Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28415 del 22/04/2016


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 28415 Anno 2016
Presidente: GRILLO RENATO
Relatore: LIBERATI GIOVANNI

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
DONG XIAOLI N. IL 14/09/1977
avverso la sentenza n. 78/2014 CORTE APPELLO di TRIESTE, del
12/01/2015
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIOVANNI LIBERATI;

Data Udienza: 22/04/2016

RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’appello di Trieste, in parziale
riforma della sentenza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Trieste, che,
a seguito di giudizio abbreviato, aveva condannato Dong Xiaoli alla pena di mesi uno e
giorni dieci di arresto per il reato di cui all’art. 255, comma 3, d.lgs. 152/2006 (per avere
omesso di ottemperare agli obblighi di smaltimento del materiale precedentemente
confiscato, costituito da 1.437 prodotti elettrici, come disposto dall’ordinanza del 9 marzo
2011 del Sindaco di Prandamano), sospendendone l’esecuzione subordinatamente alla

esecuzione della ordinanza sindacale nel termine di quindici giorni dalla irrevocabilità
della sentenza, ha revocato la subordinazione della sospensione condizionale della pena,
confermando nel resto la sentenza impugnata.
Avverso la sentenza, l’imputata ha proposto ricorso per cassazione, prospettando
violazione degli artt. 143 e 180 cod. proc. pen., con la conseguente nullità del decreto
penale opposto, del decreto di citazione a giudizio e della sentenza di primo grado, a
causa della mancata traduzione degli atti nella lingua della ricorrente, non essendo la
nomina del difensore elemento probante della conoscenza della lingua italiana, come
pure la presenza in Italia della ricorrente da epoca risalente, la titolarità di carta di
identità e di permesso di soggiorno, lo svolgimento di attività imprenditoriale, ed anche la
dichiarazione di parlare e comprendere la lingua italiana contenuta nel verbale di
sequestro del 28 giugno 2010.
Con un secondo motivo ha denunciato illogicità della motivazione, per avere la
Corte d’appello desunto la conoscenza della lingua italiana da parte della ricorrente dal
fatto che l’ordinanza sindacale le era stata tradotta in lingua cinese dal coniuge, anch’egli
cittadino cinese.
Infine ha prospettato la non punibilità per la particolare tenuità del fatto, per la
cessazione della attività, il modesto impatto inquinante del materiale e l’oggettiva
difficoltà di provvedere allo smaltimento del materiale a seguito della chiusura della sede.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Le censure relative alla mancata traduzione degli atti del processo nella lingua
madre della ricorrente sono del tutto generiche, in quanto omettono di confrontarsi con i
plurimi e convergenti elementi sottolineati dai giudici di merito a sostegno della ritenuta
conoscenza della lingua italiana da parte dell’imputata, tra cui la presenza della stessa in
Italia, quantomeno dal 2007; il possesso di carta d’identità dal 2008 e di permesso di
soggiorno dal 2009; lo svolgimento di attività imprenditoriale: a fronte di tali
argomentazioni la ricorrente si è limitata a ribadire la sua ignoranza della lingua italiana
senza censurare in modo specifico la motivazione della Corte d’appello.

1

ca;

Giova al riguardo ricordare che, secondo la uniforme e costante interpretazione
della giurisprudenza di legittimità, i motivi di ricorso per cassazione devono ritenersi
generici non solo quando risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando
difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del
provvedimento impugnato (Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013 Rv. 255568), cosicché è
inammissibile il ricorso per cassazione quando manchi l’indicazione della correlazione tra
le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto
d’impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato (cfr.,

per cassazione non è, perciò, sufficiente che il ricorso consenta di individuare le
statuizioni concretamente impugnate e i limiti dell’impugnazione, ma è altresì necessario
che le ragioni sulle quali esso si fonda siano esposte con sufficiente grado di specificità e
che siano correlate con la motivazione della sentenza impugnata. Nella specie, come
evidenziato, la ricorrente non ha addotto ragioni a sostegno della censura di nullità della
sentenza impugnata, essendosi limitata a ribadire l’insufficienza degli elementi indicativi
di tale conoscenza evidenziati dalla Corte d’appello e la sua ignoranza della lingua
italiana, con censura che risulta, dunque, inammissibile per difetto di specificità.
Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato, non determinando
illogicità della motivazione l’affermazione della conoscenza da parte della ricorrente della
lingua italiana e la traduzione in lingua cinese del decreto di citazione a giudizio in
appello e della sentenza di secondo grado, non determinando ciò alcun vizio della
motivazione, tantomeno di illogicità, non essendovi nel percorso logico del giudice di
secondo grado argomentazioni illogiche o contrastanti con la logica, le massime di
comune esperienza od i criteri legali, essendo estranea alla motivazione della sentenza la
traduzione di tali atti.
Non sussistono, poi, neppure i presupposti per escludere la punibilità del fatto
per la sua particolare tenuità.
L’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, di cui all’art. 131 bis
cod. pen., ha natura sostanziale ed è applicabile ai procedimenti in corso alla data di
entrata in vigore del d.Lgs. 16 marzo 2015, n. 28, compresi quelli pendenti in sede di
legittimità, nei quali la Corte di cassazione può rilevare d’ufficio, ex art. 609, comma 2,
cod. proc. pen., la sussistenza delle condizioni di applicabilità di tale istituto, dovendo
peraltro limitarsi, attesa la natura del giudizio di legittimità, ad un vaglio di astratta non
incompatibilità della fattispecie concreta (come risultante dalla sentenza impugnata e
dagli atti processuali) con i requisiti ed i criteri indicati dal predetto art. 131 bis (Sez. 3,
n. 31932 del 02/07/2015, Terrezza, Rv. 264449; Sez. 4, n. 22381 del 17/4/2015, Mauri,
Rv. 263496; Sez. 3, n. 15449 del 8/4/2015, Mazzarotto, Rv.263308).

2

ex plurimis, Sez. 2, n. 19951 del 15/05/2008 Rv. 240109). Ai fini della validità del ricorso

Peraltro, nel caso in esame non emerge alcuna particolare tenuità del fatto,
essendo sufficiente, per escluderla, considerare che, con una condotta potenzialmente
assai pericolosa per la salute pubblica, l’imputata deteneva 1.437 prodotti elettrici,
omettendo di provvedere al loro smaltimento, con la conseguenza che deve essere
esclusa l’esiguità del pericolo derivante dal reato commesso dalla ricorrente e con essa
anche la particolare tenuità del fatto.
Il ricorso deve, in conclusione, essere dichiarato inammissibile.
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e

proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma
dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del
versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata
in € 1.500,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di € 1.500,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 22 aprile 2016
Il Consigliere estensore

rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia

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