Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 28397 del 12/05/2016


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 28397 Anno 2016
Presidente: RAMACCI LUCA
Relatore: SCARCELLA ALESSIO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:
– MIO MARIO GIUSEPPE, n. 17/09/1950 a Belpasso

avverso l’ordinanza della Corte d’appello di CATANIA in data 18/11/2014;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
letta la requisitoria scritta del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto
Procuratore Generale Dott. L. Riello, che ha chiesto annullarsi con rinvio
l’ordinanza;

Data Udienza: 12/05/2016

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza emessa in data 18/11/2014, depositata in data 7/01/2015, la
Corte d’Appello di CATANIA – decidendo in sede di rinvio disposto dalla Sezione
Quarta di questa Corte con sentenza n. 4079/14 del 27/11/2013, dep.
29/01/2014 -, respingeva la richiesta di riparazione per l’ingiusta detenzione
presentata in data 1/06/2011 nell’interesse di MIO MARIO GIUSEPPE; giova

cod. proc. pen. per l’ingiusta detenzione da questi patita in carcere tra il 31/01
ed il 21/02/2005 nell’ambito di in un procedimento penale in cui questi è stato
assolto (sentenza tribunale di Catania, divenuta irrevocabile in data 7/06/2009)
dai reati di rapina aggravata, porto e detenzione di armi e sequestro di persona.
Detta istanza veniva respinta dalla Corte etnea con ordinanza 23/09/2011,
successivamente annullata dalla Sezione Quarta di questa Corte con rinvio ad
altra Sezione dello stesso giudice di appello, in particolare demandando al
giudice del rinvio “se e quali condotte del Mio, non escluse dalla sentenza
assolutoria, abbiano avuto efficacia causale nell’emissione del provvedimento
restrittivo. Condotte, ovviamente, implicanti violazione di quelle minime regole di
cautela il cui rispetto è da attendersi da tutti i consociati, in base al principio di
autoresponsabilità. Nell’individuazione di tali condotte assumerà un rilievo non
secondario l’eventuale silenzio ostinatamente serbato dal soggetto davanti ad
una situazione fattuale che avrebbe richiesto l’apporto di fattive conoscenze del
medesimo. Ciò significa che in sede di rinvio dovrà farsi luogo all’approfondita
individuazione dei comportamenti specifici di sospetto messi in atto dal Mio,
estranei al fatto di reato e rimasti non giudizialmente smentiti; alla valutazione
del concreto significato liberatorio che sui predetti avrebbero avuto i chiarimenti
del ricorrente; infine, alla verifica dell’effetto causale dei predetti comportamenti
sull’irrogazione della misura”.

2. Ha proposto ricorso MIO MARIO GIUSEPPE a mezzo del difensore fiduciario procuratore speciale cassazionista, impugnando l’ordinanza predetta con cui
deduce un unico, articolato, motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente
necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Deduce, con tale unico motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. c) ed e), cod.

proc. pen., per erronea applicazione dell’art. 628 in relazione all’art. 627, comma
terzo e 314, comma secondo, cod. proc. pen., e correlato vizio di illogicità e
mancanza assoluta della motivazione.

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precisare che il MIO MARIO GIUSEPPE aveva presentato la richiesta ex art. 314

In sintesi, la censura investe l’impugnata ordinanza per non aver la Corte
d’appello assolto all’onere motivazionale impostogli dalla Corte di Cassazione in
sede di annullamento con rinvio, laddove, diversamente, quale giudice di rinvio
era obbligata a giustificare il proprio convincimento secondo lo schema enunciato
dalla decisione di annullamento, lasciando la Corte d’appello un margine di
rivalutazione di quanto annullato, senza tuttavia ripetere i vizi della motivazione
di cui alla ordinanza annullata; per tale ragione, si osserva in ricorso, non

