Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28437 del 19/03/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 28437 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto
da
Izzo Pasquale, nato il 17 maggio 1957
avverso l’ordinanza del Tribunale di Napoli del 26 settembre 2013;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessandro M. Andronio;
udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale Giulio
Romano, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

i

Data Udienza: 19/03/2014

RITENUTO IN FATTO
1.

– Con ordinanza del 26 settembre 2013, il Tribunale di Napoli ha

parzialmente confermato l’ordinanza del Gip dello stesso Tribunale del 28 giugno
2013, con la quale – per quanto qui rileva – l’indagato odierno ricorrente era stato
assoggettato alla misura della custodia cautelare in carcere – nell’ambito di un
procedimento più ampio, relativo ad un’associazione finalizzata al traffico illecito di
sostanze stupefacenti e a reati-scopo di importazione, detenzione e cessione di

del d.P.R. n. 309 del 1990, per avere, in sostanziale posizione di acquirente e in
concorso con diversi altri soggetti, portato in Olanda il denaro occorrente per la
conclusione della trattativa relativa all’acquisto di una partita di stupefacenti. Il
Tribunale ha escluso la sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 80,
comma 2, richiamato.
2. – Avverso l’ordinanza Izzo Pasquale ha proposto, tramite il difensore, ricorso
per cassazione, deducendo, con unico motivo di doglianza, la mancanza e la manifesta
illogicità della motivazione quanto ai gravi indizi di colpevolezza. Non si sarebbe
considerato, in particolare, che l’indagato non era consapevole dello scopo e della
destinazione del denaro trasportato e consegnato al genero suo coimputato, anche
perché – secondo la difesa – si trattava di proventi dell’attività di tabaccheria gestita
lecitamente dalla figlia.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – Il ricorso è inammissibile, perché sostanzialmente diretto a ottenere da
questa Corte una rivalutazione del merito dei gravi indizi di colpevolezza: la difesa
basa le sue doglianze sull’asserzione della mancanza di consapevolezza della
destinazione all’acquisto di stupefacenti del denaro portato dall’indagato all’estero;
asserzione già esaminata e motivatamente disattesa dal Tribunale.
In ogni caso, l’indagato neanche contesta i passaggi motivazionali
nell’ordinanza impugnata nei quali si dà conto – con iter logico pienamente coerente e
corretto – del fatto che la sua piena consapevolezza della destinazione del denaro
emerge da molteplici elementi: a) vi era un coindagato che gestiva le trattative con i
fornitori esteri; b) vi sono conversazioni intercettate dalle quali risulta che i coindagati
avevano fornito i soldi da trasportare ed erano preoccupati per la prossima partenza
dell’aereo; c) vi sono numerosi incontri e conversazioni dei quali risulta che l’indagato
aveva il denaro con sé e che aveva riferito alla moglie di non essere andato all’estero
ma a Milano; d) il concorso e la piena consapevolezza di tutti i soggetti nella

stupefacenti – in relazione al reato di cui agli artt. 73, commi 1 e 6, e 80, comma 2,

commissione del reato emergono anche dalle vicende relative al pagamento del
biglietto di ritorno (pagg. 23-24 dell’ordinanza); e) vi sono conversazioni successive al
fatto dalle quali emerge che l’indagato aveva portato in Olanda una somma molto
considerevole e che tale somma doveva essere considerata in rapporto alle
prospettive di guadagno, di circa due volte – due volte e mezzo; f) le spiegazioni
alternative fornite dall’indagato – e meramente riproposte con il ricorso per cassazione
– sono del tutto inverosimili, sia per il considerevole quantitativo di denaro, sia per il

effettivamente lo stupefacente, nell’ambito di un’operazione organizzata in gruppo.
4. – Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto
conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186 della Corte costituzionale e rilevato che,
nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il
ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità»,
alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p.,
l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in
favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in € 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 19 marzo 2013.

fatto che il denaro stesso era stato fornito da terzi ed era stato utilizzato per comprare

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