Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2844 del 10/12/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 2844 Anno 2014
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: LIGNOLA FERDINANDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DI MONDO SALVATORE N. IL 11/06/1969
avverso la sentenza n. 10763/2012 CORTE DI CASSAZIONE di
ROMA, del 05/02/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FERDINANDO
LIGNOLA;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

Uditi difensor Avv.;

c-í

Data Udienza: 10/12/2013

Il Procuratore generale della Corte di cassazione, dr. Fulvio Baldi, ha concluso
chiedendo il rigetto dei ricorsi;
per il ricorrente è presente l’avv. Antonio Managò, il quale chiede l’accoglimento
del ricorso.

1. Con sentenza della Corte di Assise di appello di Reggio Calabria in data 17
novembre 2011 veniva ribaltata la sentenza di assoluzione del G.U.P. presso il
Tribunale di Reggio Calabria, resa all’esito di rito abbreviato in data 30 settembre
2009, ed era pronunciata condanna alla pena di 30 anni di reclusione nei
confronti di Di Mondo Salvatore, per i delitti di omicidio volontario pluriaggravato
e di occultamento di cadavere in danno di Chiaravalloti Raffaele, consumati in
Rosarno il 4 febbraio 2002.
2. Con la sentenza oggetto di ricorso, depositata il 7 marzo 2013, la Prima
Sezione di questa Corte dichiarava estinto per prescrizione il delitto di
soppressione di cadavere e rigettava nel resto il ricorso proposto dal Di Mondo.
Il condannato ha proposto, ex art. 625 bis c.p.p., due distinti ricorsi straordinari,
il primo a forma del difensore, avv. Antonio Managò ed il secondo a firma di altro
difensore, avv. Mario Santambrogio.
3. Il ricorso dell’avv. Managò deduce i seguenti errori percettivi:
a) aver ritenuto inammissibile la questione riguardante l’inutilizzabilità delle
intercettazioni, peraltro già dichiarata dalla Sesta Sezione di questa Corte, con
sentenza 40350 del 2002, in relazione alla misura cautelare adottata per gli
stessi fatti; erroneamente la Corte ha ritenuto che tale declaratoria di
inutilizzabilità si riferisse ad un procedimento diverso, pur avendo il ricorrente
nei motivi articolati (pagina 30 e ss.) puntualmente argomentato in proposito; a
giudizio del ricorrente operava una preclusione processuale, che impediva di
tener conto del mutamento di giurisprudenza intervenuto con la decisione delle
sezioni unite “Gatto”;
b) omessa valutazione dei motivi di ricorso, con riferimento alla individuazione
della causale dell’omicidio, rappresentato, secondo la decisione di appello, da
una truffa subita dai complici Ferraro e Serra, in relazione ad un traffico di
sostanze stupefacenti. Nei motivi di ricorso si contestava la certezza di tale

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RITENUTO IN FATTO

causale ed in particolare il coinvolgimento, dal lato passivo, anche del Di Mondo;
inoltre si contestava la valenza indiziaria della conversazione tra il ricorrente ed il
coimputato Ferrar°, alle ore 11:27 del 28 gennaio 2002, nel corso della quale il
primo chiedeva al secondo notizie in ordine ad un appartamento che questi
avrebbe dovuto trovare a Milano, ove condurre il Chiaravalloti per farlo parlare.

