Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28427 del 21/05/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 28427 Anno 2014
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: SCARCELLA ALESSIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
– MATRONE GIOVANNI BATTISTA, n. 29/11/1981 a SCAFATI

avverso la sentenza della Corte d’appello di SALERNO in data 30/09/2013;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. G. Izzo, che ha chiesto l’annullamento con rinvio, limitatamente
al trattamento sanzionatorio, ed il rigetto del ricorso nel resto;
udite, per il ricorrente, le conclusioni dell’Avv. C. Pecoraro, sostituto processuale
dell’Avv. G. Pecoraro, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

Data Udienza: 21/05/2014

RITENUTO IN FATTO

1. MATRONE GIOVANNI BATTISTA ha proposto ricorso avverso la sentenza della
Corte d’appello di SALERNO, emessa in data 30/09/2013, depositata in pari data,
che, in parziale riforma della sentenza del GUP del Tribunale di NOCERA
INFERIORE del 4/02/2013, previa concessione delle attenuanti generiche,

richiesto per il reato di concorso in illecita detenzione a fini di spaccio di sostanza
stupefacente del tipo marijuana pari a gr. 209 (artt. 110 c.p. e 73, comma 1-bis,
d.P.R. n. 309/1990; fatto contestato come commesso in Scafati il 23 agosto
2012) nella misura finale di anni 2, mesi 8 di reclusione ed € 12.000,00 di multa.

2. Con il ricorso, proposto dal difensore fiduciario cassazionista, vengono dedotti
cinque motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la
motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b) ed e) c.p.p.,
in relazione all’inutilizzabilità delle dichiarazioni auto-accusatorie rese
dall’imputato.
La censura investe la motivazione della Corte territoriale in ordine alla ritenuta
utilizzabilità delle dichiarazioni spontanee rese dal ricorrente in assenza de
difensore, poi confermate in sede di convalida; in particolare, non sarebbe
corretta la soluzione della Corte d’appello che ha ritenuto utilizzabili le
dichiarazioni spontanee rese originariamente in assenza di difensore in quanto la
confessione resa dal ricorrente in sede di convalida dell’arresto, con conferma di
tali dichiarazioni, avrebbe sanato qualsiasi irregolarità; secondo la difesa del
ricorrente, tali dichiarazioni rese ex art. 350, comma 7, c.p.p. sarebbero
inutilizzabili anche in sede di giudizio abbreviato, come riconosciuto anche da
recente giurisprudenza di questa Corte, con la conseguenza che il giudice
avrebbe dovuto escludere l’utilizzabilità di tali dichiarazioni spontanee
autoindizianti, dovendosi applicare alle stesse l’art. 63 c.p.p.; in ogni caso, il
verbale in cui sono contenute le dichiarazioni spontanee sarebbe atto nullo,
nullità tempestivamente eccepita nel corso del giudizio di primo grado;
conclusivamente,

la radicale inutilizzabilità patologica e la nullità di tali

dichiarazioni non poteva essere sanata dalla conferma delle predette
dichiarazioni in sede di convalida dell’arresto da parte dello stesso ricorrente, in
quanto il mero rinvio ad un atto nullo od inutilizzabile non poteva far rivivere
2

rideterminava la pena inflitta dal primo giudice in esito al giudizio abbreviato

l’atto per inesistenza dell’oggetto del rinvio; la sentenza della Corte territoriale
non avrebbe offerto alcuna motivazione giuridica sul punto, limitandosi a ritenere
che la conferma di tali dichiarazioni in sede di convalida escludeva qualsiasi
illegittimità.

2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. e) c.p.p., in
relazione all’attendibilità delle dichiarazioni confessorie rese dal ricorrente.

La censura investe la motivazione della Corte territoriale in ordine alla ritenuta
attendibilità della confessione del ricorrente, il quale l’avrebbe resa per assumere
su di sé le responsabilità della madre, concorrente nel reato; si evidenziano sul
punto alcuni passaggi della confessione che renderebbero evidente
l’inattendibilità della confessione del ricorrente (impossibilità che il ricorrente
avesse nascosto la droga nella lavatrice dell’abitazione; falsità della dichiarazione
del Matrone secondo cui la madre nulla sapeva della sostanza; riferimento del
Matrone ad un’unica busta bianca in cui lo stupefacente era custodito, anziché di
due involucri in cui era effettivamente suddivisa; mancanza nella confessione di
ulteriori particolari utili a convincere della conoscenza della vicenda; assenza di
qualsiasi valenza della reticenza della madre); la Corte territoriale avrebbe
disatteso le censure difensive sul punto ritenendo marginali le incongruenze
rilevate, omettendo di affrontare la questione più importante, relativa alla
scindibilità della confessione tra una parte verosimile ed una falsa sul punto
centrale della vicenda, donde l’evidente vizio motivazionale.

