Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28460 del 22/04/2016


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 28460 Anno 2016
Presidente: GRILLO RENATO
Relatore: DI STASI ANTONELLA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
SANT’ANGELO LUCA UMBERTO N. IL 21/04/1992
avverso la sentenza n. 175/2015 CORTE APPELLO di BRESCIA, del
10/04/2015
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONELLA DI
STASI;

Data Udienza: 22/04/2016

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza pronunciata in data 10.4.2015, la Corte di appello di
Brescia, a seguito di appello proposto dai PG e dall’imputato, in parziale riforma
della sentenza del GUP del Tribunale di Bergamo emessa in data 3.7.2014 nei
confronti di Sant’Angelo Luca Umberto, dichiarato responsabile del reato di cui
all’art. 73 commi 1 e 4 dpr n. 309/1990 (per detenzione a fine di cessione a terzi
di sostanza stupefacente del tipo GBL per un peso complessivo di Kg 15 pari a
litri 12,5 corrispondenti a circa 25.000 dosi), rideterminava la pena inflitta in

2. Avverso la sentenza, l’imputato ha proposto personalmente ricorso per
cassazione e ne ha chiesto l’annullamento, lamentando vizio di violazione di
legge in ordine alla mancata restituzione del telefono cellulare sequestrato e
vizio motivazionale e vizio di violazione di legge in relazione al trattamento
sa nzionatorio.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Il primo motivo proposto è inammissibile ex art. 606, comma 3, cod.
proc. pen. , in quanto, come si rileva dalla stessa sentenza impugnata che
riporta specificamente i motivi di impugnazione (riduzione della pena tramite
riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche nella loro massima
estensione), non ha costituito oggetto dei motivi di appello avverso la sentenza
impugnata.
3. Il secondo motivo proposto è manifestamente infondato.
Secondo la costante giurisprudenza dì questa Corte, ai fini del trattamento
sanzionatorio, è sufficiente che il giudice di merito prenda in esame, tra gli
elementi indicati dall’art. 133 c.p., quello (o quelli) che ritiene prevalente e atto
a consigliare la determinazione della pena; e il relativo apprezzamento
discrezionale, laddove supportato da una motivazione idonea a far emergere in
misura sufficiente il pensiero dello stesso giudice circa l’adeguamento della pena
concreta alla gravità effettiva del reato e alla personalità del reo, non è
censurabile in sede di legittimità se congruamente motivato. Ciò vale, “a
fortiori”, anche per il giudice d’appello, il quale, pur non dovendo trascurare le
argomentazioni difensive dell’appellante, non è tenuto a un’analitica valutazione
di tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti, ma, in una
visione globale di ogni particolarità del caso, è sufficiente che dia l’indicazione dì
quelli ritenuti rilevanti e decisivi ai fini della concessione o del diniego,

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anni uno mesi sette e giorni venti di reclusione ed euro 4.000,00 di multa.

rimanendo implicitamente disattesi e superati tutti gli altri, pur in carenza di
stretta contestazione (Cassazione penale, sez. 4, 04 luglio 2006, n. 32290).
Del resto costituisce principio consolidato che la motivazione in ordine alla
determinazione della pena base ( ed alla diminuzione o agli aumenti operati per
le eventuali circostanze aggravanti o attenuanti) è necessaria solo quando la
pena inflitta sia di gran lunga superiore alla misura media edittale. Fuori di
questo caso anche l’uso di espressioni come “pena congrua”, “pena equa”,
“congrua riduzione”, “congruo aumento” o il richiamo alla gravita del reato o alla

abbia tenuto presente, sia pure globalmente, i criteri dettati dall’art. 133 c.p. per
il corretto esercizio del potere discrezionale conferitogli dalla norma in ordine al
“quantum” della pena.(Sez.2,n.36245 del 26/06/2009 Rv. 245596;

Sez.4,

n.21294 de/20/03/2013, Rv.256197).
Inoltre, costituisce principio consolidatosi che allorché il giudice, concessa
un’attenuante, diminuisca la pena in una misura prossima al massimo consentito
dalla legge, non ha l’obbligo di motivare espressamente le ragioni per le quali la
pena non è stata diminuita nella misura massima (Sez. 2, n. 1490 del
22/11/1995, dep.08/02/1996, Rv. 203731; Sez. 4, n. 48541 del 28/11/2013,
Rv. 258100).
Il ricorrente articola, dunque, motivo che contrasta con tale giurisprudenza
costante, le cui ragioni non tenta di confutare adducendo specifici motivi nuovi o
diversi per sostenere l’opposta tesi.
4. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile ai
sensi dell’articolo 606 comma 3 cod. proc. pen.
5. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte
costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per
ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella
determinazione

della

causa

di

inammissibilità»,

alla

declaratoria

dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen.,
l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma,
in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 1.500,00.
P.Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.500,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, 22.4.2016

capacità a delinquere dell’imputato sono sufficienti a far ritenere che il giudice

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