Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28432 del 22/04/2016


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 28432 Anno 2016
Presidente: GRILLO RENATO
Relatore: DI STASI ANTONELLA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
PATERNUOSTO MARCO N. IL 16/04/1967
avverso la sentenza n. 332/2010 TRIBUNALE di SANTA MARIA
CAPUA VETERE, del 24/02/2011
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONELLA DI
STASI;

Data Udienza: 22/04/2016

RITENUTO IN FATTO
1. – Con sentenza pronunciata in data 24.2.2012, il Tribunale di Santa Maria
Capua Vetere dichiarava Paternuosto Marco responsabile del reato di cui
all’articolo 5 lett. b) e 6 legge 30.4.1962 n. 283 e lo condannava alla pena di
euro 500,00 di ammenda.
2. – Avverso la sentenza, l’imputato ha proposto appello convertito in
ricorso per cassazione, con il quale censura la sentenza impugnata con

inflitta.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. – Il ricorso va dichiarato inammissibile.
2. Il primo motivo è inammissibile per violazione dell’art. 606 comma 3 cod.
proc. pen.
L’impugnazione proposta come appello, riqualificata dalla Corte territoriale
come ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 568 comma 5 c.p.p., sulla base del
principio di conservazione degli atti, determina unicamente l’automatico
trasferimento del procedimento dinanzi al giudice competente in ordine alla
impugnazione secondo le norme processuali e non comporta una deroga alle
regole proprie del giudizio di impugnazione correttamente qualificato, ciò
comportando che l’atto convertito deve avere i requisiti di sostanza e forma
stabiliti ai fini della impugnazione che avrebbe dovuto essere proposta (v., tra le
tante: Sez. 1, n. 2846 del 08/04/1999 – dep. 09/07/1999, Annibaldi R, Rv.
213835)
Nel caso in esame, l’impugnazione è inammissibile con riferimento al primo
motivo articolato perché proposta per motivi diversi da quelli consentiti dalla
legge ex art. 606., comma 3, cod. proc. pen., atteso che, come si desume dal
tenore dei motivi dell’originario gravame, la stessa articola esclusivamente
censure di merito all’impugnata sentenza, riguardanti la rivalutazione del
compendio probatorio.
Il secondo motivo è manifestamente infondato.
Costituisce principio consolidato che la motivazione in ordine alla
determinazione della pena base (ed alla diminuzione o agli aumenti operati per
le eventuali circostanze aggravanti o attenuanti) è necessaria solo quando la
pena inflitta sia di gran lunga superiore alla misura media edittale. Fuori dì
questo caso anche l’uso di espressioni come “pena congrua”, “pena equa”,
“congrua riduzione”, “congruo aumento” o il richiamo alla gravita del reato o alla
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riferimento alla affermazione di responsabilità ed alla eccessività della pena

capacità a delinquere dell’imputato sono sufficienti a far ritenere che il giudice
abbia tenuto presente, sia pure globalmente, i criteri dettati dall’art. 133 c.p. per
il corretto esercizio del potere discrezionale conferitogli dalla norma in ordine al
“quantum” della pena (Sez. 2, n.36245 del 26/06/2009 Rv. 245596;

Sez.4,

n.21294 del 20/03/2013, Rv.256197).
Il ricorrente articola motivo che contrasta con tale giurisprudenza costante,
le cui ragioni non tenta di confutare adducendo specifici motivi nuovi o diversi
per sostenere l’opposta tesi.

costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per
ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria
dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen.,
l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma,
in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 1.500,00.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.500,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, 22.4.2016

3.- Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte

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