2.3. Deduce, con il terzo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b) ed e) c.p.p., in
relazione alla destinazione allo spaccio della sostanza stupefacente.
La censura investe la motivazione della Corte territoriale in ordine alla ritenuta
destinazione allo spaccio dello stupefacente rinvenuto in disponibilità del
ricorrente; la Corte territoriale avrebbe omesso di affrontare la questione.

2.4. Deduce, con il quarto motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. e) c.p.p., in
relazione al mancato riconoscimento del vincolo della continuazione.
La censura investe la motivazione della Corte territoriale in ordine alla ritenuta
mancanza di qualsiasi argomentazione circa il mancato riconoscimento del
vincolo della continuazione tra il fatto giudicato in via definitiva (e commesso dal
ricorrente il 25/05/2010) e quello per cui si procede; la Corte territoriale, al fine
di escludere l’art. 81 cpv c.p., farebbe leva solo sul dato temporale, senza
prendere in considerazione gli altri elementi indicati nell’atto di appello, né
valutare l’incidenza dello status di tossicodipendente del ricorrente.
3

‘b,

2.5. Deduce, con il quinto ed ultimo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. c) ed
e) c.p.p., in relazione al diniego di riconoscimento dell’attenuante di cui al
comma 5 dell’art. 73 T.U. Stup.
La censura investe la motivazione della Corte territoriale in ordine al diniego
dell’ipotesi del comma 5 dell’art. 73 TU Stup.; la Corte territoriale non avrebbe
adeguatamente motivato rispetto alle censure mosse nell’atto di appello, che
rilevava l’illogicità del diniego a fronte del riconoscimento dell'(allora) attenuante

poteva fondarsi né sui precedenti penali (avendo natura oggettiva) né sul solo
dato ponderale e sulla personalità recidivante del ricorrente; i giudici di appello
non avrebbero motivato circa la questione della disparità di trattamento, mentre
si sarebbero limitati a negare l’attenuante solo in base al dato ponderale ed alla
personalità recidivante del ricorrente, difformemente da quanto invece ritenuto
dalla giurisprudenza di questa Corte; quanto al dato ponderale, esclusa la
valenza sintomatica della recidiva, lo stesso non può costituire parametro
esclusivo per escludere la tenuità del fatto, dovendo la valutazione scaturire da
un’analisi onnicomprensiva del medesimo, come richiesto dalla giurisprudenza di
questa Corte.

CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso dev’essere accolto, anche se per ragioni diverse da quelle esposte.

4. Seguendo l’ordine logico e cronologico, dev’essere anzitutto affrontata la
doglianza proposta con il primo motivo.
La censura è infondata.
Ed invero, le dichiarazioni spontanee rese dall’imputato non sono colpite dalla
sanzione d’inutilizzabilità, come invocato dal ricorrente, atteso che le stesse sono
state confermate dall’imputato in sede di interrogatorio svoltosi all’atto della
convalida dell’arresto. Sul punto, a destituite di fondamento il profilo di
doglianza, è doveroso in questa sede ricordare che il fatto che una persona
indagata abbia reso dichiarazioni “confidenziali” alla polizia giudiziaria in assenza
del suo difensore non ne inficia il valore dimostrativo, una volta che esse siano
state confermate davanti al magistrato in presenza del difensore (v., in termini:
Sez. 6, n. 9320 del 12/05/1995 – dep. 05/09/1995, Mauriello, Rv. 202039).

5. Passando ad esaminare il secondo motivo di ricorso, con cui il ricorrente
censura l’impugnata sentenza per aver espresso un immotivato giudizio di
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alla madre, concorrente nel reato, nonché la circostanza che il diniego non

attendibilità in ordine alle dichiarazioni confessorie rese dall’imputato, prima
davanti alla PG, poi confermate davanti al giudice della convalida, è evidente che
la censura svolta dal ricorrente davanti a questa Corte si risolve, in sostanza, – a
fronte del sintetico, ma sufficiente apparato argomentativo della sentenza
impugnata sulla questione (v. pag. 4 della motivazione) – nella manifestazione di
un dissenso in ordine alla valutazione del risultato dalla valutazione probatoria
operata dal giudice, richiedendosi dunque a questa Corte di operare un sindacato

questa sede di legittimità, ove attuata attraverso la deduzione del travisamento
del fatto che, come è noto, anche a seguito della modifica apportata all’art. 606,
lett. e), cod. proc. pen. dalla I. n. 46 del 2006, resta non deducibile nel giudizio
di legittimità, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la
propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti
gradi di merito (v., tra le tante: Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012 – dep.
26/06/2012, Minervini, Rv. 253099).
Del resto, come già affermato da questa Corte, la confessione dell’imputato può
essere posta a base del giudizio di colpevolezza anche quando costituisce l’unico
elemento d’accusa purché il giudice – come avvenuto nel caso in esame, alla
luce delle argomentazioni svolte in sentenza dal primo giudice, la cui motivazione
si salda, attesa la natura di doppia conforme, con quella d’appello – ne abbia
favorevolmente apprezzato la veridicità, la genuinità e l’attendibilità, fornendo
ragione dei motivi per i quali debba respingersi ogni sospetto di un intendimento
autocalunnatorio o di intervenuta costrizione dell’interessato (Sez. 4, n. 20591
del 05/03/2008 – dep. 22/05/2008, D’Avanzo e altro, Rv. 240213).

