Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28443 del 22/04/2016


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 28443 Anno 2016
Presidente: GRILLO RENATO
Relatore: LIBERATI GIOVANNI

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
GIUFFRIDA MARIO SALVATORE N. IL 23/08/1975
avverso la sentenza n. 10592/2015 GIUDICE UDIENZA
PRELIMINARE di CATANIA, del 29/09/2015
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIOVANNI LIBERATI;

Data Udienza: 22/04/2016

RITENUTO IN FATTO

Con sentenza pronunciata ex art. 444 cod. proc. pen., il Giudice per le indagini
preliminari del Tribunale di Catania ha applicato a Mario Salvatore Giuffrida la pena da
questi richiesta, per il reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90 (per avere
detenuto a fini di spaccio e ceduto sostanza stupefacente del tipo cocaina).
Avverso la sentenza, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, mediante il
suo difensore, chiedendone l’annullamento e lamentando violazione di legge in ordine alla

assorbita in quella di detenzione di stupefacenti.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è manifestamente infondato.

Il ricorrente lamenta l’erronea applicazione dell’aumento per la continuazione per
la condotta dì cessione posta in essere nel mese di aprile 2013, dovendo la stessa
ritenersi compresa nella più grave condotta di detenzione commessa il 22 febbraio 2013.
Va dunque ribadito che nel caso in cui sia proposta, come nel caso in esame,
richiesta concordata di applicazione della pena, con riconoscimento del cumulo giuridico
per effetto della continuazione tra i reati contestati, il giudice, nell’accogliere la richiesta,
non è tenuto a motivare le ragioni di fatto poste a fondamento dell’unicità del disegno
criminoso prospettato concordemente dalle parti (cfr. Cass. sez. 5, 3/4/2007 il 20562).
Una volta che l’accordo tra le parti sia stato ratificato dal giudice con la sentenza di
applicazione della pena, non è consentito censurare il provvedimento per mancanza di
motivazione su una pena concordata nella misura di fatto – poi – irrogata (Sez. 6, n.
14563 del 02/12/2010, Manea, Rv. 250024; conf. Sez. 7, n. 23672 del 22/04/2015,
Hassni, Rv. 263796).
Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile.
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e
rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia
proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma
dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del
versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata
in C 2.000,00.

1

applicazione dell’aumento per la continuazione per la condotta di cessione, da ritenere

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di € 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 22 aprile 2016

Il Consigliere estensore

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