Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28410 del 22/04/2016


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 28410 Anno 2016
Presidente: GRILLO RENATO
Relatore: LIBERATI GIOVANNI

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
INNOCENTE VITTORIO N. IL 02/08/1957
avverso la sentenza n. 4900/2013 CORTE APPELLO di PALERMO,
del 22/04/2015
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIOVANNI LIBERATI;

Data Udienza: 22/04/2016

RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’appello di Palermo, in parziale
riforma della sentenza del Tribunale di Termini Imerese del 7 febbraio 2013, che aveva
condannato Vittorio Innocente alla pena di anni uno di reclusione ed euro 500,00 di
multa per il reato di cui all’art. 349 cod. pen., ha ritenuto sussistente la continuazione tra
tale reato e quelli più gravi giudicati con la sentenza dello stesso Tribunale di Termini
Imerese del 4 novembre 2008, determinando il conseguente aumento di pena in mesi tre
di reclusione ed euro 200 di multa.

prospettando violazione di legge penale in relazione all’art. 349 cod. pen. e vizio di
motivazione, eccependo la coincidenza tra i fatti contestatigli e quelli oggetto della
precedente sentenza n. 732 del 2008 del Tribunale di Termini Imerese, non essendo
stato accertato un sostanziale mutamento dello stato dei luoghi tra quanto accertato
dalla polizia municipale il 16 dicembre 2002 (e giudicato con la sentenza del 4 novembre
2008) e lo stato del medesimo fabbricato accertato dai Carabinieri il 18 aprile 2009, in
quanto in occasione dell’accertamento della prima violazione di sigilli era stato dato atto
della realizzazione della soletta di copertura in cemento armato e della quarta elevazione
fuori terra del fabbricato, con dismissione di tutto il materiale di carpenteria, ed in
occasione del sopralluogo dei carabinieri era stata solamente accertata l’esistenza di
un’opera edilizia compiutamente ultimata. Ha inoltre lamentato l’insufficienza delle prove
acquisite a consentire di affermare la sua responsabilità.
Con un secondo motivo ha denunciato violazione di legge penale e vizio di
motivazione in relazione alla determinazione della pena, ritenuta eccessiva, ed al giudizio
di comparazione tra le attenuanti generiche e l’aggravante contestata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato.
Le censure sollevate dal ricorrente, oltre che generiche e completamente
disancorate dalla motivazione della sentenza impugnata, non tengono conto che il
controllo demandato alla Corte di legittimità va esercitato sulla coordinazione delle
proposizioni e dei passaggi attraverso i quali si sviluppa il tessuto argomentativo del
provvedimento impugnato, senza alcuna possibilità di rivalutare in una diversa ottica, gli
argomenti di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento o di
verificare se i risultati dell’interpretazione delle prove siano effettivamente corrispondenti
alle acquisizioni probatorie risultanti dagli atti del processo. Anche a seguito della
modifica dell’art. 606, lett. e), cod. proc. perì, con la I. 46/06, il sindacato della Corte di
Cassazione rimane di legittimità: la possibilità di desumere la mancanza,
contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione anche da “altri atti del
processo specificamente indicati nei motivi di gravame”, non attribuisce al giudice di
1

Avverso la sentenza, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione,

legittimità il potere di riesaminare criticamente le risultanze istruttorie, ma solo quello di
valutare la correttezza dell’iter argomentativo seguito dal giudice di merito e di procedere
all’annullamento quando la prova non considerata o travisata incida, scardinandola, sulla
motivazione censurata (Sez. 6, n.752 del 18.12.2006; Sez. 2, n. 23419 del 2007,
Vignaroli; Sez. 6 n. 25255 del 14.2.2012 ).
La Corte territoriale, con motivazione congrua ed immune da vizi logici, ha
fondato l’affermazione di responsabilità dell’imputato (escludendo espressamente la
coincidenza tra i fatti contestati e quelli oggetto del precedente giudizio per altra

violazione di sigilli in relazione al medesimo fabbricato) sia sugli accertamenti eseguiti
dalla polizia giudiziaria all’atto della esecuzione del dissequestro, il 18 aprile 2009,
allorquando venne constatata l’ultimazione del fabbricato (abitato dalla figlia del
ricorrente), sia sulle riproduzioni fotografiche eseguite in tale occasione e su quanto
riferito dagli operanti.
Il ricorrente, invece, come risulta dallo stesso ricorso, propone una rivisitazione
del materiale probatorio, ribadendo genericamente la coincidenza e l’identità dei fatti
oggetto dei due giudizi, omettendo qualsiasi confronto, tantomeno critico, con la
motivazione della sentenza impugnata, nella quale, invece, la questione è stata
affrontata e risolta nel senso della esclusione di detta coincidenza, alla luce del diverso
stato del fabbricato all’atto dei due sopralluoghi, con la conseguente inammissibilità della
censura a causa della sua genericità.
Manifestamente infondato risulta il secondo motivo, con cui è stato
genericamente censurato il giudizio di comparazione tra le attenuanti generiche e
l’aggravante contestata, e lamentata la misura della pena, ritenuta eccessiva.
Come già affermato in numerose precedenti decisioni assunte in sede di
legittimità, va qui ribadito che Le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra
opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di
merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di
ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi
quella che per giustificare la soluzione dell’equivalenza si sia limitata a ritenerla la più
idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto

(SU 25.2.2010, n.

10713, Rv. 245931).
Nel caso in esame la Corte territoriale ha reso adeguata ed ampia motivazione
sulle ragioni e sui criteri per i quali ha ritenuto di condividere il giudizio di equivalenza tra
le attenuanti generiche e l’aggravante di essere stato commesso il fatto come custode,
alla luce della intensità del dolo, e tale motivazione è corretta sul piano del diritto e non è
sindacabile nel merito.
Anche la motivazione sulla pena, peraltro oggetto di censura del tutto generica,
risulta adeguata ed immune da vizi, in quanto la determinazione in concreto della pena

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et;

(„

costituisce il risultato di una valutazione complessiva e non di un giudizio analitico sui
vari elementi offerti dalla legge, sicché l’obbligo della motivazione da parte del giudice
dell’impugnazione deve ritenersi compiutamente osservato, anche in relazione alle
obiezioni mosse con i motivi d’appello, quando egli, accertata l’irrogazione della pena tra
il minimo e il massimo edittale, affermi di ritenerla adeguata o non eccessiva. Ciò
dimostra, infatti, che egli ha considerato sia pure intuitivamente e globalmente, tutti gli
aspetti indicati nell’art. 133 cod. pen. ed anche quelli specificamente segnalati con i
motivi d’appello (Sez. 6, n. 10273 del 20.5.1989 Rv 181825).

della perseveranza dell’imputato nella commissione di condotte di violazione di sigilli,
l’aumento di pena stabilito, in tal modo dando atto della considerazione di tutti i ricordati
aspetti indicati nell’art. 133 cod. pen.
Il ricorso deve, in conclusione, essere dichiarato inammissibile.
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e
rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia
proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma
dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del
versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata
in C 1.500,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.500,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 22 aprile 2016
Il Consigliere estensore

Nella specie la Corte d’appello ha ritenuto conforme a giustizia, in considerazione

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