6. Passando ad esaminare il terzo motivo di ricorso, con cui il ricorrente censura
la valutazione operata dalla Corte territoriale in ordine alla sussistenza della
prova della destinazione allo spaccio della sostanza stupefacente, deve qui
precisarsi come la relativa questione non risulta essere stata sollevata con i
motivi di appello.
In ogni caso, la relativa eccezione, poteva intendersi rigettata in base al principio
della c.d. motivazione implicita. Ed invero, è pacifico nella giurisprudenza di
questa Corte che non è censurabile in sede di legittimità la sentenza che, pur
non prendendo espressamente in esame una deduzione prospettata con l’atto di
impugnazione, evidenzi una ricostruzione dei fatti che implicitamente, ma in
maniera adeguata e logica, ne comporti il rigetto (Sez. 2, n. 33577 del
26/05/2009 – dep. 01/09/2009, Bevilacqua e altro, Rv. 245238).

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di merito sul risultato di detta valutazione, operazione del tutto inammissibile in

Nel caso in esame, dal complesso della motivazione del primo e del secondo
giudice emergeva in maniera evidente che i giudici avessero svolto una
valutazione in fatto orientata ad escludere la possibilità di ritenere che la
sostanza sequestrata fosse detenuta per un uso diverso da quello finalizzato ad
una destinazione illecita a terzi. Ciò, del resto, risultava oggettivamente, sia dal
numero di dosi singole ricavabili dallo stupefacente (1116 dosi singole) che,
soprattutto, dalle modalità di confezionamento e dalle circostanze del

incompatibile una destinazione del medesimo ad uso personale.

7. Quanto, ancora, al quarto motivo di ricorso, con cui il ricorrente censura la
sentenza per il mancato riconoscimento del vincolo della continuazione tra i fatti
già giudicati in via definitiva (e commessi dal ricorrente il 25/05/2010) e quello
(commesso nell’agosto 2012) per cui è intervenuta la condanna, è sufficiente,
per ritenerne palmare l’infondatezza, richiamare il puntuale percorso
argomentativo svolto dalla Corte di merito sul punto, avendo chiarito la Corte
salernitana che, trattandosi di condotte lontane nel tempo, era evidente la non
compatibilità con la valutazione di sussistenza di unico momento logico ideativo di entrambe le condotte, donde il rigetto della richiesta.
Ancora una volta, i giudici di merito mostrano di fare buon governo del principio,
più volte affermato da questa Corte, secondo cui, se è ben vero che
l’accentuazione del ruolo del medesimo disegno criminoso, nonché il suo
carattere soggettivo-psichico (da cui deriva l’esigenza di una più rigorosa prova
della sua presenza) riduce l’importanza dell’elemento oggettivo, costituito
dall’elemento cronologico e cioè dalla vicinanza o dalla lontananza, sul piano
temporale dei diversi illeciti, è altrettanto vero, però, che l’accertamento del
disegno criminoso, così individuato sul piano normativo e concettuale, è rimesso
all’apprezzamento del giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità,
quando il convincimento del giudice sia sorretto – come avvenuto nel caso in
esame – da una motivazione adeguata e congrua, senza vizi logici e travisamenti
di fatto (v., tra le tante: Sez. 1, n. 354 del 28/01/1991 – dep. 02/04/1991,
Livieri, Rv. 187740).

8. Quanto, infine, al quinto ed ultimo motivo di ricorso, con cui il ricorrente
censura il mancato riconoscimento dell’ipotesi (all’epoca, attenuata) di cui al
comma 5 dell’art. 73, T.U. Stup., per ritenere anch’essa infondata, è sufficiente
rilevare come la lieve entità del fatto è stata correttamente esclusa dalla Corte
territoriale in relazione al consistente dato ponderale, e tenuto conto della
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rinvenimento dello stupefacente medesimo, che, all’evidenza, rendevano