nemmeno le propalazioni di una pretesa amicizia del ricorrente con il
“Malpassotu”, mai dimostrate e non riconoscibili neanche per la fonte, che non
era stata citata; il tribunale aveva assolto il Mio per non aver commesso il fatto e
non per irrilevanza penale della condotta ascrittagli; l’ordinanza impugnata non
ravviserebbe nessun altro elemento di sospetto né sul diritto al silenzio né su
altri possibili comportamenti causativi colposamente o dolosamente l’irrogazione
della misura; si osserva inoltre come anche sulla base della ricostruzione operata
dal giudice della riparazione, differente da quella operata dal giudice di merito,
non poteva certo ritenersi sussistente il reato di ricettazione per comportamenti
deliberativi mai provati, per di più osservandosi come all’epoca dell’emissione
della misura cautelare sussisteva la causa di estinzione del reato costituita dalla
prescrizione, e dunque difettavano i presupposti per la applicabilità della misura
ai sensi dell’articolo 273 comma 2, c.p.p.; sarebbe dunque mancata quella
valutazione ex post richiesta dalla legge avendo invece illegittimamente la Corte
d’appello non riconosciuto che la misura cautelare sofferta dal ricorrente, anche
nell’ipotesi della presunta sussistenza di una ricettazione, era stata adottata in
presenza della predetta causa di estinzione del reato; si conclude pertanto
chiedendo l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata con il
riconoscimento da parte di questa Corte del diritto alla riparazione.

3. Con requisitoria scritta depositata presso la cancelleria di questa Corte in data
18/06/2015, il P.G. presso la S.C. ha chiesto accogliersi il ricorso, in particolare
osservando come l’ordinanza impugnata non avrebbe ottemperato alle
indicazioni della Corte di cassazione in sede di annullamento con rinvio, in
particolare non affrontando il problema della condotta processuale del ricorrente
e limitandosi invece ad affermare che quest’ultimo avrebbe senz’altro concorso a
dar causa alla detenzione per i reati contestati, apparendo concorrente negli
stessi nella fase deliberativa per essersi recato nel luogo dove è stata portata la
refurtiva ed interessato alla vendita, facendo riferimento ai fatti riferiti dei
collaboratori di giustizia, e comunque non chiarendo in modo lineare ed
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potevano essere riconsiderate le pagine 147 e 157 della sentenza assolutoria e

esaustivo, ossia in maniera autonoma rispetto alla sentenza emessa nel
procedimento principale e non previa rivalutazione di fatti esclusi dal giudice in
tale sede, non eventuali oggettivi sospetti, ma la condotta colposa che ha potuto
costituire il presupposto che ha ingenerato, ancorché in presenza di errore
dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurazione come illecito
penale, dando luogo alla detenzione con rapporto di causa ad effetto.

26/04/2016, l’Avvocatura Generale dello Stato ha chiesto che il ricorso del Mio
venga dichiarato inammissibile o rigettato, previa dichiarazione della rituale
costituzione in giudizio del Ministero dell’Economia e delle Finanze; in particolare
l’Avvocatura dello Stato ritiene che la Corte d’appello abbia adempiuto all’onere
motivazionale impostole da questa Corte in sede di annullamento con rinvio della
precedente ordinanza; i giudici di appello avrebbero mosso il proprio iter
motivazionale dalla constatazione che alcuni collaboratori di giustizia avevano
direttamente accusato il ricorrente, indicando a questo proposito il soggetto che
provvedeva a commercializzare la merce in precedenza rapinata; la Corte
appello avrebbe dato atto della circostanza pacifica che il ricorrente aveva un
magazzino dove veniva trasportata la merce frutto delle rapine, essendo altresì
presente al momento dello scarico; sostiene l’Avvocatura dello Stato che,
seppure il giudice di merito abbia assolto il ricorrente in quanto non aveva
materialmente partecipato alle rapine contestate, sarebbe pacifica la circostanza
– che ha chiaramente indotto in errore l’autorità -, per cui la merce veniva
stoccata nei magazzini sotto la sua disponibilità; a prescindere quindi dal fatto se
la condotta fosse da inquadrare come ricettazione, irrilevante essendo la
circostanza della estinzione per prescrizione, apparirebbe evidente che
costituisce un comportamento gravemente colposo, specialmente per un
commerciante, detenere merce la cui provenienza non è certa, in assenza altresì
di ogni documentazione utile a verificarne l’origine; in ogni caso, aggiunge
l’Avvocatura dello Stato, vi sarebbe comunque da rilevare che il ricorrente non
ha saputo fornire alcuna spiegazione logica in ordine ai contatti che aveva con
altri soggetti coinvolti nel traffico, così essendosi messo nella condizione di
apparire loro complice o comunque pienamente consapevole della loro attività
delittuosa, non potendosi questi non essersi chiesto da dove veniva la mercanzia
che veniva scaricata nei magazzini della sua disponibilità; ne conseguirebbe
pertanto la piena legittimità della detenzione cautelare sofferta, atteso che,
secondo la giurisprudenza di legittimità, anche il comportamento silenzioso o
mendace, come la facoltà da parte dell’indagato di non rispondere in sede
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4. Con memoria depositata presso la cancelleria di questa Corte in data