avesse proposto al suo interlocutore di precedere la vittima, la quale si stava
recando in treno in Calabria, era priva di significato indiziante, per l’assenza di
collegamenti aerei a quell’ora che consentissero di realizzare il proposito.
Congetturali ed apodittiche erano ritenute le affermazioni della sentenza,
secondo la quale già il 28 gennaio il trio Ferraro – Serra – Di Mondo aveva deciso
di operare una sorta di “resa dei conti” con la vittima e che ci fu un incontro
durante il quale fu programmata l’eliminazione del Chiaravalloti; indimostrata
sarebbe la partecipazione del ricorrente al viaggio in auto con il Ferraro il 3
febbraio 2002.
Infine era censurata la motivazione, nella parte in cui affermava la
compartecipazione del Di Mondo all’omicidio a titolo di concorso morale, sotto il
profilo del rafforzamento del proposito criminoso, sia per mancanza di prova in
ordine all’incontro programmatico che sarebbe venuto a Milano, sia perché a
pagina 54 vi sarebbe stato un travisamento di prova, laddove l’espressione “fare
quello che si doveva fare” veniva attribuita al Di Mondo, anziché al Ferraro
(come invece a pagina 48). A fronte di tali dettagliate censure, la Corte di Assise
di appello si era limitata a richiamare i paragrafi sub 1.1 e da sub 1.5 ad 1.9,
quando invece la posizione del ricorrente era esaminata sub 1.10; di qui la
censura per omessa motivazione.
Quanto alla decisività dei motivi di ricorso, la totale omissione del loro esame da
parte della Suprema Corte ne implica – secondo il ricorrente – la decisività.
4. Il ricorso dell’avv. Santambrogio deduce la totale omessa valutazione dei
motivi di ricorso, in ordine alle censure proposte con il ricorso del 22 febbraio
2012, con il quale si contestava la violazione del principio del contraddittorio,
poichè la Corte territoriale aveva modificato l’addebito di concorso materiale in
omicidio in quello di concorso morale, pure a fronte di un giudizio di primo grado
nel quale tale seconda ipotesi era stata del tutto esclusa; si era inoltre
contestata la decisione di secondo grado con riferimento ai principi di diritto

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Secondo il ricorrente anche la circostanza che nella stessa telefonata il Di Mondo

affermati da questa Corte in casi analoghi, secondo i quali il giudice di appello,
laddove rivaluti in senso peggiorativo il quadro probatorio, in mancanza di
elementi sopravvenuti, deve dar conto in modo specifico e completo della diversa
valutazione delle prove e confutare in maniera convincente le ragioni assolutorie,
in modo da dirimere ogni eventuale dubbio sull’affermazione di responsabilità.

questa Corte è fondata esclusivamente su clausole di stile, senza esprimere
alcun commento in ordine alla correttezza logico-argomentativa dei passaggi
motivazionali censurati, sui quali la Corte di Assise di appello aveva fondato
l’affermazione di responsabilità per il concorso morale in omicidio; tale tecnica
motivazionale, consistita nella isolate sterile elencazione di postulati giuridici
astratti, dimostra l’omesso esame da parte del giudice di legittimità dei motivi
proposti ed integra il vizio denunciato con il rimedio straordinario.
5. All’odierna udienza la Corte procedeva alla riunione dei procedimenti R.G.
32512/2013 (ricorso dell’avv. Managò), 34820/2013 (ricorso dell’avv.
Santambrogio) e 3360/2013 (frutto di un errore di fascicolazione della
cancelleria centrale), poiché riguardanti tutti la stessa sentenza della Prima
Sezione di questa Corte e lo stesso ricorrente.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono inammissibili per manifesta infondatezza.
2.

Deve premettersi che, sulla base del consolidato orientamento della

giurisprudenza di legittimità (Sez. U, n. 16103 del 27/03/2002, Basile, Rv.
221283; Sez. U, n. 37505 del 14/07/2011, Corsini, Rv. 250528) in materia di
ricorso ex art. 625 bis c.p.p., l’errore di fatto verificatosi nel giudizio di legittimità
e deducibile con detto mezzo straordinario di impugnazione deve consistere in un
errore percettivo causato da una svista o da un equivoco in cui la Corte di
cassazione sia incorsa nella lettura degli atti interni al giudizio stesso, di guisa da
influenzare il processo formativo della decisione, a cagione di ciò rimasto viziato
dall’inesatta percezione delle risultanze processuali; donde la pronunzia diversa
da quella che altrimenti sarebbe stata adottata.
3. La natura eccezionale del rimedio e la lettera della disposizione che lo
istituisce non consentono di sindacare a mezzo di ricorso straordinario altro

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A giudizio del ricorrente la motivazione della decisione della Prima Sezione di