circostanza che l’imputato era recidivo e che il fatto era stato commesso mentre
questi si trovava in stato di custodia cautelare per altro fatto.
Ora, quand’anche si ritenesse non corretto l’argomentare del giudice nell’aver
valorizzato, agli effetti del diniego dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990, i
precedenti del reo, pur tuttavia appare evidente dal complesso argomentativo
dell’impugnata sentenza, come abbia assunto valenza prevalente nell’escludere
la sussumibilità del fatto nell’ipotesi del predetto comma 5, proprio il consistente

insegnamento di questa Corte secondo cui, in tema di reati concernenti le
sostanze stupefacenti, il dato ponderale può assumere rilievo prevalente, ai fini
del giudizio sulla sussistenza della circostanza attenuante del fatto di lieve entità,
rispetto agli altri elementi indicati dall’art. 73, comma quinto, d.P.R. n. 309 del
1990 (Sez. 4, n. 39273 del 25/09/2008 – dep. 20/10/2008, Lo Presti, Rv.
241987).

9.

Nonostante l’infondatezza di tutti i motivi di ricorso, questa Corte,

nell’esercizio del potere – dovere ad essa imposto dall’art. 609 c.p.p., non può
esimersi tuttavia dal valutare la legalità della pena inflitta al ricorrente,
soprattutto alla luce delle recenti modifiche normative recentemente intervenute
a seguito della declaratoria di incostituzionalità operata dalla Corte cost. con la
sentenza n. 32/2014 che, com’è noto, ha ristabilito il trattamento sanzionatorio
previgente alla modifiche introdotte dalla L. 21 febbraio 2006, n. 49,
differenziato a seconda che si tratti di droghe “leggere” o droghe “pesanti”.
Nel caso in esame, in particolare, lo stupefacente di cui è stata contestata la
detenzione illecita a fini di cessione a terzi è costituito da marijuana; per detto
reato, il “restaurato” trattamento sanzionatorio, contemplato dal comma 4
dell’art. 73, T.U. Stup., è determinato nella reclusione da due a sei anni e della
multa da euro 5.164 a euro 77.468.
La pena base da cui i giudici di appello hanno preso le mosse per rideterminare il
trattamento sanzionatorio è quella di anni 6 di reclusione ed € 27.000,00 di
multa, pena che, avuto riguardo alla “restaurata” previsione del comma 4
dell’art. 73, T.U. Stup. risulta essere pari al massimo della sanzione detentiva
oggi applicabile (all’epoca corrispondente al minimo della pena prevista dal
comma 1 dell’art. 73, T.U. Stup.).
Ritiene questo Collegio di dover dare, sul punto, continuità all’orientamento
venutosi a formare successivamente alla sentenza n. 32/2014 della Corte
costituzionale, nel senso che il principio dell’applicazione della disciplina più
favorevole, determinatasi per effetto della sentenza della Corte costituzionale n.
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dato ponderale, argomentazione del tutto legittima, anche alla luce del costante

32 del 2014 con riferimento al trattamento sanzionatorio relativo ai delitti
previsti dall’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 in relazione alle “droghe leggere”, ed
il conseguente dovere di rideterminare la pena, opera necessariamente non solo
quando il giudice di merito, applicando la più rigorosa normativa dichiarata
incostituzionale, abbia individuato una pena base superiore al massimo previsto
dalla previgente legge più favorevole, ma anche quando abbia ritenuto di
attenersi ai minimi edittali in vigore prima della dichiarazione di incostituzionalità

ufficialmente massimata).

10. S’impone, conseguentemente, l’annullamento dell’impugnata sentenza,
limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio per nuovo giudizio alla
Corte d’appello di Napoli, competente territorialmente a giudicare in sede di
rinvio.
Trattandosi di imputato in stato di custodia cautelare, non deve tuttavia essere
dichiarata l’inefficacia della custodia applicata ex art. 624-bis c.p.p., non essendo
stata la stessa applicata contestualmente alla sentenza di condanna pronunciata
in appello e per i motivi specificati all’art. 275, comma secondo ter, cod. proc.
pen., atteso che il provvedimento cautelare è stato invece adottato per
un’ordinaria valutazione di sussistenza delle esigenze cautelari previste dagli
artt. 274 e 275, comma primo bis, cod. proc. pen., donde l’annullamento con
rinvio non esclude l’esistenza di un idoneo titolo giustificativo della misura
cautelare e non ne consegue l’automatica declaratoria di inefficacia della misura
(Sez. 1, n. 46554 del 27/10/2005 – dep. 20/12/2005, Porcelli, Rv. 232964).

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata, limitatamente al trattamento sanzionatorio, e
rinvia alla Corte d’appello di Napoli.
Rigetta il ricorso, nel resto.
Così deciso in Roma, il 21 maggio 2014

Il Consigliere est.

DEPOSITATA IN CANCELLERIA

Il Presidente

(Sez. 6, n. 15152 del 20 marzo 2014 – dep. 2 aprile 2014, Murgeri ed altri, non

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