Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28411 del 22/04/2016


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 28411 Anno 2016
Presidente: GRILLO RENATO
Relatore: DI STASI ANTONELLA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
MAHIDER FATIMA ZAHRA N. IL 04/03/1981
avverso la sentenza n. 1408/2015 GIP TRIBUNALE di MODENA, del
15/07/2015
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONELLA DI
STASI;

Data Udienza: 22/04/2016

RITENUTO IN FATTO
1. – Con sentenza pronunciata ex art. 444 cod. proc. pen., il Giudice
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per le indagini preliminari del Tribunale di Modena ha applicato all’imputata
la pena dalla stessa richiesta, per il reato di cui agli artt. 81 cod. pen. e 73
comma 5 d.P.R. n. 309/1990, perché deteneva e cedeva a terzi sostanza
stupefacente del tipo cocaina.
– Avverso la sentenza, l’imputata ha proposto ricorso per

cassazione, tramite il difensore di fiducia, chiedendone l’annullamento e
lamentando la violazione dì legge per carenza di motivazione circa
l’insussistenza di cause di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen. e la
congruità della pena.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. – Il ricorso è inammissibile.
2. La ricorrente si limita, infatti, a lamentare, senza alcun concreto
riferimento critico alla motivazione della sentenza impugnata, che il giudice
non avrebbe fornito alcuna motivazione circa l’insussistenza di cause di
proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen.
Deve, peraltro, richiamarsi il costante orientamento di questa Corte,
secondo cui l’obbligo della motivazione, imposto al giudice dagli artt. 111
Cost. e 125, comma 3, cod. proc. pen. per tutte le sentenze, non può non
essere conformato alla particolare natura giuridica della sentenza di
patteggiamento, rispetto alla quale, pur non potendo ridursi il compito del
giudice a una funzione di semplice presa d’atto del patto concluso tra le
parti, lo sviluppo delle linee argomentative della decisione è
necessariamente correlato all’esistenza dell’atto negoziale con cui
l’imputato dispensa l’accusa dall’onere di provare i fatti dedotti
nell’imputazione. Ne consegue che il giudizio negativo circa la ricorrenza di
una delle ipotesi di cui all’art. 129 cod. proc. pen. deve essere
accompagnato da una specifica motivazione soltanto nel caso in cui dagli
atti o dalle deduzioni delle parti emergano concreti elementi circa la
possibile applicazione di cause di non punibilità, dovendo, invece, ritenersi
sufficiente, in caso contrario, una motivazione consistente nell’enunciazione
– anche implicita – che è stata compiuta la verifica richiesta dalle leggi e
che non ricorrono le condizioni per la pronuncia di proscioglimento ex art.
129 cod. proc. pen. (ex plurimis, sez. 3, 29 maggio 2012, n. 36610; sez. 3,
2

2.

22 settembre 1997, n. 2932; sez. un. 27 settembre 1995, n. 10372; sez.
un., 27 marzo 1992, n. 5777).
Tale orientamento trova applicazione anche nel caso di specie, in cui la
motivazione della sentenza circa l’insussistenza di cause di proscioglimento
ex art. 129 cod. proc. pen. appare, in ogni caso, sufficiente, perché
richiama gli atti di indagine, evidenziando l’inesistenza di elementi

Con riferimento alla motivazione in ordine all’entità della pena, inoltre,
il relativo obbligo deve essere ritenuto assolto da parte del giudice quando
– come nel caso di specie – egli dia atto di avere positivamente effettuato
la valutazione della correttezza della qualificazione giuridica del fatto,
dell’applicazione e comparazione delle circostanze prospettate dalle parti e
della congruità della pena; risultando effettuata, dal testo della gravata
sentenza, una tale indagine, con esito positivo per la ratifica del patto,
l’obbligo di motivazione è stato dunque rispettato (ex plurimis, sez. 5, 25
gennaio 2000, n. 489, rv. 215489).
3. – Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato
inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della
Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono
elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare
in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla
declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616
cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del
versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende,
equitativamente fissata in C 2.000,00.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di C 2.000,00 in favore della Cassa
delle Ammende.
Così deciso in Roma, 22.4.2016

valutabili a favore dell’imputata.

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