado, sviluppandosi entrambe secondo linee logiche e giuridiche
pienamente concordanti, di talché — sulla base di un consolidato indirizzo della giurisprudenza di questa Corte — deve ritenersi che la motivazione della prima si saldi
con quella della seconda fino a formare un solo complessivo corpo argomentativo e
un tutto unico e inscindibile (cfr. Cass., Sez. Un., 4 febbraio 1992, !Milan e altri e,
da ultimo, Sez. 1, 21 marzo 1997, Greco e altri; Sez. 1, 4 aprile 1997, Proietti e
altri).
3.1 — Ciò posto, si osserva che il capo di imputazione enuncia con chiarezza
parametri normativi del reato contestato ex art. 12 comma quinto D. L.vo 286/98.
Per giurisprudenza consolidata sul punto ciò che differenzia la fattispecie delittuosa
da quella contravvenzionaie di cui al citato decreto, all’art. 22 stesso decreto legislativo, è lo scopo di conseguire l’ingiusto profitto approfittando della condizione di
clandestinità degli stranieri, elemento psicologico che deve ritenersi integrato allorquando il soggetto clandestino (come nella caso di specie) lavori in nero, senza
contratto, dormendo negli stessi locali in condizioni fatiscenti e angusti, con condizioni igieniche precarie, tanto da potersi dedurre che queste condizioni disumane
potevano essere accettate dal clandestino solo perché non aveva alcuna forza contrattuale, quale conseguenza della propria condizione di irregolare (evenienza cristallizzata nel capo di imputazione nella frase ‘al fine di trarne profitto dalla condizione di illegalità’) per opporsi al proprio sfruttamento.

Pubblica udienza: 26 febbraio 2013 — Chen Suju

RG: 38739/12, RU: 11;

fitto.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE – Prima Sezione penale

Trattasi pertanto, quella recata nella sentenza gravata, di motivazione sufficiente a ritenere provato lo scopo di ingiusto profitto richiesto dalla giurisprudenza di
legittimità onde configurare il reato (Cass., Sez. 1, 9 dicembre 2009, n. 48826, rv.
245723, Wu; Sez. 1, 30 gennaio 2008 n. 6068, rv. 238922, Savarese; n. 4700 del
2000, rv. 217167; n. 46066 del 2003, rv. 226476; n. 46070 del 2003, rv. 226477).
3.2 — Il fatto che la contestazione faccia riferimento anche alla mancata regola-

nuta al pagamento dei contributi e oneri assistenziale e previdenziale, è circostanza
irrilevante in quanto trattasi di elementi ultronei, non necessari a integrare il reato
contestato e comunque individualizzanti altra fattispecie di reato.
Quanto alle altre e diverse dogilanze difensive va osservato che le stesse vedono su mere circostanze di fatto e tendono a suggerire una diversa e inammissibile
lettura interpretativa del contesto di prova. Il giudice ha letto gli indizi raccolti (presenza di uno scontrino di qualche giorno prima dell’accesso dei militi, presenza degli effetti personali dell’extracomunitario in uno stanzino, sua competenza a operare al macchinario cui era addetto, carenza di un contratto di lavoro) in modo unitario e logico, dando loro un significato argomentato e congruo e, sotto questo profilo, insindacabile in questa sede.
4. — Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue dl diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi indicativi dell’assenza di colpa (Corte Cost., sent. n. 186 del 2000), al versamento della somma di C 1.000,00 (mille) alla Cassa delle Ammende

per questi motivi
dichiara Inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma dl C 1.000,00 (mille) alla Cassa
delle Ammende.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, il 23 aprile 2013

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rizzazione della posizione lavorativa del connazionale essendosi sottratta la preve-

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