Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28417 del 22/04/2016


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Ord. Sez. 7 Num. 28417 Anno 2016
Presidente: GRILLO RENATO
Relatore: LIBERATI GIOVANNI

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
RIZZO SERGIO N. IL 05/05/1967
VISONE GIUSEPPE N. IL 07/01/1964
DE STEFANO NICOLA N. IL 05/11/1967
avverso la sentenza n. 314/2014 TRIBUNALE di AVELLINO, del
13/11/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIOVANNI LIBERATI;

Data Udienza: 22/04/2016

RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe il Tribunale di Avellino ha condannato Sergio
Rizzo, Giuseppe Visone e Nicola De Stefano alla pena di euro 1.200,00 di ammenda per il
reato di cui all’art. 44, comma 1, lett. b), d.P.R. 380/2001 (per avere realizzato opere in
difformità del permesso di costruire, consistenti in maggiori altezze delle aree da
destinare a camera da letto, bagno e porticato).
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorsi congiunti tutti gli imputati,

dell’art. 44 d.P.R. 380/2001 e del principio di correlazione tra accusa e sentenza, sulla
base del rilievo che pur essendo stati tratti a giudizio per rispondere del reato di cui
all’art. 44, lett. b), d.P.R. 380/2001 erano stati condannati per il diverso reato di cui
all’art. 44, lett. a), d.P.R. 380/2001, in quanto nella imputazione era stata contestata la
totale difformità delle opere rispetto al permesso di costruire, mentre nella sentenza sera
stata ravvisata la parziale difformità delle stesse rispetto al progetto approvato, con il
conseguente pregiudizio dei loro diritti di difesa, essendo stato loro precluso di richiedere
di essere ammessi alla oblazione.
Con un secondo motivo hanno prospettato vizio di motivazione in ordine alle
ragioni per le quali era stata ritenuta la parziale difformità delle opere in luogo di quella
totale contestata e per l’omessa considerazione delle diverse posizioni degli imputati.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili.
La censura relativa alla mancanza di correlazione tra accusa e sentenza è
manifestamente infondata, in quanto non vi è stata alcuna modificazione dei fatti
contestati agli imputati, ma solo una diversa qualificazione giuridica degli stessi, che non
richiede modifica della contestazione da parte del Pubblico Ministero.
La doglianza formulata in ordine alla impossibilità di richiedere l’oblazione è
inammissibile, non avendo gli imputati prospettato nel corso del giudizio di merito la
diversa qualificazione giuridica del fatto allo scopo di poter richiedere di essere ammessi
alla oblazione, essendo stato chiarito al riguardo che “In materia di oblazione, nel caso in
cui è contestato un reato per il quale non è consentita l’oblazione ordinaria di cui all’art.
162 cod. pen. né quella speciale prevista dall’art. 162-bis cod. pen., l’imputato, qualora
ritenga che il fatto possa essere diversamente qualificato in un reato che ammetta
l’oblazione, ha l’onere di sollecitare il giudice alla riqualificazione del fatto e,
contestualmente, a formulare istanza di oblazione, con la conseguenza che, in mancanza
di tale espressa richiesta, il diritto a fruire dell’oblazione stessa resta precluso ove il
giudice provveda di ufficio ex art. 521 cod. proc. pen., con la sentenza che definisce il

1

lamentando violazione degli artt. 522 e 516 cod. proc. pen., dell’art. 162 cod. pen. e

giudizio, ad assegnare al fatto la diversa qualificazione che consentirebbe l’applicazione
del beneficio” (Sez. U, n. 32351 del 26/06/2014, Tamborino, Rv. 259925).
La censura relativa al difetto di motivazione in ordine alla diversa qualificazione
giuridica del fatto, in relazione alla quale peraltro i ricorrenti non hanno prospettato uno
specifico interesse, trattandosi di ipotesi meno grave, è inammissibile a causa della sua
genericità, avendo il Tribunale fatto riferimento agli esiti dei sopralluoghi e degli
accertamenti compiuti sui titoli edilizi per affermare la parziale difformità delle opere
realizzate dagli imputati, con motivazione adeguata ed immune da vizi logici, che sfugge

I ricorsi devono, in conclusione, essere dichiarati inammissibili.
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e
rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia
proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma
dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del
versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata
in C 1.500,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti singolarmente al
pagamento delle spese processuali e della somma di C 1.500,00 in favore della Cassa
delle ammende.
Così deciso in Roma, il 22 aprile 2016
Il Consigliere estensore

alla censura formulata dai ricorrenti.

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA