Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28448 del 22/04/2016


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 28448 Anno 2016
Presidente: GRILLO RENATO
Relatore: LIBERATI GIOVANNI

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
ELIA GIULIA N. IL 16/04/1980
DE MURO ANNA N. IL 31/12/1986
avverso la sentenza n. 12674/2015 TRIBUNALE di NAPOLI, del
08/10/2015
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIOVANNI LIBERATI;

Data Udienza: 22/04/2016

RITENUTO IN FATTO
Con sentenza pronunciata ex art. 444 cod. proc. pen., il Tribunale di Napoli ha
applicato a Giulia Elia ed Anna De Muro la pena dalle stesse richiesta, per il reato di cui
agli artt. 110 cod. pen. e 73, comma 5, d.P.R. 309/90 (perché, in concorso tra loro e con
una minore giudicata separatamente, illecitamente detenevano presso le abitazioni al fine
di cederla a terzi sostanza stupefacente del tipo cocaina).
Avverso la sentenza ha proposto ricorso la De Muro, mediante il suo difensore,
denunciando violazione dell’art. 129 cod. proc. pen., in quanto la sua presenza nella

occasionale.
Ha proposto autonomo ricorso anche Giulia Elia, lamentando anch’essa carenza di
motivazione circa l’insussistenza di cause di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Entrambi i ricorsi sono inammissibili.
Le ricorrenti si limitano, infatti, a lamentare, senza alcun concreto riferimento
critico alla motivazione della sentenza impugnata, che il giudice non avrebbe fornito
alcuna motivazione circa l’insussistenza di cause di proscioglimento ex art. 129 cod. proc.
pen.
Deve, peraltro, richiamarsi il costante orientamento di questa Corte, secondo cui
l’obbligo della motivazione, imposto al giudice dagli artt. 111 Cost. e 125, comma 3, cod.
proc. pen. per tutte le sentenze, non può non essere conformato alla particolare natura
giuridica della sentenza di patteggiamento, rispetto alla quale, pur non potendo ridursi il
compito del giudice a una funzione di semplice presa d’atto del patto concluso tra le
parti, lo sviluppo delle linee argomentative della decisione è necessariamente correlato
all’esistenza dell’atto negoziale con cui l’imputato dispensa l’accusa dall’onere di provare i
fatti dedotti nell’imputazione. Ne consegue che il giudizio negativo circa la ricorrenza di
una delle ipotesi di cui all’art. 129 cod. proc. pen. deve essere accompagnato da una
specifica motivazione soltanto nel caso in cui dagli atti o dalle deduzioni delle parti
emergano concreti elementi circa la possibile applicazione di cause dì non punibilità,

abitazione della vicina e coimputata Elia, intenta a confezionare dosi di stupefacente, era

dovendo, invece, ritenersi sufficiente, in caso contrario, una motivazione consistente
nell’enunciazione – anche implicita – che è stata compiuta la verifica richiesta dalle leggi
e che non ricorrono le condizioni per la pronuncia di proscioglimento ex art. 129 cod.
proc. pen. (ex plurimis, Sez. 3, 29 maggio 2012, n. 36610; Sez. 3, 22 settembre 1997,
n. 2932; Sez. un. 27 settembre 1995, n. 10372; Sez. un., 27 marzo 1992, n. 5777).
Tale orientamento trova applicazione anche nel caso di specie, in cui la
motivazione della sentenza circa l’insussistenza di cause di proscioglimento ex art. 129
cod. proc. pen., appare, in ogni caso, esaustiva, perché richiama gli atti di indagine, ed in
particolare i verbali d’arresto, perquisizione e sequestro, le dichiarazioni confessorie di
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entrambe le ricorrenti e la relazione orale svolta dagli operanti innanzi al giudice all’atto
della convalida, da cui risulta che entrambe le imputate erano state viste nell’atto di
confezionare dosi singole di sostanza stupefacente (con la conseguente manifesta
infondatezza della prospettazione della De Muro circa la occasionalità della sua presenta
nella abitazione della coimputata Elia), evidenziando l’inesistenza di elementi valutabili a
favore delle imputate.
I ricorsi, conseguentemente, devono essere dichiarati inammissibili.
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e

proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma
dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del
versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata
in € 2.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna le ricorrenti singolarmente al
pagamento delle spese processuali e della somma di € 2.000,00 in favore della Cassa
delle ammende.
Così deciso in Roma, il 22 aprile 2016
Il Consigliere estensore

rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia

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