l’interrogatorio, la reticenza o persino la menzogna possono rilevare sotto il
profilo del dolo o della colpa grave, in quanto tali ostativi al riconoscimento del
diritto alla riparazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

6. Ed invero, al fine di comprendere la soluzione al caso in esame, è necessario
prendere le mosse dal decisum con cui la Quarta Sezione penale di questa Corte
aveva disposto l’annullamento con rinvio della precedente ordinanza della Corte
etnea; in particolare, si legge nella sentenza n. 4079/2014, il ricorrente era stato
detenuto in regime di custodia cautelare detentiva carceraria per i delitti di
rapina aggravata e sequestro di persona, dai quali venne assolto perché il fatto
non sussiste nonché dal delitto di furto aggravato consumato, dal quale è stato
assolto per non avere commesso il fatto. Nell’annullare la precedente ordinanza
del 23/09/2011, la Corte di Cassazione osservava come “La Corte territoriale, nel
caso di specie, piuttosto che individuare i comportamenti di cui sopra detto,
estranei alla condotta di reato addebitata e, tuttavia, rilevanti per l’emissione del
provvedimento restrittivo della libertà personale, con grave incongruenza,
evidenzia una condotta (aver contribuito allo smercio della refurtiva) non
sottoponíbile in sede d’ingiusta riparazione a nuovo e diverso vaglio rispetto a
quello che parrebbe essere stato effettuato dal giudice dell’assoluzione (principio
di autonomia), che, a tenore del dispositivo della sentenza assolutoria, non
sarebbe stata riferibile al Mio (l’imputato venne assolto, come si è detto, per non
avere commesso il fatto). Privi di pregnanza devono valutarsi, poi, per quel che
qui rileva, gli elementi probatori sussistenti a carico dell’odierno ricorrente del
tutto estranei al medesimo, al quale non può di certo addebitarsi di essere stato
accusato da altri della commissione dei reati, dai quali verrà assolto.
Dichiarazioni, queste, che giustificarono l’emissione della misura cautelare e che,
tuttavia, furono stimati non sufficienti a sorreggere statuizione di condanna dal
giudice dell’assoluzione”.
I giudici della Quarta Sezione, dunque, oneravano il giudice del rinvio di un
preciso onere motivazionale, segnando le direttrici dell’accertamento in fatto
esclusivamente demandato al giudice di merito in sede di rinvio e, precisamente,
come già evidenziato supra: “se e quali condotte del Mio, non escluse dalla
sentenza assolutoria, abbiano avuto efficacia causale nell’emissione del
provvedimento restrittivo. Condotte, ovviamente, implicanti violazione di quelle
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5. Il ricorso è fondato.

minime regole di cautela il cui rispetto è da attendersi da tutti i consociati, in
base al principio di autoresponsabilità. Nell’individuazione di tali condotte
assumerà un rilievo non secondario l’eventuale silenzio ostinatamente serbato
dal soggetto davanti ad una situazione fattuale che avrebbe richiesto l’apporto di
fattive conoscenze del medesimo. Ciò significa che in sede di rinvio dovrà farsi
luogo all’approfondita individuazione dei comportamenti specifici di sospetto
messi in atto dal Mio, estranei al fatto di reato e rimasti non giudizialmente

avrebbero avuto i chiarimenti del ricorrente; infine, alla verifica dell’effetto
causale dei predetti comportamenti sull’irrogazione della misura”.

7.