(asserito) errore di fatto che non sia quello costituito da sviste o errori di
percezione nei quali sia incorsa la Corte di Cassazione nella lettura degli atti del
giudizio di legittimità, che deve essere connotato, altresì, dall’influenza esercitata
sulla decisione (in tal senso “viziata”) dalla inesatta percezione di risultanze
processuali, il cui travisamento conduce ad una sentenza diversa da quella che

effetto di detto errore.
Di conseguenza:
a) va esclusa ogni possibilità di dedurre errori valutativi o di giudizio;
b) l’errore di fatto censurabile, secondo il dettato dell’art. 625 bis c.p.p., deve
consistere in una inesatta percezione di risultanze direttamente ricavabili da atti
relativi al giudizio di Cassazione e, per usare la terminologia dell’art. 395 cod.
proc. civ., n. 4, cui si è implicitamente rifatto il legislatore nella introduzione
dell’art. 625 bis cod. proc. pen., nel supporre “la esistenza di un fatto la cui
verità è incontrastabilmente esclusa” ovvero nel supporre “l’inesistenza di un
fatto la cui verità è positivamente stabilita”

e purché tale fatto non abbia

rappresentato “un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunziare”,
anche implicitamente ovvero che al dibattito processuale “appartiene per legge
(questioni rilevabili d’ufficio)”;
c) l’errore di fatto deve rivestire “inderogabile carattere decisivo”;
d) deve escludersi che nell’area dell’errore di fatto denunziabile con ricorso
straordinario possano essere ricondotti gli errori percettivi non inerenti al
processo formativo della volontà del Giudice di legittimità, perché riferibili alla
decisione del Giudice di merito, dovendosi questi ultimi far valere, anche se
risoltisi in travisamento del fatto, soltanto nelle forme e nei limiti delle
impugnazioni ordinarie ovvero con la revisione. Esulando, ancora, dall’errore di
fatto ogni profilo valutativo, esso coincide con l’errore revocatorio, secondo
l’accezione che vede in esso il travisamento degli atti nelle due forme della
“invenzione” o della “omissione”, non estensibile al travisamento delle risultanze,
in cui sia in tesi incorsa la stessa Corte di Cassazione nella lettura degli atti del
suo giudizio.
4. Quanto, poi, all’omissione dell’esame di uno o più motivi di ricorso per
cassazione, essa, quando pure in astratto sussista, si risolve, di per sè, in un
difetto di motivazione, che, sempre in astratto, non significa affermazione nè

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sarebbe stata adottata senza l’errore e la cui ingiustizia o invalidità costituiscono

negazione di alcuna realtà processuale, ma semplicemente mancata risposta a
una censura. La prevalente giurisprudenza di questa Corte e le Sezioni Unite
prima citate ammettono, peraltro, che la lacuna motivazionale possa essere
ricondotta nell’errore di fatto quando, sempre restando ai limiti prima segnati,
risulti dipesa “da una vera e propria svista materiale, ossia da una disattenzione

dell’inesistenza della censura”, ovverosia quando l’omesso esplicito esame lasci
presupporre la mancata lettura del motivo di ricorso e da tale mancata lettura
discenda, secondo “un rapporto di derivazione causale necessaria”, una decisione
che può ritenersi incontrovertibilmente diversa da quella che sarebbe stata
adottata a seguito della considerazione del motivo.
4.1 Deve ricordarsi, in questa prospettiva, che il disposto dell’art. 173 disp. att.
cod. proc. pen., comma 1, (“nella sentenza della Corte di Cassazione i motivi di
ricorso sono enunziati nei limiti strettamente indispensabili per la motivazione”)
non consente di presupporre che ogni argomento prospettato a sostegno delle
censure non riprodotto in ricorso non sia stato letto anziché implicitamente
ritenuto non rilevante o rigettato.
Sicché non solo non è in nessun caso deducibile, ai sensi dell’art. 625 bis cod.
proc. pen., la mancanza di espressa disamina di doglianze che non siano decisive
o che debbano considerarsi implicitamente disattese perché incompatibili con la
struttura e con l’impianto della motivazione, nonché con le premesse essenziali,
logiche e giuridiche che compendiano la ratio decidendi della sentenza medesima
(Sez. 1, n. 15422 del 10/02/2010, Cillari, Rv. 247236), ma è onere del
ricorrente dimostrare che la doglianza non riprodotta era, contro la regola
dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen., decisiva e che il suo omesso esame
dipende da sicuro errore di percezione (Sez. 5, n. 20520 del 20/03/2007,
Pecoriello, Rv. 236731).
5. Ciò posto, rileva il Collegio che, ii% definitiva il ricorrente censura la
motivazione delle decisione della Prima Sezione, ritenendola insoddisfacente, ma
non evidenzia alcun reale errore percettivo, né con il primo, né con il secondo
ricorso.
5.1 In ordine alla questione della preclusione processuale (primo motivo di
entrambi i ricorsi), che secondo il ricorrente sarebbe stata erroneamente riferita
ad altro procedimento, va innanzi tutto rilevato che la decisione impugnata

