Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28434 del 19/03/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 28434 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto
da
Pilloni Fausto, nato l’8 ottobre 1969
avverso l’ordinanza del Tribunale di Cagliari del 18 ottobre 2013;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessandro M. Andronio;
udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale Giulio
Romano, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Data Udienza: 19/03/2014

RITENUTO IN FATTO
1. – Con ordinanza del 18 ottobre 2013, il Tribunale di Cagliari ha confermato
l’ordinanza della Corte d’appello di Cagliari del 23 settembre 2013, con la quale la
misura cautelare degli arresti domiciliari, originariamente applicata all’indagato in
relazione ai reati di cui agli artt. 73 e 74 del d.P.R. n. 309 del 1990, è stata sostituita
con la custodia cautelare in carcere, in conseguenza di una ritenuta violazione,
consistente nell’allontanamento dal domicilio. Si evidenzia, in particolare, che

proprietà della madre con orari dalle 7,00 alle 10,00 e dalle 16,00 alle 19,00. Lo
stesso era stato notato in altro luogo dai carabinieri alle ore 8,35 ed era stato poi
trovato alle ore 9,00 nella sua abitazione, ove si era giustificato dicendo di essere
uscito per comprare del mangime per i polli e mostrando il relativo scontrino.
2. – Avverso l’ordinanza l’imputato ha proposto personalmente ricorso per
cassazione, rilevando l’insufficienza e la manifesta illogicità della motivazione.
Secondo il ricorrente, i carabinieri non avrebbero tenuto conto del fatto che egli
poteva uscire dall’abitazione dalle ore 7,00 alle ore 10,00 senza alcun limite quanto ai
percorsi, cosicché il transito presso il negozio di mangimi rappresentava una
deviazione dalla via più breve assolutamente irrilevante. Anzi, il transito accertato dai
carabinieri era stato fatto provenendo dall’azienda agricola nel tragitto di ritorno
all’abitazione e non dall’abitazione verso l’azienda agricola. Del resto – prosegue il
ricorrente – non ogni violazione è rilevante ai fini della sostituzione della misura degli
arresti domiciliari con quella della custodia cautelare in carcere, ma solo quelle
inerenti il divieto di non allontanarsi dalla propria abitazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – Il ricorso è inammissibile, perché sostanzialmente diretto ad ottenere da
questa Corte una rivalutazione del merito della decisione; rivalutazione preclusa in
sede di legittimità. Il ricorrente propone, infatti, una ricostruzione meramente
alternativa dei fatti, sostenendo di essere andato regolarmente a lavorare e di essere
tornato a casa alle 8,35, nonché di avere acquistato il mangime per i polli sulla strada
del ritorno, con una minima deviazione dall’itinerario normalmente seguito. Tale
ricostruzione contrasta, però, con quanto accertato dai carabinieri presso l’abitazione
dello stesso imputato, laddove questi riferiscono che egli si era giustificato dicendo di
essere uscito per comprare il mangime per polli e mostrando il relativo scontrino,
nonché affermando di essere consapevole di avere posto in essere una violazione, ma
di essere uscito per fare un favore alla madre. La spiegazione data dagli stessi

l’imputato era autorizzato a svolgere attività lavorativa quale pastore dei terreni di

carabinieri – e fatta propria dalla Corte d’appello e dal Tribunale – secondo cui
l’imputato non era andato a lavorare nell’azienda ma era uscito esclusivamente per
andare a comprare il mangime per polli, risulta allora del tutto logica e plausibile, e
perciò insindacabile in sede di legittimità.
4. – Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto
conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che,
nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il

alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod.
proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della
somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 19 marzo 2013.

ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità»,

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