La lettura dell’ordinanza oggi impugnata, tuttavia, dimostra il mancato

rispetto delle indicazioni operate dalla Quarta Sezione di questa Corte.
Ed invero, si legge nell’ordinanza impugnata, che gli elementi ostativi al diritto
alla riparazione sarebbero unicamente desumibili: a) dalle dichiarazioni dei
collaboranti, uno dei quali aveva precisato che il Mio era amico del “Malpassotu”,
osservando come i fatti riferiti da questi ultimi erano stati valutati in sede di
indagine come indizi di concorso nei reati contestati; b) che doveva risolversi
affermativamente la questione se il ricorrente con il comportamento ritenuto
provato dal tribunale abbia dato causa alla custodia cautelare per i predetti reati
ciò in quanto il Mio avrebbe senz’altro concorso andar causa alla detenzione per
tali reati, apparendo concorrente negli stessi nella fase deliberativa per essersi
recato nel luogo ove era stata portata la refurtiva ed interessato della vendita.

8. Coglie dunque nel segno la censura del ricorrente in ordine alla assenza di
motivazione dell’ordinanza del giudice di rinvio, che non risulta aver dato seguito
alle precise indicazioni fornite da questa Corte che aveva imposto al giudice di
rinvio di individuare

quali condotte del Mio, non escluse dalla sentenza

assolutoria, abbiano avuto efficacia causale nell’emissione del provvedimento
restrittivo, essendosi invece la Corte d’appello limitata ad indicare, quali condotte
“rilevanti” il presunto coinvolgimento del Mio sulla base delle dichiarazioni dei
collaboratori di giustizia, senza tuttavia tener conto che la stessa sentenza della
Quarta Sezione di questa Corte aveva chiaramente precisato come “Privi di
pregnanza devono valutarsi, poi, per quel che qui rileva, gli elementi probatori
sussistenti a carico dell’odierno ricorrente del tutto estranei al medesimo, al
quale non può di certo addebitarsi di essere stato accusato da altri della
commissione dei reati, dai quali verrà assolto. Dichiarazioni, queste, che

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smentiti; alla valutazione del concreto significato liberatorio che sui predetti

giustificarono l’emissione della misura cautelare e che, tuttavia, furono stimati
non sufficienti a sorreggere statuizione di condanna dal giudice dell’assoluzione”.
L’affermazione conclusiva secondo cui il Mio avrebbe senz’altro concorso andar
causa alla detenzione per tali reati, apparendo concorrente negli stessi nella fase
deliberativa per essersi recato nel luogo ove era stata portata la refurtiva ed
interessato della vendita, dunque, è quindi priva di reale portata argomentativa,
non avendo assolto il giudice del rinvio all’onere motivazionale richiestogli dalla

individuare le condotte – non escluse dalla sentenza assolutoria – che avessero
avuto efficacia causale nell’emissione del provvedimento restrittivo, ma anche di
verificare “l’eventuale silenzio ostinatamente serbato dal soggetto davanti ad una
situazione fattuale che avrebbe richiesto l’apporto di fattive conoscenze del
medesimo”, imponendo in sede di rinvio lo svolgimento di una “approfondita
individuazione dei comportamenti specifici di sospetto messi in atto dal Mio,
estranei al fatto di reato e rimasti non giudizialmente smentiti”, una altrettanto
necessaria “valutazione del concreto significato liberatorio che sui predetti
avrebbero avuto i chiarimenti del ricorrente” nonché, infine, la necessaria
“verifica dell’effetto causale dei predetti comportamenti sull’irrogazione della
misura”.

9. Nulla di tutto ciò emerge dall’impugnata ordinanza, di cui, pertanto, deve

essere disposto nuovo annullamento con rinvio alla Corte d’appello di Catania,
perché svolga gli accertamenti demandati dalla Quarta Sezione di questa Corte,
rimasti inesitati, non potendo essere seguita la richiesta del ricorrente di
annullare senza rinvio il provvedimento impugnato, atteso il deficit motivazionale
di quest’ultimo che può essere colmato, previo svolgimento di apprezzamenti di
merito, che sfuggono all’ambito cognitivo di questa Corte di legittimità.

P.Q.M.

La Corte annulla con rinvio l’ordinanza impugnata alla Corte d’appello di Catania.
Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione, il 12 maggio 2016

Corte Suprema, che aveva chiesto alla Corte d’appello etnea non solo di

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