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di ordine meramente percettivo, che abbia causato l’erronea supposizione

motiva diffusamente sul punto, rilevando che la decisione di legittimità che ha
dichiarato inutilizzabili gli esiti delle intercettazioni riguardava un distinto
procedimento in senso giuridico, perché resa nei confronti di altro soggetto per
reati in materia di stupefacenti, anche se riferibili alla stessa indagine.
5.2 Inoltre, in punto di diritto, la decisione ha osservato che una eventuale

inscrive nella tipologia delle preclusioni cd. deboli, espressamente stabilite dalla
legge ovvero ricavate in via interpretativa dalla elaborazione giurisprudenziale
(Sez. Un., n. 20 del 12/10/1993, Durante, Rv. 195354), le quali – prive
dell’efficacia preclusiva tipica della res iudicata che “copre il dedotto e il
deducibile” – operano rebus sic stantibus e non ostano, pertanto, al riesame della
medesima questione in presenza della deduzione di nuovi elementi, sia
sopravvenuti alla decisione, che preesistenti ma non dedotti; tra questi va
incluso il mutamento di giurisprudenza, intervenuto con decisione delle Sezioni
unite della Corte di Cassazione, come, nel caso di specie, l’arresto delle Sezioni
Unite (sopravvenuto alla decisione in ipotesi preclusiva della Sezione Sesta, n.
40350, del 9 ottobre 2002) riguardante l’art. 268 c.p.p., comma 3, cod. proc.
pen., rappresentato dalla sentenza n. 919, del 26 novembre 2003 (dep. il 19
gennaio 2004, ric. Gatto, Rv. 226497).
5.3 La sentenza impugnata ha anche sottolineato che la decisione di
annullamento della Sesta Sezione invocata dal ricorrente, a seguito del giudizio
di rinvio, è stata rovesciata da due successive decisioni, rispettivamente della
Quarta e della Sesta sezione (riguardanti la misura cautelare a carico del
coindagato Ferraro, ripristinata a seguito dell’annullamento ed il giudizio di
merito a carico del medesimo), nelle quali sono stati ritenuti infondati i motivi
concernenti la utilizzabilità delle intercettazioni, con riferimento alla motivazione
del requisito della insufficienza o inidoneità degli impianti della Procura nel
decreto del Pubblico Ministero (Sezione 4, n. 48226 del 28 ottobre 2004 e
Sezione 6, Penale, n. 33810 del 26 aprile 2007).
6. Con riferimento agli altri motivi, attinenti l’omesso esame delle doglianze
formulate con il ricorso originario, ci si richiama ai principi già espressi al par. 4.,
poiché le nove doglianze, puntualmente riportate al paragrafo 3 dei “motivi della
decisione”, sono state ritenute manifestamente infondate, con motivazione

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preclusione endoprocessuale (nella specie – come detto – non esistente) si

sintetica, dalla quale può comunque escludersi la sussistenza di vizi percettivi.
3. In conclusione i ricorsi dell’imputato vanno dichiarati inammissibilli. Alla
declaratoria di inammissibilità segue per legge, in forza del disposto dell’art. 616
c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al
versamento della somma, ritenuta congrua, di euro mille in favore della cassa

P.Q.M.

dichiara inammissibili i ricorsi e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2013
Il consigliere estensore

Il Presidente

delle ammende.

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